Unendoci al cordoglio delle prefiche inconsolabili che strillano per la prematura dipartita di Mario Antonietta, partecipiamo alle esequie con due domandine facili facili.
1. Posto che il capo dello Stato scioglie anzitempo le Camere solo quando non c’è più una maggioranza per formare un governo, in che senso “dopo Draghi c’è solo il voto”? Con l’astensione M5S, il governo Draghi ha appena avuto la fiducia dalla maggioranza assoluta di entrambi i rami del Parlamento. Ma, siccome è capriccioso, o s’è stufato, o teme i forconi, o ha pilates, il premier s’è dimesso. Mattarella ha respinto le dimissioni e l’ha rispedito alle Camere per mercoledì. E lì l’unico rischio che non corre è non avere la fiducia: avrà quella extralarge col M5S se accoglierà le 9 proposte di Conte; o quella più ridotta, ma comunque sufficiente, con tutti gli attuali alleati senza M5S. In questo caso dovrebbe fare ciò che si fa sempre: sostituire i ministri 5Stelle e continuare a governare. Ma potrebbe pure ritentare la fuga con dimissioni irrevocabili. Però la maggioranza esisterebbe comunque, salvo che un altro partitone (la Lega?) si sfilasse: nel qual caso, fine della maggioranza e della legislatura. Ma, se nessuno a parte il M5S si sfila, non si vede perché l’addio di Draghi porti alle urne. Mattarella dovrebbe proporre un altro premier alla maggioranza e lasciar decidere al Parlamento. Se i 5Stelle sono inaffidabili e infrequentabili, che aspettano gli altri a fare un governo senza di loro? Non ci pare di aver letto nella Costituzione che l’unico italiano su 59 milioni abilitato alla premiership sia Draghi: anzi, la Carta non fa proprio nomi.
2. L’indispensabilità di Draghi nasce da bizzarre leggende metropolitane sui suoi poteri taumaturgici al governo (in 17 mesi non ha combinato quasi nulla e quel poco era sbagliato, dalla giustizia al Covid, dalla guerra al riarmo al 2% del Pil stoppato da Conte) e sui mercati (lo spread è più basso ora che s’è dimesso di quando era in carica). Ma è stata smentita da lui stesso a Natale quando, per un altro capriccio, annunciò che la sua missione era compiuta e, da “nonno al servizio delle istituzioni” (o viceversa), ambiva a traslocare al Quirinale. E tutta la stampa, che fino ad allora voleva imbullonarlo al governo in saecula saeculorum, prese a bombardarci le palle per spedirlo a tagliar nastri lassù. Tanto, per Palazzo Chigi, uno valeva uno: andava bene pure tal Daniele Franco. Conte e Salvini si opposero perché un governo-ammucchiata guidato da altri era improbabile, se non impossibile. E furono lapidati. Ora, di grazia, com’è che il nonnetto che tutti volevano sloggiare da Palazzo Chigi e imbalsamare sul Colle è l’unico italiano su 59 milioni in grado di fare il presidente del Consiglio?
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