Il blitz, o colpo gobbo, che dir si voglia, è fallito. Per il momento. Perché dopo le polemiche deflagrate per la convocazione dell’organismo del Senato chiamato a decidere sulla legittimità del taglio dei vitalizi proprio la sera della semifinale Italia-Spagna, è stato tutto rinviato al prossimo 13 luglio. “I lavori d’aula si sono protratti oltre il previsto”, minimizza il presidente del collegio dei “giudici” interni di Palazzo Madama, il forzista Luigi Vitali. A cui per tutto il giorno sono fischiate le orecchie data la gragnuola di critiche che gli è piovuta addosso. “La verità è che è scoppiato un casino, altro che aula” spiega un papavero del Pd che sceglie di non esporsi.
Ma l’attesa decisione ha fatto scoppiare una grana soprattutto in casa 5 Stelle dove per tutta la mattinata di ieri si è litigato eccome sul che fare in attesa della sentenza, poi slittata all’ultimo momento.
Perché i senatori che si iscrivono tra i contiani sono arrivati a minacciare l’arma di fine mondo: per loro il Movimento 5 Stelle deve esser pronto a uscire dalla maggioranza nel caso in cui al Senato venga confermato il ripristino dei vitalizi e per questo in giornata hanno spinto per dare alle stampe una nota ufficiale in cui si mettessero in chiaro le cose, già prima della sentenza. Per tutta risposta i grillisti hanno accolto la proposta degli emissari dell’ex premier con sospetto per usare un eufemismo: l’accusa è più o meno quella di voler usare la battaglia contro il privilegio della casta, come grimaldello per lasciar intendere che nel Movimento già comanda Giuseppe Conte e che le sue truppe sono pronte a mettere in discussione anche l’appoggio a Mario Draghi. Benvenuti al Senato, un martedì da leoni.
La guerra in corso tra Giuseppe Conte e l’Elevato fondatore manda in fibrillazione gli eletti pentastellati spaccati giusto a metà e non solo sulla faccenda dei vitalizi, ma pure sulla Rai. Una dramma familiare dove ci si guarda in cagnesco che neppure in Kramer contro Kramer, ma non è un film. Un grande macello che inizia di buon mattino a suon di messaggi whatsapp sulla chat del gruppo dove spirano venti di divorzio e intanto volano i calci negli stinchi tra veleni e sospetti reciproci. Sicché anche il che fare rispetto alla imminente sentenza sui vitalizi attesa a Palazzo Madama diventa una questione più grande.
S’ode a destra uno squillo di tromba, con i contiani che la mettono più o meno così: “Mandiamo un avviso ai naviganti forte e chiaro: non si può stare in una maggioranza che spazza via il taglio degli assegni”. A sinistra risponde uno squillo dei beppegrillisti: “Ma che c’entra la maggioranza e Draghi? Questa è una decisione che verrà assunta da un organismo giurisdizionale del Senato. Se usiamo questa minaccia preventiva finiamo per regalare ai giudici della Lega un’arma micidiale: cancelleranno il taglio invocando qualche codicillo e potranno ben dire di non essersi fatti condizionare neppure dalle nostre minacce. E così Salvini ne esce pulito pulito, al massimo tirerà le orecchie ai suoi che gli hanno disobbedito”.
Ma non è tutto perché poi affondano pure il fendente, bersaglio principale Paola Taverna. “Invece di minacciare di far saltare il governo, perché invece non si dimette chi tra noi ha poltrone nell’organo politico di Palazzo Madama ossia il Consiglio di presidenza?”. Un messaggio in bottiglia nemmeno tanto oscuro all’indirizzo della vicepresidente del Senato accusata dai fedelissimi di Beppe Mao di intelligenza con il nemico che poi sarebbe Conte.
La mattinata scivola così: dopo essersela data di santa ragione, i due fronti si sterilizzano a vicenda. Alla fine, intorno all’ora di pranzo, esce una nota comune che non scioglie il vero nodo politico. Chi decide cosa farà il Movimento nel caso in cui il Senato dovesse cancellare il taglio degli odiati vitalizi?
La questione è rinviata di una settimana. Il big bang è il 13 luglio, la stessa data in cui a Palazzo Madama ci sarà la battaglia sul ddl Zan, la legge sui diritti civili. Una giornata campale.
ILFQ