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lunedì 27 luglio 2020

700 milioni di anni fa Terra fu bombardata da enormi asteroidi.



Una pioggia di asteroidi di dimensioni considerevoli ha impattato o sulla Terra e sulla Luna in un periodo terminato all’incirca 700 milioni di anni fa secondo un interessante studio condotto da un team di ricercatori dell’Università di Osaka, Giappone, i quali hanno analizzato con particolare attenzione 59 crateri lunari, soprattutto quelli con un diametro di più di 20 km.
I ricercatori hanno usato i dati raccolti dalla Terrain Camera (TC), uno strumento che si trovava a bordo della navicella Kaguya che ha orbitato intorno alla luna dal 2007 al 2009 raccogliendo numerosi dati.
I ricercatori dichiarano che un asteroide di almeno 100 km di diametro insieme a vari altri asteroidi, almeno 4-5, circa 30-60 volte più grandi dell’asteroide di Chicxulub (quello che ha fatto estinguere i dinosauri), hanno raggiunto il sistema Terra-Luna in questo periodo.
La probabilità che un asteroide di 100 km diametro impatti sulla Terra è di una volta ogni 100 milioni di anni, secondo gli scienziati. Questo vuol dire della maggior parte dei crateri creati da asteroidi di queste dimensioni sono stati erosi, se non cancellati del tutto, da processi geologici quali vulcanismo e altri.
Quindi scoprire qualcosa riguardo a questi impatti sulla Terra è molto difficile ed è per questo che i ricercatori dell’istituto giapponese si sono rivolti ai crateri sulla Luna, molto ben conservati dato che sulla Luna non c’è attività geologica.
Si sono soffermati su quei crateri con diametri più grandi di 20 km e tra di questi c’è il cratere Copernico, che ha un diametro di 93 km. Otto dei crateri esaminati sembrano essersi formati pressoché contemporaneamente
Esaminando questi crateri, i ricercatori sono giunti alla conclusione che almeno 4-5 asteroidi con un diametro di circa 30-60 volte più grande di quello dell’asteroide di Chicxulub debbono essere impattati sulla terra in un periodo compreso tra 720 e 635 milioni di anni fa, un periodo detto cryogeniano in cui ci furono grossi cambiamenti ambientali e biologici.
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sabato 22 febbraio 2020

Spostando l’asteroide più in là. - Luca Nardi


La traiettoria di Apophis nel suo passaggio ravvicinato 
del 2029. Il trattino bianco indica l’incertezza sulla 
posizione del perigeo. Crediti: Nasa

Un team del Mit ha delineato una mappa che permette di agire in tempo per scongiurare l'impatto di asteroidi sulla Terra, spostandoli dalla loro orbita prima che – imboccando la cosiddetta “serratura gravitazionale” – si indirizzino sulla via del non ritorno. Lo studio, pubblicato su Acta Astronautica, apre nuove prospettive nell'ambito della difesa planetaria.
Apopi, il dio-serpente che incarnava il male e il caos nel pantheon degli antichi egizi, ha dato il nome a un asteroide dalle dimensioni della Torre Eiffel che passerà vicino al nostro pianeta nel 2029.
Si chiama 99942 Apophis, ed è stato scoperto nell’ormai lontano 2004. Inizialmente scatenò il panico: il 13 aprile del 2029 avrebbe avuto il 2,7% di probabilità di impatto, e sette anni dopo, nel passaggio ravvicinato del 2036, questa probabilità sarebbe cresciuta notevolmente portando (forse) l’apocalisse al di fuori delle pagine bibliche.
Successive misure più precise hanno poi ridimensionato il pericolo. Nel 2029 Apophis passerà sì vicino alla Terra, ma a una distanza di 31.200 chilometri dalla nostra bella superficie planetaria. È meno dell’altitudine a cui orbitano i satelliti per le telecomunicazioni più lontani, ma è comunque abbastanza per dormire sonni tranquilli, almeno per i prossimi anni.
Sì, perché anche se l’ira del dio Apophis non si scatenerà su di noi, non è escluso che tra qualche anno il problema si ripresenti nuovamente in forma simile, o potenzialmente peggiore.
In una ricerca del Massachusetts Institute of Technology (Mit) pubblicata su Acta Astronautica si delineano alcune linee guida su quali strategie potrebbero essere più efficaci per deflettere un asteroide in arrivo. Queste strategie devono prendere in considerazione la massa e la velocità degli asteroidi, oltre al loro passaggio nelle prossimità di una cosiddetta gravitational keyhole (serratura gravitazionale), la regione in cui l’influenza gravitazionale del pianeta modifica l’orbita dell’asteroide indirizzandolo verso l’impatto nelle orbite successive. Un altro fattore da prendere in considerazione è ovviamente la tempistica con cui si viene a conoscenza dell’imminente impatto.

L’asteroide Apophis. Crediti: University of Hawaii’s Institute for Astronomy
I ricercatori hanno applicato il loro metodo proprio ad Apophis, ma anche a Bennu, l’asteroide obiettivo di Osiris-Rex, costruendo una sorta di mappa per decidere quale missione di difesa planetaria possa essere ottimale per questi due asteroidi.
«In genere, si considerano soprattutto le strategie per una deflessione all’ultimo minuto, quando l’asteroide è già passato nel keyhole e si trova in rotta di collisione con la Terra», dice Sung Wook Paek, il primo autore dello studio. «Io sono interessato a prevenire un passaggio nel keyhole ben prima dell’impatto con la Terra.»
Le strategie per la deflessione di asteroidi nello spazio includono la più classica – e controversa – detonazione nucleare e l’utilizzo di impattori cinetici. Questi ultimi sono sonde o missili che possono modificare l’orbita dell’asteroide semplicemente colpendolo, così come fanno le palle da biliardo durante uno scontro. Per essere efficaci occorre però selezionare opportunamente la velocità, il luogo di impatto e la composizione dell’impattore, e per farlo è richiesto conoscere il più precisamente possibile le caratteristiche dell’asteroide e della sua orbita.
Per questa ragione, nelle missioni considerate nel lavoro del Mit i lanci da terra devono essere due: una prima sonda ha il compito di misurare da vicino le caratteristiche dell’asteroide così da massimizzare la possibilità di successo dell’impattore, lanciato in un secondo momento. In un altro scenario le sonde del primo lancio possono essere due: la prima misura le caratteristiche dell’asteroide mentre la seconda lo colpisce spostandolo leggermente dalla sua traiettoria.
Quest’ultimo caso, per esempio, è quello che potrebbe essere adottato nel caso in cui un asteroide come Apophis rischi di passare nel suo keyhole a cinque anni dalla scoperta. Se il passaggio avviene tra i due e i cinque anni, ci sarebbe il tempo solo per una prima sonda prima del lancio dell’impattore. Se il passaggio nel keyhole dovesse avvenire entro un anno dalla scoperta dell’asteroide, potrebbe essere invece troppo tardi per intervenire con questa modalità e bisogna ideare un altro modo per affrontare il problema.
Il tema della difesa planetaria dall’impatto di asteroidi non ammette miopia: quando verrà il momento dovremo essere preparati.

domenica 14 dicembre 2014

Rosetta, l’acqua della Terra non viene dalle comete.

 (foto:  ESA/Rosetta/NAVCAM)
(foto:  ESA/Rosetta/NAVCAM)
L’acqua sulla Terra non proviene da comete come 67P/Churyumov-Gerasimenkosuperstar del 2014 dopo essere diventata, lo scorso 12 novembre, la prima cometa ad essere raggiunta da una sonda (Philae di Rosetta). A scartare l’ipotesi comete come portatrici dell’acqua sulla Terra è uno studio pubblicato su Science, che ha analizzato i dati raccolti dallo strumento Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis (Rosina) di Rosetta nei pressi della cometa 67P.
Per capire da dove arriva l’acqua sulla Terra gli scienziati sono soliti misurare il rapporto tra deuterio (un isotopo dell’idrogeno, che nel nucleo ospita anche un neutrone oltre ad un protone) e l‘idrogeno, andando alla ricerca nello Spazio di corpi celesti che abbiano un rapporto simile a quello osservato sul nostro pianeta, dove una piccola percentuale di acqua (circa 3 molecole su 10mila, ricorda Space.com) è costituita dalla cosiddetta acqua pesante (dove appunto uno dei due idrogeni della molecola H2O è rappresentato dal deuterio).
I corpi sotto osservazione e che gli astronomi considerano come possibili candidati ad aver trasportato acqua sulla Terra sono generalmente tre, ricordano dalla Nasa: gli asteroidi della fascia principale (dalle parti di Giove); le comete della nube di Oort (formatesi all’interno dell’orbita di Nettuno) e le comete della fascia di Kuiper (formatesi oltre l’orbita di Nettuno). L’acqua che bagna il nostro pianeta potrebbe, secondo le teorie più accreditate, essere stata trasportata da questi corpi circa 800 milioni dopo la sua formazione (avvenuta 4,6 miliardi di anni fa).
Le analisi effettuate da Rosetta hanno mostrato che almeno per la 67P (cometa della fascia di Kuiper) il rapporto tra deuterio e idrogeno osservato non è affatto simile a quello terrestre: in particolare è tre volte tanto quello che si trova negli oceani, ed è tra i più alti mai osservati nel Sistema solare. Tutto questo scarta l’ipotesi che comete come quella di Rosetta e Philae siano stati i veicoli dell’acqua sulla Terra. Ipotesi scartata già una trentina di anni fa, con le analisi discordanti compiute per la cometa di Halley (dalla nube di Oort), ma poi rinvigoritasi di recente con i dati – simili a quelli terrestri – compiuti sulla cometa Hartley 2 (dalla fascia di Kuiper).
I dati acquisiti dallo strumento Rosina – oltre a mostrare quanto diversa sia la composizione degli oggetti della fascia di Kuiper (forse non formatesi nella stessa regione del Sistema solare, spiegano gli esperti) – portano così a credere che gran parte dell’acqua sulla Terra arrivi dunque dagli asteroidi, come suggerito già in passato. Asteroidi che al tempo degli impatti che avrebbero portato l’acqua sulla Terra ne avrebbero contenuta molto di più, secondo gli studiosi. Anche infatti immaginando che diversi oggetti della fascia di Kuiper abbiano portato l’acqua sulla Terra, il contributo di oggetti come la 67P avrebbe reso il rapporto deuterio/idrogeno dell’acqua terrestre più alto di quello attuale.