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sabato 10 giugno 2017

Mafia capitale, il furto del secolo e la lista dei 147: così Massimo Carminati ha messo sotto ricatto la Repubblica. - Giuseppe Pipitone



Il libro del giornalista Lirio Abbate ricostruisce il colpo messo a segno nel 1999 al caveau della Banca di Roma all'interno del palazzo di giustizia. Dentro ci sono 900 cassette di sicurezza ma il Cecato ordina di forzarne solo 147: sono intestate a giudici, avvocati, cancellieri del tribunale, alti dirigenti dell'amministrazione giudiziaria. Tutte personalità legate ai più grandi misteri d'Italia: dalla P2 all'omicidio Pecorelli, dalla Banda della Magliana alla strage di Bologna.


Non è mai stato un ladro. Lo hanno accusato di omicidi, stragi, esecuzioni, persino di rapina negli anni nerissimi dei Nar e Avanguardia Nazionale: ma il furto con scasso non era mai stato tra i suoi impieghi preferiti. Almeno fino a quella notte del 1999, quando probabilmente la storia di Massimo Carminati cambia per sempre.
Il 16 luglio dell’ultimo anno del Novecento è un venerdì senza luna: quando la faccia godereccia della Capitale sta cominciando a fare baldoria, otto persone si spingono fin dentro al caveau della Banca di Roma all’interno del palazzo di giustizia di piazzale Clodio. Sono una banda di “cassettari“, come chiamano a Roma i ladri specializzati nell’aprire casseforti e meccanismi blindati. I giornali parleranno di “furto del secolo“, i giudici di un “bottino eccezionale” da almeno 18 miliardi di vecchie lire e di un “crimine spettacolare” con una “carica intimidatoria”, per la “valenza simbolica” dei luoghi: in quello che è probabilmente il posto più sorvegliato d’Italia i ladri restano ore, senza sparare un colpo, senza forzare una serratura, senza far scattare alcun allarme.
A farli entrare saranno quattro carabinieri corrotti e le indicazioni fornite da un dipendente della banca rovinato dai debiti. A coordinarli c’è Carminati, il Nero della Banda della Magliana, il Cecato che qualche anno dopo sarà accusato di essere il capo dei capi di Mafia capitale. Per la verità in quel momento sulla sua testa pendono già accuse gravissime: una richiesta di condanna all’ergastolo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli e il processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. Quella notte Carminati rischia grosso ma forse è proprio per questo – per quei procedimenti pesantissimi che incombono sulla sua vita – che il Cecato decide di farsi ladro.
A raccontarlo è il giornalista dell’Espresso, Lirio Abbate, nel libro La Lista – Il ricatto alla Repubblica di Massimo Carminati (Rizzoli), dove mette in ordine tutti gli aspetti rimasti ancora inediti di quello che è forse il prequel di Mafia capitale. In un Paese di dossier, ricatti e pizzini il titolo del saggio di Abbate è evocativo: in quella notte senza luna, infatti, è proprio una lista quella che ha in mano Carminati. Un foglio di carta dove ha appuntato nomi e numeri: sono i titolari e le allocazioni di alcune cassette di sicurezza custodite nel caveau.
Nella pancia del palazzaccio romano ci sono più di novecento forzieri: i cassettari guidati dal Nero ne apriranno solo 147. “Quelle sono roba mia, voi prendere il resto”, dirà il Cecato ai suoi complici. Diventa “roba sua” quindi il contenuto delle cassette di sicurezza intestate a giudici, avvocati, cancellieri del tribunale, alti dirigenti dell’amministrazione giudiziaria. I forzieri svaligiati da Carminati appartengono ad alcuni personaggi che sono tutti legati ai principali misteri d’Italia, dalla P2 all’omicidio Pecorelli, dalla Banda della Magliana alla strage di Bologna: è un caso? E poi: cosa contengono in realtà quelle cassette di sicurezza? Solo denaro e preziosi o – molto più probabilmente – anche documenti, fotografie, possibili armi di ricatto?
Il giornalista dell’Espresso prova a ricostruirlo rivelando che tra i titolari della cassette di sicurezza scassinate da Carminati ci sono i fratelli Wilfrido e Claudio Vitalone: il primo è un avvocato, il secondo invece da magistrato ha sostenuto la pubblica accusa nel processo sul Golpe Borghese, poi ha fatto il senatore e il ministro con Giulio Andreotti e con il divo è stato anche processato e assolto per l’assassinio Pecorelli. Nell’elenco dei derubati da Carminati c’è anche Orazio Savia, pm in alcune contestatissime indagini della procura di Roma – per anni il “porto delle nebbie” di ogni inchiesta scomoda – processato e condannato per corruzione.
La lista del Cecato, però, è lunga: dentro c’è anche il nome di Domenico Sica, magistrato e prefetto, già alto commissario per la lotta alla mafia, per anni nome di primo piano della procura capitolina, titolare delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, sull’omicidio di Aldo Moro, sull’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Morto nel 2014, fino ad oggi nessuno aveva mai incluso Sica nell’elenco dei titolari delle cassette di sicurezza forzate da Carminati. Cosa c’era dentro i suoi due forzieri svaligiati alla Banca di Roma? “Una parte della destinazione della cassetta risale a un’epoca in cui ero Alto commissario. Quindi non lo so, sarei anche tenuto alla riservatezza su quello che poteva contenere la cassetta, ecco…”, concederà Sica ai giudici della procura di Perugia che indagano sul furto al caveau. Quando questi ultimi torneranno a chiedergli se per caso la notte della razzia di Carminati ci fossero ancora documenti riservati nelle sue due cassette di sicurezza, l’ex magistrato negherà con forza.
Quel furto, però, era sicuramente “finalizzato alla sottrazione di documenti scottanti, utilizzabili per ricattare la vittima o terzi”, appunteranno i giudici perugini, che non riusciranno mai a dimostrare se Carminati sia riuscito o meno a mettere a segno il suo obiettivo. Anche perché “nessuno ha denunciato la sottrazione di documenti” e quelli che “avessero detenuto siffatto materiale, ben difficilmente sarebbero poi disposti a denunciarne con entusiasmo la scomparsa”.

L’unica cosa certa è che dopo il furto al caveau Carminati viene assolto per l’omicidio Pecorelli (perfino in appello, quando ad essere condannato è Andreotti), e si salva anche dall’inchiesta sulla strage di Bologna: dopo l’assoluzione in appello, la procura generale non ricorre in Cassazione. Nel frattempo evaporano pure le condanne per mafia legate alla Banda della Magliana, e l’indulto del 2006 falcerà la pena a quattro anni che gli sarà inflitta per la rapina del 1999. Poi di quel blitz al cuore della Repubblica non si parlerà più, nonostante Carminati torni a girare per Roma, a intimidire, ricattare, e – per gli inquirenti – a fondare la sua Mafia, la piovra capitale. “Io sono convinto che se qualcuno avesse dato risalto a quell’inchiesta sul furto al caveau, se si fossero rivelati prima i nomi dei derubati, dei personaggi che sono stati potenzialmente sotto ricatto, sarebbe cambiata non solo la storia di Carminati, ma anche quella della città di Roma, la storia criminale, politica e affaristica di questo Paese”, ragiona oggi con ilfattoquotidiano.it Abbate, più volte minacciato dal Cecato.
Ma il giornalista siciliano non è l’unico che è tornato a parlare della rapina del secolo. Lo fa anche il suo autore principale ed è per la prima volta in 18 anni. “Sulla mia disponibilità economica, tutti ci girano intorno, ma è ovvio quale fosse dal 2002: se c’erano tutti questi dubbi che io avessi partecipato al furto al caveau potevano dirlo prima così mi assolvevano invece di condannarmi”, dirà Carminati intervenendo al processo a Mafia capitale, dove è l’imputato principe: la prima rivendicazione del maxi furto del 1999 arriva in collegamento dal carcere di Parma, dove è recluso in regime di 41 bis. Poi, però, il Nero ammetterà anche altro: “È vero, c’erano molti documenti, e così fra un documento e l’altro ho preso pure qualche soldo”. Un riferimento completamente inedito, quello alle carte, che per Abbate è un messaggio in puro stile mafioso. “Quando abbiamo scritto del caveau – dice il caporedattore dell’Espresso – Carminati è impazzito e per la prima volta ha parlato pubblicamente di quei fatti. Chi è siciliano non fatica a capire che quelle dichiarazioni spontanee avessero un senso ben preciso: io sono qui dentro, recluso, ma ho ancora quei documenti che vi rovinano. Voleva lanciare un messaggio“. L’ultimo mistero figlio di quella notte senza luna è proprio questo: con chi parla oggi Massimo Carminati?

martedì 9 dicembre 2014

Mafia Capitale, il fasciomafioso Carminati “riemerso” anche grazie a tre indulti. - Diego Pretini

Mafia Capitale, il fasciomafioso Carminati “riemerso” anche grazie a tre indulti

La prima condanna definitiva per l'ex Nar è arrivata nel 1987 per una rapina a una banca in zona Eur nel 1979. L'ultima nel 2010 per un colpo alla filiale della Banca di Roma all'interno del Palazzo di Giustizia di Roma, nel 1999. Ma ad aiutarlo sono stati gli sconti di pena che i giudici hanno applicati dopo i provvedimenti dei governi e del Parlamento nel 1986, nel 1990 e nel 2006.

Massimo Carminatier cecato. I giornali hanno raccontato tutto di lui in questa settimana. Terrorista, eversore, neofascista abile con gli esplosivi e criminale comune in cerca del colpo grosso.Valerio Fioravanti – autore della strage di Bologna – lo definisce uno che non “vuole porsi limiti nella sua vita spericolata: pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura”. Link da trent’anni tra gli ambienti neofascisti e la mafia romana. Una storia nient’affatto consegnata alla storia. C’è la maxi rapina alla Banca di Roma del 1999, per esempio. E poi ancora e ancora. “Il nome del Cecato – scriveva due anni fa esatti Lirio Abbate sull’Espresso – viene sussurrato con paura in tutta l’area all’interno del grande raccordo anulare, dove lui continua a essere ritenuto arbitro di vita e morte, di traffici sulla strada e accordi negli attici dei Parioli. L’unica autorità in grado di guardare dall’alto quello che accade nella capitale”. Eppure,Massimo Carminati, il fascio-mafioso, senza un occhio non per caso, era ancora a piede libero, capace non solo di tornare “nel suo mondo” (di mezzo), ma anche di “infettare” le amministrazioni pubbliche. C’entrano anche – di nuovo – le scelte della politica. Carminati per 7 volte ha infatti potuto godere di indulti. Tre provvedimenti – nel 1986, nel 1990 e nel 2006 – che hanno tagliato uno dopo l’altro le pene che in oltre trent’anni di carriera l’ex Nar ha accumulato. E in alcuni casi si tratta di una miscela positiva – per Carminati – che incrocia le decisioni dei giudici, soprattutto i magistrati di sorveglianza che riconoscono, come prevede il codice e la legge, l’affidamento in prova e quando questo va bene anche l’estinzione della pena.
Il primo indulto di cui gode Carminati è quello del 16 dicembre 1986. Il presidente del Consiglio è Bettino Craxi, il suo vice è Arnaldo Forlani, il suo sottosegretario a Palazzo Chigi è Giuliano Amato, il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, il guardasigilli Virginio Rognoni. Viene scarcerato il 22% della popolazione in carcere: oltre 9700 su 43500 circa. Tra chi beneficia del provvedimento è anche Carminati. Lo sconto si applica ai 3 anni e mezzo che la Cassazione gli ha inflitto per 9 capi d’imputazione: tra questi la rapina, il porto illegale di armi, la ricettazione, le lesioni personali. Si tratta di fatti del 1979 e del 1980. In un caso, il 27 novembre 1979, Carminati, insieme ad alcuni del Nar e di Avanguardia Nazionale (tra questi c’era anche Fioravanti), rapinò la filiale della Chase Manhattan Bank all’Eur. Rubano “assegni turistici”. Una parte della refurtiva finirà nelle mani del boss della Banda della Magliana, Franco Giuseppucci. Il dispositivo della sentenza definitiva (dell’aprile 1987) parla appunto di 3 anni e mezzo di reclusione. Ma su questa pena interviene l’indulto del 1986 che condona anche tutte le pene accessorie, come l’interdizione dai pubblici uffici. Finisse qui. Su questa condanna interviene anche un altro indulto, firmato – come il precedente – dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il capo del governo è Giulio Andreotti, il suo vice Claudio Martelli, il ministro della Giustizia Giuliano Vassalli. Alla fine per questi 9 reati sarà disposta la riduzione della pena per liberazione anticipata nel 1992. Come prevede la legge sull’ordinamento penitenziario “al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione” viene riconosciuto uno sconto di 45 giorni ogni 6 mesi di pena scontata. E quindi gli tolgono altri 7 mesi e rotti.
L’indulto del 1990 falcia anche un’altra sentenza della Cassazione, pronunciata nel 1991. I capi d’imputazione sono 4 e sempre gli stessi: rapina, detenzione illegale di armi e munizioni, porto illegale di armi. Il dispositivo è di un anno, 6 mesi e 20 giorni. Gli viene condonata l’intera pena della reclusione e tutte le pene accessorie. La data non è banale: 30 luglio 1980, due giorni prima che la stazione di Bologna saltasse per aria. La cancellazione totale della pena avviene anche per una sentenza della corte d’appello di Milano del 1988, 8 mesi per ricettazione, la data della commissione del reato è 20 aprile 1981. E’ il giorno in cui Carminati perde l’occhio: sta fuggendo verso la Svizzera insieme ad altri due avanguardisti. Al valico del Gaggiolo (in provincia di Varese) li aspetta la polizia che apre il fuoco. I due avanguardisti ne escono senza un graffio, Carminati ci lascia l’occhio. Finisce dentro, viene operato più volte, montano le polemiche perché i tre erano disarmati, i missini e i radicali chiedono la scarcerazione. Verrà liberato, ma dura poco perché viene coinvolto nelle indagini sulla Banda della Magliana. Pena finale 6 anni (è il 2000) poi per l’accumulo delle condanne diventeranno 11 e 9 mesi che in parte ha già scontato. Il magistrato di sorveglianza nel 2006 disporrà anche la revoca della libertà vigilata.
Infine il grande ritorno con il colpo al caveau della Banca di Roma: finirà con una condanna, pure quella indultata. La rapina è alla filiale interna al palazzo di Giustizia, a piazzale Clodio. E’ l’estate del 1999: Carminati è ritenuto la mente di tutta l’operazione, coordina 23 persone anche all’interno dell’edificio. Rubano 50 miliardi di lire, gioielli, decine di cassette di sicurezza. L’obiettivo, secondo chi indagherà, era raccogliere documenti riservati sui magistrati. La sentenza della Cassazione (21 aprile 2010) fissa la pena a 4 anni. Già nel maggio il procuratore generale di Perugia dispone la sospensione dell’esecuzione della pena. Poi arriva anche l’indulto, il terzo. E’ quello del 2006, al governo da pochi mesi c’è l’Unione e a Palazzo Chigi Romano Prodi, il ministro della Giustizia è Clemente Mastella, ma vota sì tre quarti del Parlamento: contrari solo Idv, Lega e An, si astengono i Comunisti Italiani. Il risultato è che tre mesi dopo – a luglio – Carminati ottiene l’affidamento in prova. A gennaio la pena è estinta. Gli restano – dopo i nuovi ricalcoli – un anno da scontare e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ma è evidente che per fare soldi, nei “pubblici uffici” non aveva bisogno di entrarci.