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domenica 15 marzo 2020

Il disastro delle mascherine: “Decine di milioni in meno”- - Alessandro Mantovani



“Decine di milioni in meno”
L’allarme di Borrelli – Il capo della Protezione civile: “Dall’estero non arrivano.
Ne servono 90 milioni al mese, ne sono arrivate solo 5 milioni”.
E la Lombardia lo attacca...


Il peggio deve ancora venire perché il governo prevede che il picco dei contagi giornalieri possa arrivare attorno al 18 di marzo, mercoledì prossimo, quindi almeno per altre due settimane aumenteranno i pazienti negli ospedali e nelle terapie intensive, specie quelle della Lombardia, dell’Emilia-Romagna e del Veneto. E alla guerra medici e infermieri vanno senz’armi. Mancano le mascherine, decine di milioni di mascherine protettive, tanto che negli ospedali le riciclano o usano quelle non omologate, oppure le fanno con il panno antipolvere come denunciato a Roma dall’Usb. Forse anche per questo contiamo centinaia di medici e infermieri colpiti dal virus e migliaia costretti a turni massacranti anche mentre aspettano l’esito del tampone.
Mancano le mascherine, ma anche gli apparecchi per la terapia intensiva, i ventilatori. I malati in terapia intensiva ieri erano 1.518, 190 in più da venerdì. Sono 732 (+82 in un giorno) nella sola Lombardia dove i posti di terapia intensiva sono stati portati a mille e decine di pazienti vengono trasferiti in altre regioni con tutto quel che comporta per l’impegno di un medico anestesista per ogni viaggio. L’assessore Giulio Gallera promette altri 200 posti, ma potrebbero servirne migliaia nella regione che conta da sola oltre la metà dei contagi. E ancora, in terapia intensiva ci sono 152 persone (+44) in Emilia-Romagna, 150 (+15) in Piemonte, 119 (+12) in Veneto. È l’8,5 per cento dei pazienti in trattamento nel Paese (17.750), quasi metà (7.860) sono a casa e gli altri (8.372) nei reparti ordinari degli ospedali.
I contagi rilevati, che sono solo una parte del totale visto che agli asintomatici non viene quasi mai fatto il tampone (e nemmeno a tutti i sintomatici), sono saliti ieri sera a 21.157 (+3.497) tenendo conto anche dei morti che sono ormai 1.441 (+175, molto meno dei 250 di venerdì) e dei 1.966 ritenuti guariti (+537).
L’allarme per le mascherine l’ha lanciato Angelo Borrelli, direttore della Protezione civile: “In tutto il mondo c’è una chiusura delle frontiere all’esportazione, penso a Paesi come India, Russia e Romania, che rappresentano il mercato dal quale i fornitori avevano recuperato mascherine. Il lavoro di recupero delle mascherine è molto faticoso. Ma è un problema non soltanto italiano”.
Insomma chi le ha se le tiene, anche perché il virus minaccia tutti. Il governo ha impegnato anche le forze armate per accelerare la produzione di alcune aziende italiane, ma non basta, provvedimenti in questo senso sono attesi anche nel decreto che dovrebbe essere emanato oggi. Ne servono decine di milioni, così ha spiegato il direttore della Protezione civile: “Sulle mascherine – ha precisato Borrelli – il fabbisogno su base mensile è di circa 90 milioni di unità complessive. Abbiamo stipulato contratti per oltre 55 milioni di mascherine. A oggi ne sono state consegnate più di 5 milioni e ne abbiamo registrate 20 milioni che avevamo contrattualizzato e che per vari motivi non sono arrivate”. Come per i respiratori, da cui dipenderà materialmente la vita di migliaia di persone nelle prossime settimane, la questione è sul tavolo del commissario Domenico Arcuri, ex Invitalia, nominato nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Polemica a distanza invece tra l’assessore lombardo Gallera e la Protezione civile dello stesso Borrelli: ieri la Regione Lombardia ne ha ritirate 250 mila dalle strutture sanitarie. “Servono mascherine del tipo fpp2 o fpp3 o quelle chirurgiche e invece ci hanno mandato un fazzoletto, un foglio di carta igienica, di Scottex”, ha protestato l’assessore di Fontana attaccando la Protezione civile. “Non sono marchiate Cee, i nostri operatori ci hanno detto ‘come possiamo utilizzarle?’”. La Lombardia prova a fare da sola e nomina commissario Guido Bertolaso, l’ex capo della Protezione civile, quasi un anti-Borrelli.
Ora si fa il possibile, con le misure di contenimento, per ritardare il picco dei contagi, che può davvero mettere in ginocchio il Servizio sanitario nazionale. Contrarre tutti il virus è possibile, ma farlo troppo rapidamente sarebbe un disastro. Le stime del governo, indicate nella relazione introduttiva di quello che oggi dovrebbe essere emanato come terzo decreto delle tre settimane dell’emergenza, dicono che il massimo dei contagi giornalieri arriverebbe attorno al 18 marzo, mercoledì prossimo, poco sotto 4.500 contagi al giorno. Poi scenderà ma l’effetto si vedrebbe più avanti. Il governo prevede 92 mila contagiati. Sarebbero circa 3000 morti.

domenica 21 luglio 2019

Il più grande. - Marco Travaglio



Se l’idea di Giustizia avesse un volto, avrebbe il suo. Se il precetto costituzionale “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge” avesse un nome, avrebbe il suo. Francesco Saverio Borrelli è stato il più grande magistrato che abbia avuto in dono l’Italia, almeno fra quelli che hanno goduto del privilegio di morire nel loro letto. Diceva Brecht: “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”. Ma nessun popolo può fare a meno dei simboli e degli esempi, e lui era entrambe le cose. Nel 1992-’93, mentre l’Italia crollava bombardata dalle stragi e corrosa dal cancro della corruzione, la gente perbene si aggrappò alla sua toga e a quelle del suo pool Mani Pulite: D’Ambrosio, Di Pietro, Colombo, Davigo, Greco. Si ebbe, in quella breve parentesi, la sensazione che la legge fosse davvero uguale per tutti. E l’illusione che gli italiani onesti fossero maggioranza. Durò poco, è vero, infatti subito dopo arrivò B., che inquinò tutto, anche la sinistra, anche la magistratura (con un Borrelli sulla breccia, uno scandalo come quello del Csm sarebbe stato impensabile: per ragioni estetiche ancor prima che etiche). Ma – ripeteva Borrelli – “il seme è stato gettato” e qualche frutto s’è visto.
Era un uomo timido, nel privato. Ma, quando indossava la toga, diventava coraggioso. Sapeva di essere protetto dalla Costituzione, dalla corazza dell’obbligatorietà dell’azione penale e dell’indipendenza da ogni altro potere. Difendeva sempre i suoi uomini. Non guardava in faccia nessuno. E si lasciava scivolare pressioni, aggressioni e blandizie come acqua piovana sulla toga impermeabile. Gli attacchi di ogni colore, gli insulti, le calunnie, le ispezioni ministeriali, i procedimenti disciplinari al Csm, le indagini penali a Brescia che ha subìto non si contano. Spioni d’angiporto e pennivendoli di fogna hanno perso anni a cercargli uno scheletro nell’armadio per sputtanarlo, un tallone di Achille per ricattarlo: invano. E allora han cominciato a inventare. I politici di destra e sinistra lo detestavano proprio perché era inattaccabile e i loro elettori credevano a lui, non a loro. Anche grazie al suo humour snob e tagliente. Proprio 25 anni fa, il 14 luglio 1994, il governo B. partorì il decreto Biondi, che vietava il carcere per i reati di Tangentopoli, ma non per quelli di strada. Lui sibilò dalle labbra affilate come una lama: “È singolare che, nell’anniversario della presa della Bastiglia, si aprano questi squarci nei muri di San Vittore e del carcere di Opera. Il governo, invece di predisporre misure idonee a impedire la perpetuazione di un sistema di corruzione, dimostra la preoccupazione opposta”.
E concluse: “Evidentemente considera la magistratura troppo efficiente…”. Mesi dopo, mentre il cerchio si stringeva sul Berlusconi giusto, il suo ministro della Giustizia ad personam Alfredo Biondi sbroccò con una battutaccia contro l’intera magistratura inquirente: “Un grande avvocato mi diceva sempre: ‘Studia figliolo, o diventerai un pubblico ministero…’”. Borrelli lo fulminò con un’allusione al suo tasso alcolico: “Il ministro Biondi, a un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio, s’è concesso una battuta impertinente e di cattivo gusto, che i magistrati non si attenderebbero certo dal loro ministro”. Quando poi, nel 2001, in via Arenula arrivò il leghista Roberto Castelli, ingegnere acustico specializzato in abbattimento di rumori autostradali e in leggi ad personam, prese a chiamarlo “l’ingegner ministro”. Ogni tanto dissentiva dai suoi pm, ma lo diceva loro a quattr’occhi. Come quando non condivise il comunicato del Pool contro il decreto Biondi, letto in conferenza stampa da Di Pietro. Quando, a fine anni 80, si schierò con Armando Spataro nello scontro furibondo con Ilda Boccassini sulla gestione delle indagini sulla mafia a Milano e inviò al Csm un parere poco lusinghiero su di lei, che emigrò in Sicilia, per poi tornare a Milano nel ’95 e diventare la sua beniamina. Quando intimò all’ormai ex pm Di Pietro di smentire B. che in tv gli aveva attribuito una dissociazione dall’invito a comparire per le tangenti alla Finanza: “se no la prossima volta ti faccio volare giù dalle scale a calci”. Quando fece una lavata di capo al giovane Paolo Ielo, che in aula aveva definito Craxi “criminale matricolato” per le intercettazioni che provavano i dossieraggi contro il pool da Hammamet: “Hai fatto malissimo a usare quelle parole. Potevi dire le stesse cose con più stile”.
Ecco: lo stile. Borrelli, napoletano, classe 1930, figlio e nipote di magistrati, in toga dal 1955, di stile ne aveva da vendere. Lo dimostrò nel 2002, quando uscì di scena il giorno del pensionamento. Anzi, del prepensionamento, perché per levarsi dai piedi lui e il suo coetaneo D’Ambrosio, B. varò una legge apposita che portava l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 72 anni. Borrelli chiuse in bellezza il 12 gennaio, con la toga rossa e l’ermellino di Pg, inaugurando l’anno giudiziario col celebre appello a “resistere, resistere, resistere” allo “sgretolamento della volontà generale e al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto”. Parola d’ordine che fu subito raccolta dai Girotondi. Lui però aveva già lasciato il proscenio, evitando quel reducismo patetico che guasta anche la memoria dei migliori. Faceva il nonno, suonava il piano, andava in bici, leggeva. Niente interviste, libri di memorie, consulenze, incarichi a gettone (a parte quello, a tempo, di capo dell’Ufficio indagini della Federcalcio commissariata per Calciopoli, e la presidenza del Conservatorio). In un Paese serio l’avrebbero promosso senatore a vita e proposto alla Presidenza della Repubblica (poltrone che probabilmente avrebbe rifiutato). Quindi, non in Italia. Grazie di tutto, dottor Borrelli.