Paul Krugman sul New York Times incoraggia i greci a votare “No” alle condizioni della Troika nel referendum di domenica — e a prepararsi ad uscire dall’euro. Se era evidente da subito che l’euro era un errore, l’uscita è stata forse frenata dal timore del caos finanziario. Ma questo caos, sottolinea il premio Nobel, ormai si è comunque concretizzato. E finalmente Krugman aggiunge un punto politico cruciale: non si tratta solo di economia, si tratta di democrazia: se i greci perdono questa occasione, consegnano definitivamente la propria indipendenza e le leve del potere ai funzionari (non eletti) della Troika.
di Paul Krugman, 29 giugno 2015
È diventato ovvio da tempo che la creazione dell’euro è stato un errore tremendo. L’Europa non ha mai avuto le precondizioni necessarie perché una moneta unica funzionasse con successo — su tutto, quel genere di unione fiscale e bancaria che, per esempio, garantisce che quando in Florida scoppia una bolla immobiliare, Washington protegge automaticamente gli anziani contro ogni rischio per le loro cure mediche o i loro depositi bancari.
Abbandonare un’unione monetaria, tuttavia, è una decisione molto più difficile e spaventosa che quella di non entrarvi fin dall’inizio, e ancora oggi perfino le economie più in difficoltà del continente europeo hanno fatto ogni volta un passo indietro da quel confine. Di volta in volta i governi si sono sottomessi alle pretese dei creditori di imporre un’austerità sempre più dura, mentre la Banca Centrale Europea è riuscita a contenere il panico sui mercati.
Ma la situazione della Grecia è arrivata ad un punto che sembra di non ritorno. Le banche sono state momentaneamente chiuse e il governo ha imposto controlli sui capitali — cioè ha imposto dei limiti sugli spostamenti di denaro verso l’estero. Sembra molto probabile che il governo dovrà presto iniziare a pagare pensioni e salari con dei certificati di credito fiscale, creando di fatto una moneta parallela. La prossima settimana il paese terrà un referendum per decidere se accettare le richieste della “troika” — le istituzioni che rappresentano gli interessi dei creditori — di una ancora maggiore austerità.
La Grecia dovrebbe votare “No”, e il governo greco dovrebbe essere pronto, se necessario, ad abbandonare l’euro.
Per capire perché dico così dovete rendervi conto che la maggior parte — non tutto, ma la maggior parte — di ciò che avete sentito dire sulla dissolutezza e l’irresponsabilità fiscale dei greci è falso. Sì, il governo greco ha speso al di sopra dei propri mezzi alla fine degli anni 2000. Ma fino ad allora aveva ripetutamente tagliato le spese e alzato le tasse. L’occupazione pubblica è stata ridotta di oltre il 25 percento, e le pensioni (che in effetti erano troppo generose) sono state tagliate fortemente. Se ci aggiungete tutte le misure di austerità, ciò sarebbe dovuto essere più che sufficiente per annullare l’iniziale deficit e trasformarlo in un grosso surplus.
Dunque perché questo non è accaduto? Perché l’economia greca è crollata, in larga parte a causa di quelle stesse misure di austerità, trascinandosi dietro il gettito fiscale.
E questo crollo, a sua volta, ha avuto molto a che fare con l’euro, che ha intrappolato la Grecia in una camicia di forza economica. Le storie sull’austerità che funziona, nelle quali i paesi limitano il deficit senza portare a una depressione, di solito implicano forti svalutazioni della moneta per rendere le esportazioni più competitive. Ciò è quanto è accaduto, per esempio, al Canada negli anni ’90, e in misura importante anche all’Islanda più recentemente. Ma la Grecia, non avendo la propria moneta, non ha avuto questa opzione.
Quindi sto sostenendo che ci debba essere il “Grexit” — l’uscita della Grecia dall’euro? Non per forza. Il problema del Grexit è sempre stato quello del rischio del caos finanziario, di un sistema bancario sconvolto da prelievi dettati dal panico, e di imprese in difficoltà a causa dei problemi bancari e dell’incertezza sullo stato legale dei debiti. Questo è il motivo per il quale un governo greco dopo l’altro ha ceduto alle richieste di austerità, e perché perfino Syriza, la coalizione di governo di sinistra, è stata disposta ad accettare l’austerità che era già stata precedentemente imposta. Tutto ciò che Syriza ha chiesto finora è stato, di fatto, di evitare ulteriori misure di austerità.
Ma la Troika non se l’è data per intesa. È facile perdersi nei dettagli, ma il punto essenziale adesso è che alla Grecia è stata fatta un’offerta “prendere o lasciare” che tutto sommato non è distinguibile dalle politiche condotte nei cinque anni precedenti.
Si trattava di — e forse è stata decisa proprio per essere — un’offerta che il premier greco Alexis Tsipras non poteva accettare, perché avrebbe distrutto la sua ragion d’essere politica. Lo scopo quindi deve essere stato quello di scacciarlo dalla sua carica, e questo è probabilmente ciò che avverrà se gli elettori greci dovessero avere tanta paura di un confronto con la Troika da votare “Sì” nell’imminente referendum.
Eppure non dovrebbero, per tre ragioni. Primo, adesso sappiamo che un’austerità sempre più dura è un vicolo cieco: dopo cinque anni la Grecia è in una condizione peggiore che mai. Secondo, molto e probabilmente la maggior parte del caos temuto nel caso di Grexit è già avvenuto. Con le banche chiuse e l’imposizione dei controlli di capitale, ora non restano molti altri danni da fare.
Infine, accettare l’ultimato della Troika rappresenterebbe l’abbandono definitivo di qualsiasi pretesa di indipendenza da parte della Grecia. Non fatevi ingannare da chi dice che i funzionari della Troika sono solamente dei tecnici che spiegano agli ignoranti greci cosa deve essere fatto. Questi supposti “tecnici” sono in realtà dei visionari che trascurano tutto ciò che sappiamo di macroeconomia, e che si sono dimostrati in errore ad ogni pie’ sospinto. Non si tratta di fare analisi, si tratta del potere — il potere che i creditori hanno di staccare la spina all’economia greca, potere che persiste fino a che si continua a ritenere che l’uscita dall’euro sia un’eventualità impensabile.
È venuto il tempo di mettere fine a questa impensabilità. In caso contrario la Grecia si troverà di fronte a un’infinita austerità, e a una depressione senza l’ombra di una conclusione.