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giovedì 15 febbraio 2024

IL MISTERIOSO CRONIDE DI CAPO ARTEMISIO. - OLGA GIORDANO

 

Il Cronide di Capo Artemisio è un perfetto connubio tra possanza fisica e armonia anatomica. Con i suoi oltre due metri di altezza, campeggia in una delle più affollate sale del Museo archeologico di Atene, costituendo uno dei pochi esemplari bronzei risalenti all'antica Grecia giunti fino a noi. Poche sono le notizie relative alla storia di questa eccezionale scultura: fu rinvenuta nel 1926, nelle acque del mare Egeo, prospicienti al comune di Artemisio, sull'isola di Eubea, nei pressi del relitto di una nave, probabilmente diretta a Roma, e trasportante manufatti artistici, intorno al 200 a.C.. Sempre accanto al relitto, fu rinvenuta un'altra grande scultura bronzea, nota come "Fantino di Artemision", raffigurante un bambino su un cavallo in corsa. Le operazioni di recupero di queste opere furono funestate dalla morte di un sub e tale evento condizionò tanto negativamente gli animi, che l'impresa fini per languire. L'identità stessa della divinità rappresentata è oggetto di pareri discordi tra gli studiosi, in una ormai decennale querelle, tra chi sostiene si tratti di Zeus, nell’atto di scagliare la sua letale saetta, e chi invece sostiene l'identità di Poseidone, colto anch'egli nell’atto di lanciare il suo tridente. Probabilmente, l’oggetto che potrebbe dirimere la questione, giace ancora sepolto tra i fondali sabbiosi del mar Egeo. Tuttavia, la posizione delle dita della statua farebbero propendere per l’identità di Poseidone: infatti, mentre la mano di Zeus, solitamente, impugna la folgore a piena mano, piegando tutte le cinque dita, nel caso della nostra statua, le dita piegate sono solo tre, compatibili con il lancio calibrato di un oggetto più lungo. 


Questi dubbi, unitamente al fatto che le due divinità sono rappresentate spesso con sembianze e pose simili, ha fatto preferire agli archeologi il termine "Cronide", cioè figlio di Crono, ascendenza comune ad entrambe le divinità in questione. Zeus e Poseidone, infatti, erano entrambi figli di quel Crono, dio del Tempo, tristemente noto nella mitologia greca, per l'abitudine di divorare i suoi figli, nati da Rea, ossessionato dal timore di venire detronizzato e ucciso da uno di essi, come gli era stato profetizzato. Cosa che, puntualmente accadde, poiché neanche gli dei possono sfuggire al proprio destino, quando Rea invece del neonato Zeus, nascosto a Creta e affidato alle cure dei Cureti, che ne coprivano i vagiti con le loro rumorose danze, offrì in pasto al marito una pietra avvolta in fasce. Così, Zeus una volta adulto, costrinse il padre a rigurgitare i numerosi fratelli maggiori, meraviglia mitologica, e lo sconfisse nella Titanomachia. Ma questa è un’altra storia. Il Cronide è stato datato al 480,-470 a.C., e viene annoverato tra i migliori esempi dello stile severo, una fase artistica di transizione tra l’età arcaica e il pieno classicismo, in cui si fa strada un nuovo concetto di movimento dove la staticità e la rigidità statuarie si evolvono verso pose più rilassate e di plastico realismo. In questa fase si afferma il "chiasmo", una formula risolutiva della rigidità della figura, che grazie alla flessione di arti corrispondenti e allo schema compositivo inverso, teorizzato da Policleto, ricorda la lettera "chi" (x) dell'alfabeto greco, conferisce una fluidità di movimento alla scultura mai sperimentata in precedenza e che trova l'espressione più sublime nel pieno classicismo dei Bronzi di Riace. Cosi, pur essendo immobile, il Cronide vibra di un sotterraneo dinamismo, che percorre la muscolatura perfetta, cristallizzata nella tensione del lancio e nel saldo appoggio podalico, su cui si distribuisce l'intero peso del corpo. Il volto, chiuso in un atarassico distacco, e incorniciato da capelli ricci e corti e da una barba lunga e curata, connotazione di maturità, ha orbite vuote, un tempo impreziosite con avorio, argento e rame per rendere lo sguardo più vivido. Non c’è traccia del tradizionale sorriso arcaico, presente nelle statue dei kouroi, i giovani ideali (e che ritroviamo nelle sculture etrusche, ad esempio l’Apollo di Veio) Tuttavia, si coglie la concentrazione dello sguardo lungo la direttiva del braccio teso, evocante una potenza inesorabile. Non conosciamo l’autore dell’opera ma, certamente, fu realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, tipica della lavorazione bronzea. È il prototipo perfettamente rappresentativo della divinità, la cui bellezza atletica, lontana dalle contingenze umane, è fonte di meraviglia e ammirazione e al contempo di timore e sgomento reverenziale. Un’emozione antica che attraverso i secoli giunge fino a noi.

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