Se Totò Riina avesse saputo che era così semplice cancellare l’ergastolo, nel 1992 si sarebbe risparmiato le stragi, le trattative con lo Stato, forse anche l’arresto e sarebbe morto nel suo letto. Non aveva previsto, uomo di poca fede, che un giorno sarebbero arrivate la Corte europea dei diritti dell’uomo e poi in appello la Grande Chambre a trasformare l’Italia nell’Eldorado di mafiosi e terroristi, spazzando via la loro bestia nera: l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario che esclude dai benefici carcerari (permessi, semilibertà, liberazione condizionale, liberazione anticipata, lavoro esterno) i condannati a vita per i delitti più gravi. Un verdetto sciagurato che trasformerà l’ergastolo in una burletta, farà sparire i collaboratori di giustizia e rimetterà in sella i boss irriducibili grazie all’aspettativa di uscire un giorno di galera. A meno che il governo, il Parlamento, la Consulta e i giudici italiani non se ne infischino dell’invito a smantellare l’antimafia e l’antiterrorismo per evidenti esigenze di sicurezza nazionale, come sarebbe sommamente doveroso, finchè a Strasburgo non siederanno giudici più competenti e meno scriteriati.
L’articolo 4-bis detto “ergastolo ostativo” per facilitare la comprensione ai cialtroni che ancora s’indignano se “fine pena mai” vuol dire “fine pena mai”- fu introdotto nel 1992, dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio: Falcone e Borsellino dovettero morire ammazzati perchè lo Stato si dotasse delle armi antimafia che da vivi avevano chiesto mille volte, invano. Anch’essi, se avessero previsto la sentenza di ieri, si sarebbero forse risparmiati quella fine terribile. Eppure era chiaro a tutti che, per spezzare il vincolo di omertà che garantisce lunga vita e impunità ai clan, occorreva una controspinta formidabile a parlare, almeno pari alla convenienza a tacere e alla paura delle vendette trasversali. Quella controspinta i due giudici (e molti altri con loro) la individuarono in una “tenaglia” a due ganasce: ampi benefici per chi collabora con la giustizia, rischiando la propria pelle e quella dei propri famigliari; e l’ergastolo vero, duro e isolato, senza sconti né scappatoie, per chi tace. Risultato: migliaia di “pentiti” in pochi anni fecero luce almeno sulla manovalanza mafiosa delle stragi, aiutando lo Stato a catturare centinaia di boss, killer e favoreggiatori, a dare un nome a migliaia di colpevoli di delitti insoluti, a sequestrare montagne di armi e soldi.
Poi, faticosamente e fra mille ostacoli, presero a svelare le verità più indicibili, di cui pochissimi erano a conoscenza, sulla trattativa e i mandanti esterni. E lì partirono le controriforme all’insegna del cosiddetto “garantismo” di destra, di centro e di sinistra, sempre a vantaggio dei colpevoli e mai delle vittime.
Riina aveva subito colto gli effetti devastanti della tenaglia studiata da Falcone e Borsellino. Infatti, ai primi vagiti del decreto Scotti-Martelli sul 41-bis (e il 4 bis), varato dopo Capaci ma poi accantonato in Parlamento fino a via d’Amelio, aveva messo nero su bianco nel “papello” della trattativa con il Ros che le stragi sarebbero finite solo con l’abolizione dell’ergastolo e del 41-bis, cioè del carcere duro ed eterno: ne andava della sopravvivenza di Cosa Nostra, legata a filo doppio alla regola aurea dell’omertà. Lo sapevano e lo sanno tutti: tranne la Cedu e la Grande Chambre, col contorno dei “garantisti” più o meno pelosi all’italiana. Eppure, a queste anime belle perse nell’astrattismo di un diritto iperuranico, ignorante e sganciato dalla realtà, basterebbe leggere i messaggi e gli avvertimenti di boss come Giuseppe Graviano, che da dieci anni minaccia di parlare (non solo nei conciliaboli col compagno di ora d’aria, ma anche a verbale) se non saranno rispettate le promesse fatte nel 1992-’94 e sempre (in parte) tradite. Ora anche lui si batterà una mano sulla fronte: anzichè faticare le sette camicie a ricattare B. e Dell’Utri, gli bastava inoltrare una domanda in carta bollata a Strasburgo.
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