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venerdì 23 luglio 2021

Legge sulla Giustizia: colleghi e politici, imparate a leggere. - Peter Gomez

 

Napoleone era solito ripetere che non bisogna “mai attribuire alla malizia ciò che spiega adeguatamente con l’incompetenza”. In questi giorni, sfogliando i giornali e assistendo in tv al dibattito sulla riforma Cartabia, abbiamo avuto la prova di quanto l’imperatore dei francesi avesse ragione. 

Come sempre accade quando si discute di giustizia la vis polemica ha preso il sopravvento. In ben pochi si sono così addentrati negli aspetti tecnici del disegno di legge e chi lo ha fatto ha spesso dimostrato di non aver letto la norma o di averla letta senza però capirla. In questo senso la palma d’oro spetta alla politica. Ieri, ad esempio, Matteo Salvini, intervistato da Il Giornale, ha definito “un’osservazione singolare” la constatazione del procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho, che aveva sottolineato come la riforma, se approvata senza correzioni, avrebbe indebolito la lotta a Cosa Nostra e ’Ndrangheta. “Nella riforma Cartabia”, ha affermato sicuro Salvini, “quel tipo di reato viene escluso dalla norma sulla prescrizione. Sono stato ministro dell’Interno: con la Lega al governo non ci saranno mai passi indietro su questo tema”. Purtroppo per Salvini, e purtroppo per i cittadini, è vero il contrario. Il disegno di legge prevede semplicemente che i processi per mafia e terrorismo, se particolarmente complessi, evaporino in appello in tre anni, al posto di due e in Cassazione in 18 mesi, al posto di 12. Per i dibattimenti di questo tipo non esiste insomma nessuna esclusione dalla riforma. Salvini però ha almeno un’attenuante: la ministra Marta Cartabia che in Parlamento gli ha confuso le idee. 

Alla Camera la ministra ha sostenuto che quel tipo di processi “non andranno in fumo” perché “nei procedimenti per mafia e terrorismo le contestazioni spesso riguardano reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo. Quindi si esclude ogni tipo di improcedibilità”. Un’affermazione falsa visto che i reati che non si prescrivono, come l’omicidio o la strage, vengono contestati solo a una piccola parte dei presunti mafiosi o loro fiancheggiatori.

Peggio, però, di chi siede in Parlamento, o al governo, fanno i mass media. Negli ultimi giorni, ad esempio, Repubblica e Il Messaggero se la sono presa con Giuseppe Conte perché ha detto: “Non accetteremo mai che il processo per il crollo del ponte Morandi possa rischiare l’estinzione”. Per i due quotidiani quella di Conte è una bugia, perché la legge ha una data di entrata in vigore successiva al disastro di Genova. Chi lo scrive però dimostra solo di non sapere che in tribunale si applica sempre la norma più favorevole all’imputato. Difficile sostenere, come fanno alcuni consulenti di Cartabia, che qui ci si trovi davanti a una semplice norma di natura processuale per la quale il cosiddetto favor rei non scatta. Le conseguenze della nuova legge sono infatti sostanziali. Se ho commesso una rapina con la vecchia prescrizione c’erano 15 anni di tempo per arrivare a sentenza definitiva. Ora ce ne sono solo due per celebrare l’appello e uno per la Cassazione. Poi scatta l’improcedibilità. Nei dibattimenti si annunciano perciò pioggia di ricorsi alla Consulta, con relativo rischio di impunità anche sul ponte Morandi. 

Per questo noi che alle balle dei politici e dei governanti di ogni colore siamo ormai rassegnati (nel recente passato, sia chiaro, ne ha detta qualcuna pure Conte), ci sentiamo di rivolgere un appello ai nostri colleghi. Cari giornalisti, per fare il nostro lavoro non serve una laurea. Serve però l’impegno e lo studio degli argomenti di cui ci si occupa. Se non ve la sentite cambiate mestiere.

ILFQ

venerdì 16 luglio 2021

Perché non ci sono foto di politici mentre fanno il vaccino? - Peter Gomez

 

La politica si divide sul Green Pass. C’è chi è a favore, chi contro e chi lo vuole all’italiana: non per bar e ristoranti, sì per tutto il resto. In attesa che il governo faccia sentire la sua voce, la campagna di vaccinazione registra una brusca frenata. All’appello mancano ancora tantissimi over 60. Il 18 giugno i non vaccinati anziani erano 2 milioni e 833 mila. Tre settimane dopo, il 9 luglio, solo 300 mila in meno.

La chiamata alla siringa del generale Francesco Figliuolo, condita da roboanti frasi del tipo “li cercheremo casa per casa”, è rimasta sulla carta tanto che, se si andrà avanti di questo passo, gli over 60 saranno tutti immunizzati solo a dicembre. L’improvvido ottimismo che il 23 aprile aveva spinto il militare ad assicurare ai sindaci la conclusione della campagna vaccinale entro l’estate è insomma solo un ricordo. Al di là delle discussioni sulle responsabilità di Figliuolo, di Palazzo Chigi, delle Regioni e dell’Europa, resta il fatto che è ben difficile convincere i cittadini a vaccinarsi se chi li rappresenta al governo e in Parlamento marca visita. Tanti politici, è vero, hanno dato il buon esempio. I social sono pieni zeppi di foto di deputati, senatori, presidenti di Regione che offrono il braccio al siero. Curiosamente, però, mancano le immagini di chi di social vive.

Matteo Salvini che documenta su Instagram e Facebook i propri pranzi, le cene e persino il cappuccino, il caffè e l’ammazacaffè, sul punto appare renitente. Il 2 luglio aveva spiegato di aver dovuto far saltare l’appuntamento a causa di un processo e aveva garantito che arrivato il suo momento avrebbe postato “una foto con dedica” (al presidente campano Vincenzo De Luca che gliene aveva chiesto conto, ndr).

Siamo arrivati al 16, in Lombardia vista la carenza di volontari, gli appuntamenti te li fissano ormai nel giro di due giorni, ma tutto ancora tace. E silenziosa è pure Giorgia Meloni che, dopo aver accusato il governo Conte bis e il vecchio commissario Arcuri di imperdonabili ritardi nella pianificazione delle vaccinazioni, il 10 giugno assicurava che presto si sarebbe immunizzata: “Mi sono prenotata”. Sono passati 35 giorni. Nel Lazio vaccinano pure gli under 16, ma lei sui social, per la gioia dei no-vax, ha postato di tutto tranne che la sua foto con la siringa al braccio.
Conte, invece, s’è fatto la prima dose il 12 luglio e farà il richiamo a fine mese. Decisamente pro-vax è anche Matteo Renzi, che da premier impose il “pacchetto” obbligatorio della Lorenzin e lo scorso anno, quando ancora quelli anti-Covid non c’erano, annunciò una petizione perché diventassero obbligatori. Oggi i vaccini ci sono. E in Rete ci sono pure le immagini di Maria Elena Boschi che più giovane di lui, dà il buon esempio con tanto di didascalia: “A tutela della mia salute e di quella della comunità”. Mancano invece quelle di Matteo. Due giorni fa, quando gli hanno chiesto “lei è controcorrente (il titolo del suo nuovo libro, ndr) anche perché è uno dei pochi parlamentari a non essersi ancora vaccinato?”, Renzi ha risposto così: “Nel mese di luglio è in corso il procedimento. Conto di finire entro agosto”. “Quindi è già prenotato?”, ha tentato di insistere una giornalista. Niente da fare. L’ex presidente del Consiglio ha proseguito tutto di un fiato: “Rispettando le regole e non saltando la fila” per poi dirsi d’accordo con le decisioni di Macron. In molti malpensanti resta il dubbio che leader di Italia Viva si sia già vaccinato in marzo al Gran premio del Bahrein, dove i vaccini li facevano gratis, mentre in Italia quasi non c’erano. Lui, a suo tempo, ha negato. E noi gli crediamo. Perché Renzi, si sa, è un uomo di parola.

ILFQ

venerdì 12 marzo 2021

Lotta al cashback, il partito degli evasori alza di nuovo la testa. - Peter Gomez


Il partito trasversale degli amici degli evasori rialza la testa. Per rendersene conto basta dare un’occhiata ai giornali. Quasi ogni giorno vengono pubblicati articoli che danno per imminente la fine del cashback di Stato. Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Italia Viva ne chiedono l’abolizione. Qualche esponente del Pd la riduzione. Tutti, ovviamente, brandiscono nobili motivazioni. Dalla lotta alle poche migliaia di furbetti che per incassare il super cashback da 1.500 euro – destinato a chi compie il maggior numero di operazioni con moneta elettronica – hanno frazionato gli acquisti, fino alla necessità di reperire altri fondi da aggiungere ai 32 miliardi di euro accantonati per il decreto Sostegno (i vecchi ristori). La realtà è però diversa. Dietro i no ci sono motivazioni politiche (il cashback è stato uno dei cavalli di battaglia dei governi Conte) e di bieca caccia al consenso elettorale. C’è cioè la convinzione che disincentivare l’utilizzo di bancomat e carte di credito possa spingere chi fa nero a votare per questo o quel partito.

Considerazioni miopi e sbagliate, perché il cashback, oltreché premiare chi utilizza il denaro di plastica, viene ormai visto con favore da tanti commercianti. In periodo di pandemia spinge infatti molti cittadini a uscire di casa per fare compere nei negozi invece che fare spese online (se si usa la carta di credito sul web il rimborso non c’è).

Anche per questo, secondo un’indagine commissionata dalla Community Cashless Society della European House – Ambrosetti (in pratica gli operatori del settore), il livello di soddisfazione tra gli italiani è altissimo. Tanto che oltre il 90 per cento dei giovani tra 25 e 30 anni e il 77 per cento dei residenti al Sud e nelle isole dichiara di aver utilizzato maggiormente i pagamenti elettronici rispetto al passato proprio in previsione del cashback. E il 39 per cento degli intervistati aggiunge di aver speso più del solito nelle ultime settimane.

Sondaggi a parte, numeri oggettivi arrivano da Io, la app scaricata per partecipare all’iniziativa. Io è ormai installata su dieci milioni e mezzo di telefonini, mentre sono già otto milioni gli italiani che la utilizzano. Numeri in aumento così come sono in aumento i cittadini in possesso di Spid. Oggi hanno un’identità digitale più di 18 milioni di persone: 12 in più rispetto a un anno fa. Il nostro Paese è a un passo dalla svolta. La pandemia e iniziative come cashback fanno pensare che nel giro di un paio d’anni la stragrande maggioranza degli italiani potrà dialogare con la Pubblica amministrazione, effettuare pagamenti, ricevere notifiche direttamente sullo smarthphone. Con vantaggi per fisco e burocrazia. Ovviamente alcune cose anche nel cashback vanno riviste e implementate. Per evitare i furbetti che frazionano le spese va, per esempio, utilizzato un algoritmo che blocchi i comportamenti anomali. Mentre tutti i comuni d’Italia devono essere messi in condizione di notificare le loro multe direttamente sull’app da dove devono essere sempre possibili i pagamenti (con 15 euro di risparmio rispetto al costo di una multa cartacea). A chi, invece, sostiene che servono più soldi per i ristori, va ricordato che con un contributo una tantum del 2 e 3 per cento sui patrimoni superiori ai 50 milioni di euro, è possibile raccogliere dieci miliardi. Quando, con comodo viste le lentezze, la maggioranza dei tutti dentro si deciderà finalmente a licenziare il decreto Sostegni, alias Ristori, i fondi in più li vada a prendere lì. Non impoverirà nessuno e mostrerà rispetto per i cittadini onesti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/12/lotta-al-cashback-il-partito-degli-evasori-alza-di-nuovo-la-testa/6130766/

venerdì 9 ottobre 2020

Come Tiziano Renzi, anche noi vogliamo incontrare le Ferrovie. - Peter Gomez

 
















Avviso ai lettori: oggi questa rubrica verrà utilizzata a fini quasi esclusivamente privatistici. Chi scrive si sente eticamente e moralmente autorizzato a farlo dopo aver letto le carte e gli articoli sulla chiusura dell’inchiesta Consip. Documenti in cui si parla di una serie d’incontri, a cui a volte partecipò anche Tiziano Renzi, per chiedere alle ferrovie di fermare il Frecciarossa a Rignano sull’Arno, in modo di facilitare l’arrivo della clientela in un outlet con cui Renzi senjor aveva un rapporto di consulenza.

Ci rendiamo perfettamente conto di non avere parenti segretari di partito o membri dell’esecutivo. Ma essendo fermamente convinti che il rignanese Tiziano Renzi abbia ricevuto soltanto le doverose attenzioni riservate da ferrovie e governo a qualunque cittadino, avanziamo qui la nostra rispettosa, ma pressante richiesta: al pari di Tiziano desideriamo almeno 5 incontri tra noi o un nostro emissario e l’amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana (Rfi); chiediamo che ad almeno uno di questi appuntamenti partecipi un sottosegretario ai Trasporti e ci rendiamo fin da subito disponibili, se fosse necessario, a tenere i meeting pure in sedi non ufficiali, ma in bar, osterie, caffetterie, tavole calde o bettole di qualsiasi ordine e grado.

Anche chi scrive vuole infatti illustrare alle ferrovie i vantaggi (per se stesso e per la collettività) che si potrebbero ricavare da uno stop del Frecciarossa non a Rignano, ma nella stazione di Verona-Parona, chiusa nel lontano 2012. La stazione in questione è posta sulla tratta che porta a Bolzano e per lo scrivente, residente a Milano, sarebbe assai utile che venisse rimessa in funzione, prevedendo anche la fermata del treno. A Parona vivono gli anziani genitori dell’autore di Fatti chiari. Che, per questo motivo, ogni settimana perde minuti preziosi, altrimenti dedicati al lavoro, per spostarsi in taxi o in autobus dalla stazione di Verona Porta Nuova fino alla frazione di Parona di Valpolicella.

Allo stesso modo le 3.300 anime della frazione, in caso di fermata del treno ad alta velocità, potrebbero usufruire del servizio evitando pure loro stressanti spostamenti via gomma.

È vero che la richiesta di Tiziano Renzi è stata alla fine respinta. Ma nel nostro caso la situazione è oggettivamente diversa. Se Renzi senior, quando illustrò il suo progetto a Luigi D’Agostino, il costruttore dell’outlet, si sentì rispondere che “era folle l’idea di far fermare il Frecciarossa da Milano a Rignano (visto che) c’erano già polemiche per il treno che ferma ad Arezzo, città di Maria Elena Boschi”, noi possiamo invece assicurare di non essere mai stati investiti, nemmeno indirettamente, da contumelie di sorta riguardanti i mezzi di trasporto utilizzati da nostri congiunti, parenti, affini, amici, soci, estimatori e persino lettori.

Inoltre se l’amministratore delegato di Rfi, Maurizio Gentile, oggi ricorda di aver spiegato a Tiziano Renzi che quella per Rignano “era una linea ordinaria” e non ad alta velocità, a Parona il problema non si pone. Il Frecciarossa da Milano a Bolzano (sia pure su rotaie normali) esiste già. E non sarà certo un’unica nuova fermata a fare la differenza. Abbiamo insomma tutte le carte in regola.

Per cui, caro governo, care Ferrovie, non state a pensarci su due volte: ricevete lo scrivente e, se potete, accontentatelo. Dimostrate che davvero in democrazia un appuntamento non si nega a nessuno e che, soprattutto, i favori sono uguali per tutti.

(foto: bergamo.corriere.jpg)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/09/come-tiziano-renzi-anche-noi-vogliamo-incontrare-le-ferrovie/5959938/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-09

domenica 23 febbraio 2014

Governo, Gomez: “Renzi? Un bugiardo, Bruto al suo confronto era Gandhi”.



“Bruto era Gandhi a confronto di quello che ha fatto Matteo Renzi oggi. E’ andato di fronte a tutti e ha licenziato Enrico Letta. Qui ci sono diversi esponenti del Pd che parlano di “governo fantastico” e di “Letta bravissimo” e intanto lo accoltellano. Questi mentono per mestiere”. Lo afferma Peter Gomez, ospite di“Porta a porta”, su Rai Uno. Il direttore de ilfattoquotidiano.it analizza le convulse ore successive alla staffetta Renzi-Letta: “Renzi oggi è un bugiardo: se vediamo le sue dichiarazioni sulla sua lealtà a Letta, ha un’unica possibilità. Quella di far dimenticare agli elettori il fatto di essere un bugiardo, governare a lungo e cercare di governare bene”. E chiede: “Con la stessa maggioranza di adesso è possibile, pur avendo l’orizzonte di 4 anni, pensare davvero di far uscire il Paese dalla palude, come dice lui? Io questa risposta non ce l’ho. So solo che vedendo queste cose mi viene in mente Mark Twain, quando diceva che votare non serve a niente perché, se contasse qualcosa, non ce lo farebbero fare”. Riguardo al futuro del governo Renzi fino al 2018, Gomez spiega che lo spettro della Troika non è così lontano, ergo è assolutamente necessario essere credibili di fronte all’Europa attraverso l’adozione di provvedimenti draconiani contro la corruzione e di alcune scelte mirate: “Ad esempio, un po’ di politica keynesiana si potrebbe fare in questo Paese con la banda ultralarga. Questa è la scommessa di Renzi. Se gli va male, alle prossime elezioni il M5S prende il 51%”. Sul premier uscente, il giornalista afferma: “Letta forse ieri ha pensato di fare una mossa alla Andreotti: ha tirato fuori un programma che di fatto era una fotocopia delle cose che va dicendo in giro Renzi, e ha pensato di portarlo alla direzione Pd per invitare tutti a votare contro il segretario. Poi, all’ultimo, ci ripensa, e al Nazareno nemmeno si presenta. La brutta figura che ha fatto è epocale”  

di Gisella Ruccia

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/02/14/governo-gomez-renzi-bugiardo-bruto-al-suo-confronto-era-gandhi/265958/