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sabato 2 aprile 2022

Il paradosso italiano: rinnovabili bloccate per il 90% e produzione di gas in caduta. - Jacopo Giliberto

 

I PUNTI CHIAVE

Mentre mezz’Europa studia come organizzare il razionamento dell’energia, mentre mezz’Europa sta riempiendo a tutta forza di metano gli stoccaggi di gas, ecco che cosa accade in Italia. Meglio: ecco che cosa non accade in Italia.

Giacimenti abbandonati.

I giacimenti in mezzo all’Alto Adriatico, fra i 30-40 miliardi di metri cubi, che non si riuscirebbe a estrarre oltre una velocità tecnica di qualche miliardo di metri cubi per una quindicina d’anni, non vengono sfruttati per timore che facciano sprofondare Venezia. Intanto, un metro di là dal confine immaginario in mezzo all’Adriatico, la Croazia ha appena perforato un nuovo pozzo con piattaforma, 150mila metri cubi di gas al giorno, 55 milioni di metri cubi l’anno, totale del giacimento 200 milioni di metri cubi. Entusiasmo a Zagabria per questo importante contributo all’indipendenza energetica.

Ancora notizie dal mare Adriatico. Il giacimento Giulia al largo di Rimini ha già la piattaforma posata, il pozzo perforato, 550 milioni di metri cubi di metano da estrarre (il doppio di quello appena avviato dai croati), ma è fermo e tappato perché è più vicino di 12 miglia dalla riva e quindi per legge è stato congelato l’allacciamento della condotta fino a terra. Le norme dal 2016 fino all’attuale Pitesai dicono che quel giacimento non va toccato.

Più import, meno gas nazionale.

Il ministero della Transizione ecologica ha appena pubblicato il bilancio del metano in Italia per il mese di febbraio: dai giacimenti nazionali sono stati estratti appena 260 milioni di metri cubi di gas, -24,8% rispetto al febbraio 2021. In gennaio erano 279 milioni. I consumi totali italiani di febbraio sono stati 7,59 miliardi di metri cubi, l’import è in aumento del 16,8%, soprattutto dall’Algeria; la Russia è scesa in seconda posizione. (Le anticipazioni dicono che in marzo l’import russo sia in aumento e torni in prima posizione).

Stanno riempiendo a manetta gli stoccaggi di metano i seguenti Paesi: Austria, Cechia, Croazia, Francia, Germania, Lettonia, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Ungheria. Segno meno per le scorte italiane.

Fonti rinnovabili bloccate.

Secondo il censimento dell’Anie Rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi minimalisti del piano nazionale l’Italia dovrebbe costruire impianti solari, eolici, idroelettrici, geotermici e così via per 4.700 megawatt l’anno. Nel 2021 sono stati costruiti impianti nuovi pari a 1.300 megawatt, meno di un terzo, mentre degli impianti che erano già attivi sono usciti dal servizio 21 megawatt, spenti perché troppo vecchi. Totale: ci sono centrali rinnovabili complessive per 57.676 megawatt su un obiettivo al 2030 di 95.210 megawatt, periodo ipotetico dell’irrealtà.

Il nuovo rapporto Regions del centro studi Elemens con Public Affairs Advisors dice che più del 90% degli impianti eolici e solari presentati nel 2021 non ha superato lo stadio cartaceo.

I numeri dell’eolico: è ancora allo stadio di autorizzazione il 57,5% dei progetti proposti nel 2018, il 79,3% dei progetti presentati nel 2019, il 90% dei progetti presentati nel 2020 e del 99,9% dei progetti del 2021.

I numeri del fotovoltaico: è ancora in sala d’attesa per l’autorizzazione il 79,5% dei 14mila megawatt richiesti nel 2020 e il 92,4% dei progetti presentati nel 2021.

Chi blocca le rinnovabili.

La ricerca Regions di Elemens ha analizzato 209 progetti di impianti eolici sotto esame alla commissione di valutazione di impatto ambientale al ministero della Transizione ecologica. Dei 209 progetti, il ministero della Cultura ha espresso 41 pareri negativi e solo 6 positivi; silenzio totale per altri 162 progetti. Le Regioni hanno mandato alla commissione Via del ministero 46 pareri negativi e appena un parere positivo; mutismo per gli altri 162 progetti. Tempo medio di anticamera: 5,4 anni.

La maggior parte dei progetti si concentra in Puglia e Sicilia. Le Regioni più solerti nell’esaminare i progetti sono Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Liguria, Sicilia e Veneto. Le più indolenti? Umbria, Basilicata e, in fondo, le Marche.

Segnali positivi.

L’associazione Gruppo impianti solari Gis informa che il Consiglio di Stato ha respinto un ricorso del ministero della Cultura: sbloccati due impianti solari a Montalto di Castro (Viterbo) per 235 megawatt.

La Regione Lombardia ha approvato le compensazioni per le comunità che ospitano stoccaggi sotterranei di gas.

La Provincia di Brescia ha sbloccato il progetto dell’A2A per produrre biometano dai rifiuti in un impianto a Bedizzole.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/il-paradosso-italiano-rinnovabili-bloccate-il-90percento-e-produzione-gas-caduta-AEZfzFOB?s=hpl

domenica 29 marzo 2020

I Docilians – Gli indolenti. - DAVID ZARUK


Insonnia e obesità - Giulia Dellacostanza

L’Occidente non può far fronte al Covid-19 perché nel  mondo ci sono troppi DOCILIANS, una mandria viziata di persone che vuole vivere sempre a RISCHI ZERO e, per questo motivo, migliaia di persone rischiano di morire.
E’ una cultura contraria ad assumersi qualsiasi rischio e una popolazione indifesa che si aspetta che siano sempre gli altri a risolvere ogni suo problema, è una cultura che ha reso il mondo sviluppato un luogo unico e inadatto a comprendere e a gestire i pericoli che sta presentando oggi il nuovo coronavirus.
Come tutti i virus, il coronavirus Covid-19 prende di mira i più vulnerabili e distrugge i più deboli. Si sta rapidamente diffondendo in Europa e in America per la debolezza dei nostri sistemi regolatori nella gestione dei rischi che hanno creato una cultura totalmente impreparata a reagire per contenere una minaccia di questa portata.
Se le democrazie occidentali fossero state in grado di mettere in atto le giuste misure per ridurre il rischio di base e di mantenere bassa l’esposizione durante le prime 10 settimane del 2020, non ci sarebbe stata la necessità di far chiudere la gente in casa, di strangolare l’economia globale e di portare a un declino senza precedenti il benessere mentale della popolazione. Perché le nostre democrazie non sono state capaci di farlo?
La gestione del rischio, come campo di studio accademico, nacque dopo le crisi del rischio ambientale-sanitario degli anni ’90. BSE, OGM, MMR, EDC e EMF sono alcuni degli acronimi che mettono paura a chi deve gestire i rischi e deve pensare a che percorso seguire per applicare il principio della precauzione e rassicurare i cittadini con dichiarazioni che ispirino certezza e sicurezza. Nei due decenni seguenti, in particolare in Europa occidentale, chi doveva gestire i rischi invece ha adottato un ruolo protettivo e precauzionale, facendo crescere una popolazione pigra e contraria a prendere qualsiasi rischio, affidandosi a chi deve scrivere le regole  per sentirsi garantita e vivere in un mondo senza rischi.
I Docilians – Gli indolenti
Le società occidentali sono diventate docili, sapendo che sono altri che devono proteggerle, sentendosi così in diritto di vivere nel benessere senza correre rischi. Non devono più prendersi nessun rischio personale perché eventuali pericoli saranno regolati dal sistema. Non servono avvertenze come “Maneggiare con cura” o “Tenere lontano dalla portata dei bambini” perché è garantito che tutto è sicuro e se le regole non bastano per proteggere la popolazione, ci sono gli avvocati che si occupavano di mandare in bancarotta chi ha sbagliato (“Avvertenza: Contenuto che scotta!”).
Questa rimozione di un istinto essenziale per la sopravvivenza dell’uomo ha portato a una popolazione passiva, ricettiva e ben nutrita classificabile come  “docilians“, persone che chiedono più sicurezza e più certezza senza aver più la capacità di prendersi un minimo rischio. Insieme a decenni di ricchezza e di diritti, gli individui si sono trasformati in una tribù dei social media che riafferma continuamente alle autorità che l’individuo non deve assumersi nessun rischio. La precauzione (meglio prevenire che curare) è uno strumento politico facile per governanti-regolatori pigri perché non devono essere giusti nelle loro decisioni, ma devono solo far sentire che stanno offrendo sicurezza alla popolazione.
Guru e attivisti hanno rafforzato questo desiderio-dociliano per un mondo a rischio zero e hanno spinto lo strumento della prevenzione fino a limiti che vietano certi prodotti solo perché possono presentare rischi minimi o inesistenti: tracciare il livello di pesticidi nei cereali per la colazione, i vaccini, ipotetici frammenti di plastica nelle lattine, l’acrilammide sulle patatine fritte. Questi docilians, abituati a essere protetti, non si preoccupano delle conseguenze delle loro scelte sulla salute globale, sulla sicurezza alimentare o sul benessere economico – sono i “fatti” che vogliono sentire e sono questi che li nutrono.
Ricerca e innovazione sono diventate un  peso burocratico perché i docilians si rifiutano di accettare qualsiasi rischio o qualsiasi incertezza. Laddove chi deve scrivere le regole cerca di imporre una razionalità scientifica nei processi, questa tribù di devoti attivisti chiede di sostituire i tecnici e gli scenziati con panel di cittadini (persone come loro) che chiedono maggior prudenza e che bloccano qualsiasi assunzione di rischio.
I docilians sono riusciti a smantellare il processo di gestione del rischio sia in Europa  che in America fino al momento in cui è successo qualcosa a Wuhan.
Il Covid-19: la dura realtà del rischio
In soli tre mesi nel 2020, l’intera cultura docilian contraria a assumersi qualsiasi rischio è stata infettata da un virus mortale che  non ha saputo contrastare con i suoi troppo deboli strumenti di gestione del rischio. Tutti coloro che dovevano gestire il rischio hanno cominciato  a dire alle loro popolazioni quello che le popolazioni volevano sentire: che questo virus era una minaccia solo per la Cina e che il rischio (per gli altri) era zero. Ma mentre il rischio si avvicinava, il massimo che sapevano fare era ricordare alle persone di lavarsi le mani … con il sapone.
L’unico strumento ammesso dai docilians era il principio di prendere tutte le precauzioni necessarie: quando c’è incertezza (quando non è possibile dimostrare che una situazione è sicura), prendere tutte le precauzioni (fermare qualsiasi azione, qualsiasi processo, o qualsiasi sostanza che provochi incertezza). In una situazione normale, le precauzioni si prendono quando tutti gli altri mezzi per gestire i rischi (e ottenere benefici) sono andati a vuoto.
Dieci settimane dopo la scoperta di un nuovo coronavirus, l’unica misura adottata dalla maggior parte delle autorità occidentali, mentre l’epidemia  stava già imperversando fuori controllo, è stata bloccare intere popolazioni dentro casa e prendere tutte le precauzioni (fermare tutto) per cercare di rallentare la trasmissione del virus.
Perché le autorità non sono state in grado di mettere in atto solide misure per ridurre il rischio nelle 10 settimane prima del ​​crollo dell’economia occidentale e delle libertà civili?
Avrebbero potuto sperimentare e fare dei test, avrebbero potuto costruire ospedali, mettere dei firewall virali intorno alle popolazioni più vulnerabili e dare istruzioni su come rafforzare i livelli di immunità e alzare il livello di resistenza,  oppure rimuovere quegli elementi che avrebbero potuto far aumentare la trasmissione del virus negli spazi pubblici. La maggior parte dei bambini di 10 anni dovrebbe già sapere cosa fare quando arriva una tempesta, ma i docilians si sono abituati a vivere nella bambagia senza nessuna responsabilità, come se avessero diritto a vivere in un mondo senza rischi, sicuri che altri si prenderanno cura di loro.
Così, mentre nel giro di poche settimane le popolazioni occidentali hanno perso la maggior parte dei loro benefits sociali ed economici e hanno subito perdite enormi a causa della loro incapacità di proteggere i più vulnerabili, i docilians si sono svegliati. Sarebbe ora perciò di riflettere sul fatto che le nostre procedure di gestione del rischio sono tutte sbagliate.
Riscrivere la gestione dei rischi.
La troppa precauzione è uno strumento politico fallito che ha indebolito la capacità dell’umanità di prosperare e di proteggersi. In tempi di benessere, i benefici persi per effetto delle troppe precauzioni sono stati avvertiti solo dai più deboli, ma quei tempi ormai sono passati. I capi che decidono di prendere le giuste precauzioni devono proteggere i più vulnerabili, ma in questo incubo che stiamo vivendo per colpa dei docilians, le cose si sono capovolte. La troppa precauzione ha vietato l’uso di strumenti e tecnologie che proteggono i raccolti, per consentire ai ricchi di mangiare alimenti biologici; ha respinto i progressi della medicina per far comprare gli integratori a chi sta bene; ha vietato l’uso di certe forme di energia e  solo i ricchi hanno potuto permettersi di tenere accese le luci. Ma il Covid-19 non ha risparmiato i ricchi e ha ricordato a tutti che l’esistenza dell’umanità è, per sua natura, fragile.
La scienza sin dai tempi di Francis Bacon è sempre stata consapevole di questa fragilità e della necessità di proteggere i deboli dalle devastazioni della natura. La perversione dei docilians (che va contro la scienza per difendere la natura) alla fine dei conti ha reso deboli tutti. Rimettere la scienza al centro della gestione del rischio sarebbe un primo passo.
La troppa precauzione non è nemmeno uno strumento di gestione del rischio (cerca semplicemente di gestire l’incertezza). L’incertezza (l’azzardo) è inevitabile e non esiste un rischio zero. Quello che fa la gestione dei rischi è cercare di ridurre l’esposizione ai pericoli al minimo ragionevole (ALARA). Gli argomenti da dibattere sulla gestione del rischio devono riguardare quello che è ragionevole fare alla luce dei benefici realizzabili e non della insaziabile emotività su cosa sia “sicuro” e cosa sia “certo”.
Con questo risveglio dei docilian, abbiamo l’opportunità di rimettere la gestione del rischio nel solco di quanto è scientifico, razionale e realizzabile. Forse la prossima volta che la natura alzerà i suoi brutti artigli, disporremo degli strumenti che servono per proteggere gli uomini più vulnerabili.
Le dichiarazioni, le opinioni e le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente quelle dell’autore e non rappresentano necessariamente quelle di RT. 
David Zaruk, analista e professore di rischio per la salute ambientale con sede a Bruxelles. Ha lavorato nella gestione del rischio e nelle comunicazioni scientifiche per l’industria, le istituzioni pubbliche e l’accademia dagli anni ’90. Scrive un blog sotto il nome The Risk-Monger
24.03.2020
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte  comedonchisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque Primario