VENTICANO (AV) – “Dal 9 novembre, quando scadrà il mio incarico presso la Procura di Palermo e mi trasferirò in Guatemala, sarò più libero di dire tante cose sulla Trattativa Stato-Mafia, che ora non posso dire. Continuerò ovviamente a partecipare al dibattito, e lo farò anche attraverso dei contributi scritti che pubblicherò su la lanostravoce.info”.
Le parole di Antonio Ingroia (nella foto, con il nostro direttore Andrea Festa), Procuratore aggiunto di Palermo, risuonano in una Sala Consiliare del Comune di Venticano che ribolle di presenza e partecipazione. Ingroia è visibilmente e comprensibilmente provato, eppure riesce ugualmente a dare tono e carica alle sue parole. “Palermo. Gli splendori e le miserie. L’eroismo e la viltà” è il titolo della sua ultima pubblicazione (edita da Melampo), presentata a Venticano in un incontro organizzato dalla nostra testata. Nel libro affronta l’eterno tema della città siciliana e delle grandi città meridionali: la lotta tra Stato e organizzazioni mafiose, in un contesto sempre difficile e che da sempre rischia di appiattirsi su un equilibrio che andrebbe spezzato.
Verrebbe da definirla “antistato”, ma Ingroia sottolinea proprio quest’aspetto: “La mafia non ha profili eversivi, ma tende ad infiltrarsi negli apparati dello Stato per influenzarne le decisioni e trarne il più grande vantaggio possibile. Ovviamente, garantendosi l’impunità”. Finora c’è stato uno Stato che ha fatto opera di “contenimento, di argine al fenomeno mafioso. Bisogna acquisire un’altra mentalità. La mentalità dell’annientamento”.
Il Procuratore ha potuto constatare anche ieri sera quanto siano ancora vere ed attuali le parole che Falcone pronunciò prima delle stragi di Capaci e di via D’Amelio: “La gente fa il tifo per noi”, disse il giudice a proposito della “primavera palermitana” che soffiava alle spalle del pool, facendo sentire il proprio forte ed incondizionato sostegno. Anche a Venticano, la gente accorsa ha mostrato e dimostrato che c’è ancora chi fa il tifo per un’Italia più giusta.
Ma da dove si parte per raggiungere quest’obiettivo? La parola chiave la mette in evidenza una giovane studentessa, che in una domanda al Procuratore si sofferma sul concetto di intransigenza, sviluppato nel libro. “E’ proprio così”, conferma Ingroia. “E’ l’intransigenza la pietra miliare del cambiamento. C’è bisogno di un’intransigenza morale, di un rigore morale ed etico, che ci porti a rifiutare sdegnosamente anche solo il puzzo del compromesso. E’ quello che ci hanno insegnato Falcone e Borsellino, ed è quella la chiave per una rinascita sociale. Non si può che partire dall’intransigenza: essa conduce inevitabilmente al rinnovamento, basato sul concetto di legalità”.
A proposito di legalità, Ingroia si è commosso quasi fino alle lacrime quando Rossella Iacobucci – cittadina e membro del Comitato “Resistenza Operaia” vicino ai lavoratori dell’Irisbus (stabilimento Fiat di Valle Ufita, in provincia di Avellino) -, ha letto un’accorata lettera di sostegno e solidarietà al Procuratore. Nelle parole della Iacobucci, al fianco di settecento operai che vivono da un anno il dramma della perdita del posto di lavoro e lottano per un proprio diritto, c’era tanta ammirazione per il lavoro di Ingroia a favore di un’Italia più giusta e basata sulla legalità.
A nome dei lavoratori, Rossella Iacobucci ha poi chiesto al Procuratore aggiunto di Palermo di“aiutarci a scoprire le connivenze tra società di gestione dei trasporti (veri e propri carrozzoni politici), istituzioni silenti e centri di revisione che certificano come idonei anche i mezzi catalogati come pericolosi e da rottamare”. Non solo. I dipendenti della Irisbus che si riconoscono nel comitato “Resistenza Operaia” hanno concluso con una richiesta precisa: “Noi le chiediamo di indirizzarci la strada per costituirci parte civile e tentare di far rispettare le norme europee e la sicurezza dei cittadini, bloccando gli autobus che circolano fuori norma”. Richiesta che Ingroia ha accolto, “per quello che mi sarà possibile da Palermo, perché anche la difesa del posto di lavoro è un momento di legalità. Dove si toglie lavoro – ha spiegato – arriva la criminalità”.
E qui il timone non può che spostarsi su un altro argomento-chiave, quello della verità. La verità soprattutto nei rapporti, “da sempre esistiti (si pensi allo sbarco delle truppe Alleate in Sicilia nell’estate del 1943)”, tra la mafia e le istituzioni dello Stato. “Un paese che non accerti la verità – afferma Ingroia – è un paese lontano dall’essere una democrazia vera e compiuta”. Giungere a questo risultato non è cosa semplice, ma è l’obiettivo, “oltre che di magistrato, di uomo: ho giurato sulla bara di Paolo (Borsellino, ndr) che avrei fatto di tutto per scoprire la verità, e non avrò pace finché non ci sarò riuscito”.
La “gente comune” può avere un ruolo in questo processo? Ingroia non ha dubbi: sì. Può dare una spinta importante a chi agisce per questo fine. Egli parla delle “primavere antimafia”, che arrivano con una certa ciclicità. E se è vero che “viviamo un momento storico in cui il potere politico pare essere fortemente connivente con il potere delle organizzazioni mafiose, è vero anche che a questo, in passato, è seguita una nuova primavera, che dunque ora potrebbe essere alle porte”.
Il difficile ruolo che Antonio Ingroia si appresta a ricoprire in Guatemala, al servizio dell’Onu, contro il narcotraffico, lo manterrà in trincea. Ne sentiremo la mancanza (qualcuno un po’ meno), ma quando tornerà in Italia sarà forte di un’ottima palestra.