Tutti in riga a seguire il cosiddetto evento Santoro-Berlusconi.
La mia personale opinione è che hanno perso tutti.
Anzi: abbiamo perso tutti.
La vera posta in gioco consisteva nel chiarire –in maniera unilaterale- l’affermazione base del pensiero unico italiano, basato sulla totale primogenitura dittatoriale della televisione, e quindi chiarire a tutti che i bloggers, i social networks, la rete, la carta stampata, i libri, la radio, gli incontri umani, in questa campagna elettorale non contano nulla e non valgono nulla se paragonati alla tivvù.
Unica nazione in occidente ad avere questa particolarità, l’Italia si è dunque riconfermata come nazione totalmente teledipendente, a differenza di altre società più evolute rispetto alla nostra, dove le nuove tecnologie, una nuova umanità e un rinnovato scambio sociale, hanno aperto orizzonti diversi di possibilità di comunicazione e quindi anche di mercato e di confronto.
Abbiamo perso tutti perché ci hanno dimostrato che il berlusconismo è ancora vivo e vegeto e detta le condizioni ad ampio raggio. Se l’opposizione, infatti, deve essere rappresentata da Santoro-Travaglio-Vauro, allora vuol dire che lo status quo regna sovrano: entrambi parlano lo stesso linguaggio. Sono antitetici ma speculari, oppositori sì ma mai antagonisti, e appartengono entrambi a due rovesci di una identica medaglia, il cui fine, va da sé, è identico: far credere e pensare agli italiani che sono “loro e soltanto loro” i depositari delle potenziali alternative a se stessi.
Come a dire: “dopo di noi veniamo soltanto noi”.
E’ una delle tante manifestazioni del paradosso della surrealtà, in questo caso specifico applicato alla dimensione della cupola mediatica.
Sono stati tutti splendidi e squisiti attori della finzione catodica, con un finale appena appena un po’ pepato, tanto per dar la sensazione che qualcuno avesse fatto goal.
Ma è stata una abile illusione virale.
Nessuno tra i giornalisti presenti ha posto una domanda intelligente –in quanto prova schiacciante- a Berlusconi, in modo tale da poterlo inchiodare (e non era difficile) così come, dal canto suo, tantomeno il cavaliere ha sferrato un attacco facile facile che avrebbe potuto tranquillamente stendere tutti i presenti. Il risultato? Chi, tra i telespettatori, era anti.berlusconiano è rimasto tale e chi, invece, pendeva per Berlusconi, si è ringalluzzito pensando che “glie le ha cantate”. Apparentemente un pareggio.
Ha vinto il ragioniere contabile di La7 che ha incassato il previsto gettone.
Hanno vinto Santoro e Travaglio per la loro percentuale su quel gettone.
Ha vinto Berlusconi perché le concessionarie della pubblicità che gestiscono il pacchetto sono sue.
Ha vinto chi voleva far credere che in Italia nulla cambierà mai, essendo gli interlocutori sempre gli stessi.
Ha perso il pubblico.
Come infatti il buon Santoro ci ha spiegato in una sua improvvida esternazione- dimostrando chiaramente che si erano preventivamente accordati per non farsi del male a vicenda- c’era stato un accordo tra le parti. In un paese dove esiste il buon giornalismo (così si fa nelle altre nazioni più evolute) prima dell’inizio del match sarebbe apparso fuoriprogramma il direttore della rete Enrico Mentana, il quale avrebbe spiegato al pubblico che tipo di accordo era stato fatto tra le parti, quali fossero le condizioni, i limiti, le frontiere da non superare, augurandosi che nessuno tra i due venisse meno ai patti. Il pubblico più maturo avrebbe gradito.
Così non è stato, invece.
Tuttora non è dato sapere quale fosse quell’accordo, e soprattutto “perché”.
Dimostrando che, all’interno del mondo della cupola mediatica, se la girano come intendono, ma soprattutto ci tengono a NON spiegare mai alla gente quali sono le regole d’ingaggio.
La7 ha un’ottima giustificazione; può sempre dire “ma noi siamo dei privati”.
Hanno ragione.
Peggio per coloro che guardano una trasmissione che si chiama “servizio pubblico”, va in onda in una emittente privata che vive dei soldi veicolati da Berlusconi sul mercato (in maniera legale) e quindi di pubblico non ha nulla, né di fatto, né legalmente, ma chi la guarda è convinto, invece, che si tratti davvero di un servizio pubblico per la cittadinanza.
Soltanto il nome, ottima trovata demagogica.
In Usa, Gran Bretagna, Francia, Danimarca, Cekia, Svezia, Olanda e Germania è vietato dalla Legge che una qualsivoglia emittente privata usi il termine “servizio pubblico” non essendolo.
Ma noi, si sa, siamo in Italia.
Viviamo nel Paradosso della Surrealtà.
Hanno costruito una realtà alla quale hanno sottratto il Senso.
E la politica e l’informazione, da noi, sono come il calcio.
Vince il tifo e mai lo sport, perché è solo puro business.
O meglio: vincono i soldi e si fa credere ai tifosi che hanno vinto loro.
E’ esattamente ciò che è accaduto ieri sera.
Ovverossia: non è accaduto nulla.
E noi, vittime predestinate, siamo costretti a far di necessità virtù, e star qui a parlare del nulla e di una illusione, come se si trattasse di un qualcosa di reale, di autentico, di interessante; soprattutto “importante” per le nostre esistenze.
Non lo è.
In nessun modo.
Concordo, nessuno ha vinto. Come ho avuto modo di scrivere questa mattina:
Ieri a "servizio pubblico" si è consumata una farsa, la solita farsa all'italiana.
Da una parte un pagliaccio conclamato, dall'altra inadeguati interlocutori.
E' impossibile, infatti, pretendere di prendere in castagna chi non ha una coscienza, non ha etica, e nega la realtà dei fatti.
Lo si doveva mettere con le spalle al muro, come meritava, utilizzando le sue stesse armi: disonestà, cinismo e cattiveria, tenendo sempre a mente chi è e che cosa ha fatto.
Da una parte un pagliaccio conclamato, dall'altra inadeguati interlocutori.
E' impossibile, infatti, pretendere di prendere in castagna chi non ha una coscienza, non ha etica, e nega la realtà dei fatti.
Lo si doveva mettere con le spalle al muro, come meritava, utilizzando le sue stesse armi: disonestà, cinismo e cattiveria, tenendo sempre a mente chi è e che cosa ha fatto.