L’altra sera avevo appena finito di discutere a Otto e mezzo con due colleghi sulle manette agli evasori (“barbarie!”, anzi “bavbàvie!”), quando ho visto Andrea Orlando, vicesegretario del Pd ed ex ministro della Giustizia, a Cartabianca. Anche lui ripeteva la litania che aumentare le pene agli evasori per mandarli in carcere non serve a niente e non spaventa nessuno: molto più dissuasivo confiscar loro il maltolto. Ora, a parte il fatto che soltanto un mese fa il Pd ha sottoscritto un programma di governo che prevede l’aumento delle pene agli evasori, una simile sciocchezza la può sostenere solo chi non sa nulla delle norme sull’evasione, che già prevedono il sequestro e la confisca delle somme evase. E non dissuadono nessuno dal continuare a evadere. Per un motivo semplice. L’evasione, ancor più della corruzione, è un reato seriale. Nessuno evade un anno e poi basta: chi evade lo fa sempre. Ogni anno mette da parte un bel bottino a spese di quei fessi che pagano le tasse. E sa benissimo che gli accertamenti a campione toccano meno del 10% delle dichiarazioni dei redditi, quindi ogni anno ha il 90% di probabilità di farla franca. Può pure scrivere in dichiarazione “Viva la gnocca” e 9 volte su 10 nessuno se ne accorge. Se poi, una volta nella vita, ha la sfiga di essere scoperto, già sa che potrà tenersi il resto del maltolto (le vecchie evasioni cadono in prescrizione alla velocità della luce); e, quanto all’evasione accertata, lo Stato riesce a riscuotere solo il 12%. Quindi chi evade ha 12% del 10% delle probabilità di dover restituire la refurtiva: cioè l’1,2%. A questo punto, se può evadere e non lo fa è un santo da calendario. O un emerito coglione. E chi pensa di dissuaderlo con la minaccia di levargli un anno di malloppo è come chi crede di dissuadere un pesce minacciando di gettarlo nell’acqua, o una talpa di seppellirla sottoterra.
Martedì dalla Gruber il collega di Radio24 citava Mani Pulite come prova del fatto che le manette di Tangentopoli non hanno dissuaso corrotti e corruttori. Piccolo particolare: nessuno dei condannati per Tangentopoli, a parte tre o quattro sfigati, ha scontato la pena in carcere. Intanto perché le pene per la corruzione sono basse e fra sconti, attenuanti e amnistie portano a condanne perlopiù inferiori ai 3 anni (che in Italia non si scontano in galera, ma ai domiciliari o ai servizi sociali). Eppoi perché, appena partirono i processi, i governi di destra e di sinistra si attivarono per mandarli in fumo con varie leggi salva-ladri spacciate per “garantismo”. Una invalidava le prove e le confessioni raccolte dai pm. Una depenalizzava l’abuso d’ufficio non patrimoniale.
Altre allungavano i tempi dei processi. L’ex Cirielli dimezzava i tempi della prescrizione. L’indulto triennale votato nel 2006 da destra, centro e sinistra salvò i pochi condannati superstiti. Perciò le manette di Mani Pulite non dissuasero nessuno dal ricominciare a smazzettare: perché erano finte. Virtuali. Scritte nei Codici, ma mai scattate se non per brevissime custodie cautelari (e non per gli eletti, protetti dall’immunità-impunità-omertà parlamentare). Quanto alle “manette esibite in pubblico” ai tempi della “bavbavie!” di Mani Pulite, è una leggenda metropolitana: l’unico imputato di Mani Pulite ripreso in vinculis fu il dc Enzo Carra quando fu giudicato per direttissima per falsa testimonianza (e regolarmente condannato). Era – ed è – prassi delle forze dell’ordine accompagnare gli imputati detenuti dai cellulari al Tribunale con le manette ai polsi collegate da una catena per evitare fughe, atti di violenza o di autolesionismo. A quegli schiavettoni erano lucchettati ben 50 imputati, sotto gli occhi di tutti nel corridoio del Palazzo di giustizia. Poi quelli dei casi più semplici (quasi tutti spacciatori extracomunitari) furono via via sganciati per i vari processi e restò solo Carra, giudicato per ultimo. Naturalmente fece notizia e scandalo solo un caso su 50: quello del politico (“bavbavie!”). L’indomani, mentre la casta strillava alla Gestapo e alla tortura, un gruppo di detenuti di Asti scrisse una letterina alla Stampa: “Siamo tutti ladri di galline, eppure in tutti i trasferimenti veniamo incatenati ben stretti, per farci male, e restiamo incatenati in treno, in ospedale, al gabinetto, sempre. Anche noi appariamo in catene sui giornali prima di essere processati, ma nessuno ha mai aperto un dibattito su di noi. Ci domandiamo quali differenze esistano fra noi e il sig. Carra. Al quale, in ogni caso, esprimiamo solidarietà”.
Oggi come allora i garantisti all’italiana non si occupano di loro: si danno pena per i politici (sempreché siano del partito giusto: l’anno scorso Marcello De Vito del M5S fu ripreso e fotografato durante l’arresto, fra l’altro poi annullato dalla Cassazione, senza che nessuno facesse una piega o gridasse alla “bavbavie”) e i ricchi (molto popolari nel mondo dell’editoria perché pagano gli stipendi). È bastato che Conte&C. evocassero le manette agli evasori perché il consueto cordone di protezione si dispiegasse su giornali e talk show. Fiumi di parole sulla nostra copertina con le manette (“perversione”, “bavbavie”, “ovvove”!), ovviamente senza i volti dei destinatari (anche se qualcuno in mente ce l’avremmo). Gargarismi da finti tonti sulla “presunzione di innocenza”, che non c’entra una mazza, visto che non abbiamo mai titolato “Manette ai non evasori”. Balbettii benaltristi sulle “vere armi di lotta all’evasione”, che sono sempre “altre” ma nessuno dice mai quali, anche perché in tutti i Paesi civili chi evade finisce in galera senza che nessuno strilli alla “bavbavie”, e guardacaso quei Paesi hanno meno evasione di noi. Mark Twain diceva: “Se votare servisse a qualcosa, non ce lo farebbero fare”. Ecco: se il carcere agli evasori non servisse a niente, sarebbe previsto da sempre.