SCOOP MANIFESTO - La foto vecchia, del 2019, molti dei soldati yakuti sono in congedo.
“I volti sorridenti dei boia di Bucha”. Oppure no. Così è stata presentata una foto che ritrae una ventina di giovani in divisa militare russa, i tratti somatici tipici della minoranza etnica della Yakutia, in posa per un selfie di gruppo mentre stringono una bandiera della loro regione.
Tre giorni dopo le immagini dei cadaveri trovati per le strade della cittadina a nord di Kiev, su molti giornali i colpevoli sono serviti. Ma le cose sono più complicate. La foto è vecchia, almeno due di quei ragazzi non è più nelle forze armate russe e forse nessuno di loro è mai stato in Ucraina.
È stato il reporter Luigi De Biase a portare ieri, sul manifesto, alcune prove che mettono in dubbio il loro coinvolgimento. De Biase riferisce di aver rintracciato al telefono e videochiamato due dei ragazzi di quello scatto. Uno in particolare, Vladimir Osipov, dice di aver lasciato l’unità a dicembre 2021 dopo la fine del periodo di leva obbligatoria e che la foto è stata scattata nel 2019, vicino alla base siberiana dove prestavano servizio. Aggiunge che “tutti gli altri commilitoni” sono in congedo e non sono mai stati in Ucraina. Online si trova traccia di un post con quel selfie datato 25 ottobre 2020.
Come ha fatto questa foto a finire sui media come documento dei “mostri sorridenti di Bucha”. La spiegazione è sui social e pare dipendere dall’innesto di contenuti di intelligence aperta (Osint) con informazioni non verificate.
Questa la cronologia che siamo riusciti a ricostruire. Lunedì 3 aprile il consigliere del presidente ucraino Zelensky, Aleksey Arestovich, che è anche capo negoziatore ai tavoli con i russi, pubblica alcune sigle di brigate dell’esercito russo che, dice, sono state impiegate nell’occupazione di Bucha. Tra queste c’è la 64ª Brigata Motorizzata di Khabarovsk, città della Yakutia (da cui proviene Osipov). Il sito del ministero della Difesa ucraino diffonde inoltre un elenco di nomi, cognomi e numeri di passaporto di presunti appartenenti alla 64a brigata. Il giornale Kyiv Indipendent la riprende. Il nome di Osipov in questa lista non c’è.
In parallelo si muovono alcuni gruppi di attivisti digitali schierati con Kiev, che dall’inizio dell’invasione diffondono informazioni sulle posizioni e le azioni delle truppe russe. Il gruppo Infonapalm, molto seguito all’estero, rilancia su Telegram un post di un altro account minore che si presenta come canale di volontari ucraini, si chiama “Terza forza”. Questo post contiene diverse foto di soldati russi, tra cui quella dei coscritti siberiani incriminata. Le riprende su Instagram il musicista ucraino Oleksii Potapov, con oltre 2 milioni di follower. Aggiunge questo messaggio: “stupratori e assassini, presto conosceremo i vostri nomi”. Quasi centomila like, ma nessuna prova che le foto mostrino dei veri soldati russi impiegati a Bucha. Il contenuto però finisce sull’agenzia di stampa ucraina Unian, e da lì a cascata sui media internazionali. A supporto, Unian cita dichiarazioni di alcuni residenti riportate da un sito di news locale, Obozrevatel, che avrebbero riferito che i militari responsabili del massacro c’erano “buriati (nome della minoranza etnica siberiana, ndr) con gli occhi stretti e lunghi”. Il 5 aprile si ritrova sulle pagine dei principali giornali italiani come risposta alla domanda “chi sono gli aguzzini del massacro di Bucha”. Nel frattempo altre agenzie parlavano di gruppi di ceceni e di altre unità russe.
Anche la genealogia della lista di soldati russi diffusa dal governo ucraino è complessa. Non solo non ci sono i nomi dei protagonisti di quelle foto, né quello del tenente colonnello Azatbek Asanbekovich Omurbekov citato come comandante in capo a Bucha, ma sembra provenire da una elenco pubblicato il 27 febbraio dal gruppo hacker “Enigma”, rilanciato poi sia da InformNapalm che da Anonymous. È una lista di decine di migliaia di nominativi di militari, che però è accompagnata da un’avvertenza: sono dati di cittadini russi che “hanno o hanno svolto” il servizio militare, quindi potrebbero essere vecchi. “Non abbiamo ancora abbastanza dati per confermare la lista, ma continueremo a controllarla”, scrive Infonapalm. E molte verifiche restano ancora da fare.