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martedì 17 agosto 2021

Caso Durigon, Flores D’Arcais: “Il leghista è incivile, Draghi è suo complice visto che ancora tace”. - Tommaso Rodano

 

Paolo Flores d’Arcais, su MicroMega lei ha scritto che il sottosegretario leghista Claudio Durigon è “fuori dall’Italia civile” e deve essere cacciato. Basta una battuta su parco “Mussolini” per essere incompatibili con un incarico di governo?

Mi sembra un fatto di un’evidenza incontestabile. Il nostro essere concittadini si basa su un legame comune dato dalla Costituzione. La Costituzione della Repubblica italiana è notoriamente ed esplicitamente antifascista. I ministri e i sottosegretari di governo giurano fedeltà sulla Costituzione. Dunque il sottosegretario Durigon è uno spergiuro.

Se non fosse sufficiente la nostalgia delle radici fasciste di Latina, con una sola frase Durigon ha offeso la memoria di due eroi dell’antimafia.

Con la proposta di cancellare i loro nomi dal parco comunale di Latina, simbolicamente ha fatto morire di nuovo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mi pare davvero che ce ne sia più che a sufficienza per dire che Durigon non appartiene all’Italia civile.

Il leghista ha specificato che parlava del fratello di Mussolini, non del Duce in persona. E che bisogna rispettare le radici storiche della città. Altrimenti – è il ragionamento – cosa si fa, si cancella ogni traccia del ventennio?

Guardi, l’argomento è risibile. Credo che la famiglia Durigon, come molte altre dell’Agro pontino, sia di origine veneta. Dovrebbero essere a conoscenza di questo modo di dire: “Pezo el tacòn del buso”. La toppa è peggio del buco.

Si aspetta che intervenga il presidente del Consiglio?

Mi sorprende moltissimo il suo reiterato silenzio, visto che Draghi viene descritto – e sembra ben felice di essere descritto – come un fulmine di guerra in tutte le sue decisioni. In questo caso invece la sua pronta e doverosa reazione latita. Per questo motivo, il suo comportamento diventa più vergognoso di minuto in minuto. Finché non interverrà, è da considerare, per omissione, complice di Durigon.

Crede che la mossa di presentare una mozione parlamentare di sfiducia sia giusta o rischia di trasformarsi in un boomerang, se non dovessero esserci i numeri in aula?

Alla fine penso che non sarà necessaria, perché credo che la parte meno ottusa dell’establishment presto costringerà Durigon ad andarsene. Se invece non dovesse succedere, la mozione diventerà doverosa.

Pare che i renziani di Italia Viva non la vogliano votare, le probabilità di fallimento sarebbero alte.

A quel punto, se tra i partiti non si dovesse trovare una maggioranza determinata a far decadere il sottosegretario del “parco Mussolini”, vorrà dire che questo Parlamento è già espressione plastica dell’Italia incivile.

Il fatto che un politico del profilo di Durigon avesse già trovato spazio nel primo governo Conte cosa dice della qualità della classe dirigente italiana?

Per quanto mi riguarda, il primo governo Conte faceva schifo nel modo più assoluto. Il secondo invece mi faceva schifo “semplicemente”. E significa che è ormai da parecchio tempo che la nostra scelta è tra il peggio, il più peggio e il peggissimo.

Leggendo i sondaggi, al peggio non pare ci sia limite… nei popolarissimi Fratelli d’Italia hanno trovato casa nostalgici ben più radicali di Durigon.

La nostra democrazia si fonda sull’antifascismo: chi non è antifascista è fuori dalla nostra democrazia, questo è il dettato costituzionale. Eppure tra meno di due anni avremo un governo Meloni-Salvini, dunque una maggioranza parlamentare tecnicamente proto-fascista. Credo che questo sia il dramma che incombe. I mass media sembrano ignorarlo e nessun settore dell’establishment lo vuole affrontare. Tra meno di due anni, noi avremo un governo Orban-Le Pen. Oltre che per l’Italia, sarà una tragedia per tutta l’Europa.

ILFQ

venerdì 28 agosto 2020

Referendum, tanto rumore (quasi) per nulla. - Paolo Flores d'Arcais.



Il 20 e 21 settembre si svolge il referendum che deciderà se confermare o bocciare la riforma costituzionale con cui il numero dei parlamentari viene ridotto da 915 a 600 (da 630 a 400 per la Camera, da 315 a 200 per il Senato).

Non si tratta di una grande riforma, è piuttosto una riformetta, tuttavia non fa danni, e gli alti lai di oltre duecento costituzionalisti suonano parecchio sopra le righe, per usare un eufemismo. Che riducendo il numero dei parlamentari venga leso il ruolo della istituzione Parlamento non sta né in cielo né in terra: è vero semmai il contrario. Per essere davvero autorevole un parlamento dovrebbe essere composto di pochi membri, riconoscibili e controllabili dai cittadini, non da qualche decina (forse meno) di rappresentanti che decidono, più una pletora di peones, che schiacciano il bottone a seconda del pollice del capogruppo. Oltretutto la prevalenza numerica dei peones è stata nelle recenti legislature messa a repentaglio dai transumanti, vergogna cui ci si è assuefatti, ma che rende ogni discorso numerico sulla dignità del parlamento una cornucopia di ipocrisia o cecità.

Ma peones e transumanti lavorano moltissimo nelle commissioni, si obietta. Soprattutto per infilare codicilli clientelari, localistici o trappole per manovre dilatorie, non certo per rafforzare l’autonomia del potere legislativo, sarebbe doveroso replicare. Chi lamenta che diminuendo il numero di onorevoli e senatori si impoverisce la rappresentanza dei territori, le specificità locali, dimentica che ogni eletto dovrebbe rappresentare la nazione, non il particulare che trova legittimazione elettorale quando si vota per regioni e comuni (è a livello locale che mafie e clientelismi vanificano il voto libero).

Insomma, cambierà pochissimo, ci saranno alcune decine di peones in meno, tutto qui (i transumanti continueranno nei loro “quattro cantoni”, visti i criteri al sempre peggio con cui li selezionano i partiti). Questo pochissimo, comunque, va nella direzione giusta. Per cui, tutto sommato, è ragionevole che chi andrà a votare voti sì. Si voterà in ripresa di coronavirus, però, e credo non ci sia nulla di censurabile nel comportamento di quanti, di fronte alla inciviltà delle turbe di menefreghisti della mascherina e del distanziamento (“me ne frego”, motto fascistissimo) e all’accidia di Viminale e altre autorità rispetto alle violazioni, decideranno di non andare a votare. Quorum ego. Perché tra il rischio contagio, e il voto su una riformetta che poco o nulla cambia venga confermata o bocciata, si può ben far prevalere il primo motivo.

In realtà il contenuto della riforma interessa pochissimo a quasi tutti coloro che si agitano pro o contro. I partiti, in primo luogo, che hanno votato diversamente al Senato (dove il quorum dei due terzi non è stato raggiunto) e alla Camera (dove si è sfiorata l’unanimità). Il M5S, il più coerente, lo ha fatto non per riformare davvero, ma per piantare una bandierina a buon mercato presso l’opinione pubblica, cianciando di risparmi, quando di fronte a qualche milione in meno di stipendi parlamentari, nulla fanno per amputare i cento miliardi di evasione annua.

Spiace dover ricordare i termini reali, modestissimi, della disputa, visto che MicroMega è nata anche con la volontà di serie modifiche costituzionali. Nel suo secondo numero, esattamente trentaquattro anni e tre mesi fa, chiedevamo, come insieme organico (fuori del quale le singole misure proposte potevano divenire anche deleterie): trasparenza e antilottizzazione (“possibilità per chiunque, singolarmente considerato, di accedere al controllo, di promuovere il giudizio in vista di sanzioni, di ottenere risarcimento se il dettato della legge che impone e realizza il vantaggio pubblico venga disatteso”). “Una sola Camera, formata di pochi deputati (un centinaio) … un collegio unico nazionale [che] scoraggerebbe il deputato dalla presentazione di leggine a sfondo localistico”. “Trasformare il contributo pubblico ai partiti, sostituendo la forma monetaria con l’erogazione gratuita di servizi … alle liste elettorali e ai singoli candidati, invece che ai partiti in quanto tali”.

Quanto all’esigenza della governabilità, per eleggere i propri rappresentanti ma anche la coalizione di governo, “una elezione in due turni. Nel primo si eleggono cinquanta deputati, in modo rigorosamente proporzionale. Nel secondo ogni coalizione presenta, oltre alla lista dei candidati, la lista del governo, e alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa qualificata (40%) vengono attribuiti i tre quarti dei rimanenti cinquanta seggi”. Un sistema di incompatibilità, “tra cariche elettive (o in Municipio o a Strasburgo, insomma), tra cariche elettive e funzioni ministeriali (tranne che per il premier), tra cariche elettive e cariche di nomina politica (nelle banche, nelle industrie di Stato, nelle Usl ecc.) … da estendere nel tempo, di modo che non si diano lottizzazione di ‘buonuscita’”. “Un intervallo di alcuni anni fra cariche locali e nazionali, di modo che non risulti più vantaggioso amministrare in vista di una clientela”. Un tetto di “tre mandati di cinque anni l’uno, di cui solo due senza interruzione … limite ragionevole, poiché consentono nel frattempo il prodursi di una nuova classe di governo”. E qualcos’altro, motivato e dettagliato. Oggi modificherei talune proposte, tanto è cambiata la situazione. Ma non gli intendimenti di fondo.

Una discussione seria su riforme costituzionali che colpissero il crescente malcostume partitocratico non si è purtroppo mai sviluppata. E non si svilupperà. Prevarranno miserabili cabotaggi, che useranno i risultati del voto solo per cercare di indebolire o rafforzare il governo. Il partito della democrazia presa sul serio è in questa fase più debole che mai.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/referendum-tanto-rumore-quasi-per-nulla/