I giudici del Tribunale della Libertà hanno accolto l’istanza dei legali perché «il termine complessivo massimo è scaduto». Oggi il protagonista dell’inchiesta sulla corruzione, ha lasciato il carcere di Oristano dopo 5 anni e 7 mesi. Bonafede invia gli ispettori.
Jeans e camicia blu sbottonata. Un borsone in spalla e gli occhi a terra. Nessuna risposta e una smorfia di fastidio per i giornalisti. Massimo Carminati è di nuovo libero. Uno dei principali protagonisti dell’inchiesta Mafia capitale ha lasciato il carcere di Oristano per scadenza dei termini di custodia cautelare. Solo dopo il ricalcolo della pena potrà essere riarrestato. Intanto però l’istanza di scarcerazione presentata dagli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri è stata accolta dal Tribunale della Libertà e, dopo 5 anni e 7 mesi, il “cecato” - come l’ex Nar viene soprannominato da quando perse un occhio in uno scontro a fuoco con la polizia, è uscito alle 13.30 di martedì dal carcere. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha investito della vicenda gli ispettori di via Arenula per valutare se ci siano stati illeciti, ritardi o omissioni. Solo 4 giorni fa erano arrivate le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha modificato la condanna di Carminati da associazione mafiosa ad associazione a delinquere e sulla base della quale la Corte d’Appello dovrà fare il computo definitivo dei giorni di carcere che gli restano da scontare.
Il provvedimento dei giudici.
Secondo i giudici del tribunale di Roma, sezione misure di sorveglianza, i termini di scarcerazione di Massimo Carminati sono già trascorsi. Questo perché nei confronti dell’imputato non sono state applicate sospensioni della pena che ha continuato invece a decorrere: «In definitiva -scrivono i giudici - non può dirsi che nel procedimento in esame siano sospesi i termini di durata della misura cautelare, trattandosi di procedimento rientrante tra quelli per i quali non opera la sospensione». In questo senso aggiungono i giudici «deve ritenersi che in relazione ai due capi di imputazione il termine complessivo massimo di custodia cautelare è scaduto con la conseguenza che va disposta la scarcerazione dell’appellante in relazione e limitatamente a detti capi di imputazione che hanno costituito oggetto del presente esame».
La difesa: «Principio di civiltà».
«Siamo soddisfatti che la questione tecnica che avevamo posto alla Corte d’Appello e che tutela un principio di civiltà sia stata correttamente valutata dal Tribunale della libertà», commenta l’avvocato Placanica. Dopo tre rigetti l’istanza con il meccanismo della contestazione a catena è stata accolta. E il “Nero” del “Mondo di Mezzo” può tornare a Roma.
L’accusa di mafia caduta.
«Esce per decorrenza dei termini, è un automatismo», ha spiegato l’altro difensore Tagliaferri. Aggiungendo che «quando si tratta di Carminati bisogna sempre ingaggiare lotte giudiziarie. Come nel processo di primo grado, dove è stato per 4 anni al 41 bis per poi arrivare in Cassazione dove è stata disintegrata l’accusa di mafia». Nell’ultima sentenza del 22 ottobre 2019, infatti, la Cassazione ha smontato l’inchiesta dell’ex procuratore capo, Giuseppe Pignatone, e ha fatto cadere per Carminati e gli altri l’accusa di mafia. Per i giudici quella dell’ex esponente della Banda della Magliana, e del re delle cooperative rosse Salvatore Buzzi, non era un’associazione di stampo mafioso fondata sulla violenza e l’intimidazione, ma una (anzi due) associazioni a delinquere basate sulla corruzione. Ora Carminati e Buzzi sono in attesa di un altro processo di appello che ridetermini le pene.