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martedì 19 giugno 2018

Maggiori disturbi mentali nelle società meno eque. - Cristina Da Rold

Risultati immagini per differenze sociali
A fine giugno uscirà in inglese “The Inner Level. How More Equal Societies Reduce Stress, Restore Sanity and Improve Everyone’s Wellbeing” (come società più eque possono ridurre lo stress e migliorare il benessere di tutti) scritto da due colonne portanti a livello mondiale nella ricerca sulle disuguaglianze sociali nella salute e dei determinanti sociali della salute: Richard Wilnkinson e Kate Pickett.
Perché l’incidenza della malattia mentale nel Regno Unito è doppia rispetto a quella in Germania? Perché gli americani sono tre volte più propensi degli olandesi a sviluppare problemi di gioco? Perché il benessere dei bambini è molto peggiore in Nuova Zelanda rispetto al Giappone?
La tesi di fondo dei due autori è che la misura del benessere mentale di una società non dipende dal PIL o dal PIL medio pro capite, e quindi dal potere d’acquisto medio della popolazione, ma dal livello di disuguaglianza economica e quindi di opportunità che permea una società.2019
Da buoni epidemiologi parlano dati alla mano. Oggi fra i paesi ricchi, le società dove il benessere psicologico è peggiore sono proprio le società più disuguali (nei termini del coefficiente di Gini): Stati Uniti e Regno Unito su tutti. Al contrario, le società più eque come il Giappone o i paesi scandinavi sono quelle che presentano tassi inferiori di disturbi mentali.
Non è un caso – affermano gli autori – che con il passare dei decenni si registri una sempre maggiore prevalenza di disturbi mentali come l’ansia, nonostante le società siano diventate sempre più ricche. Non sono le generazioni a essere diventate via via sempre meno capaci di far fronte alle difficoltà della vita, come viene spesso raccontato, ma è l’ineguaglianza a creare una maggiore competizione sociale, che a sua volta favorisce l’aumento di ansia e stress, e quindi una maggiore incidenza di malattie mentali, insoddisfazione e risentimento. E questo – continuano gli autori -porta all’ampliamento di abuso di droghe, alcol e dipendenze come il gioco d’azzardo – che a loro volta generano ulteriore stress e ansia.
Per gli Stati Uniti – il paese dove la disuguaglianza economica è maggiore – basta pensare all’epidemia dell’abuso di oppiacei ormai da tempo balzata alle cronache. Secondo i dati dell’CDC americano, il tasso di mortalità per abuso di oppiacei è passato da 3 decessi per 100 mila persone del 2000 ai 13,5 del 2016.
Certo, la malattia mentale è un fenomeno multifattoriale. La Nuova Zelanda ha tre volte più malattie mentali dell’Italia, e gli stessi livelli di disuguaglianza di reddito, e la Francia ha il doppio dei tassi di malattia mentale della vicina Spagna, eppure la sua disuguaglianza di reddito è più o meno la stessa. Tuttavia, la tendenza c’è e si vede.
Gli autori incrociano i dati sulla disuguaglianza economica con l’indice di “salute e problemi sociali” che comprende – si legge – aspettativa di vita, abilità nel leggere, scrivere e far di conto, mortalità infantile, tasso di omicidi, reati commessi, gravidanze in età adolescenziale, tassi di obesità, mobilità sociale e – appunto – disturbi mentali incluse le dipendenze.
Secondo gli autori l’Italia rappresenterebbe un’anomalia: un livello medio alto di disuguaglianza economica ma una prevalenza non così elevata di disturbi mentali, e la ragione sarebbe da ricercarsi nelle “strette relazioni familiari in Italia”.
Il legame fra livello di “income inequality” (letteralmente disuguaglianza di reddito) e prevalenza delle malattie mentali è stato esaminato e confermato anche da un’ampia revisione pubblicata nientemeno che su The Lancet Psychiatry nel 2017, che vede fra gli autori anche un italiano, Luca Pingani dell’Azienda USL di Reggio Emilia e dell’Università̀ degli studi di Modena e Reggio Emilia. Esaminando 27 studi su questo tema, gli autori, guidati da Sara Evans-Lacko e Wagner-Silva Ribeiro della London School of Economics, hanno concluso che le disuguaglianze di reddito sono negative per la salute mentale, anche se sulle dimensioni di questo impatto vi è una marcata eterogeneità tra gli studi. La conclusione è che se la riduzione della disparità di reddito potrebbe comportare un significativo miglioramento del benessere della popolazione.
In The Inner Level ampio spazio è dedicato infine all’analisi del benessere durante l’infanzia, che come è noto è un proxy di malessere in età adulta.
Si tratta di considerazioni ampiamente condivise dai maggiori studiosi di epidemiologia sociale a livello mondiale. Lo stesso Michael Marmot nel suo “The Health Gap”, sottolineava che il gap inizia non appena si nasce e povertà e privazioni, si traducono in condizioni cognitive sfavorevoli sin dalla primissima infanzia, a partire per esempio dal numero di parole utilizzate dai bambini. Insomma, il luogo comune secondo cui ciò che non uccide dovrebbe fortificare è falso: per citare Marmot, “ciò che non uccide rende più vulnerabili”.

sabato 3 maggio 2014

Censis: i dieci italiani più ricchi possiedono quanto 500 mila operai.

La povertà tocca ormai anche i ceti medi. In foto la mensa per poveri della Comunità di Sant’Egidio, a Roma (Ansa/Peri)

Duemila persone hanno un patrimonio superiore a 169 miliardi di euro. L’ipotesi del centro studi sugli effetti del bonus di 80 auro: «Se permanente 3,1 miliardi di consumi»
I 10 uomini più ricchi d’Italia dispongono di un patrimonio di circa 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi 500mila famiglie operaie messe insieme. Lo rileva un’analisi del Censis. Poco meno di 2mila italiani ricchissimi, membri del club mondiale degli ultraricchi, dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi di euro (senza contare il valore degli immobili): cioè lo 0,003% della popolazione italiana possiede una ricchezza pari a quella del 4,5% della popolazione totale. Ecco plasticamente rappresentate le disuguaglianze di oggi in Italia.
Un dirigente guadagna 5,6 volte in più di un operaio.
«Le distanze nella ricchezza sono cresciute nel tempo - osserva il Censis - oggi, in piena crisi, il patrimonio di un dirigente è pari a 5,6 volte quello di un operaio, mentre era pari a circa 3 volte vent’anni fa. Il patrimonio di un libero professionista è pari a 4,5 volte quello di un operaio (4 volte vent’anni fa). Quello di un imprenditore è pari a oltre 3 volte quello di un operaio (2,9 volte vent’anni fa)». Anche la geografia ha il suo peso: il rischio di finire in povertà è, per i residenti nel sud (33,3%), triplo rispetto a quelli del nord (10,7%) e doppio rispetto a quelli del centro (15,5%). Al sud (18%) i residenti hanno anche un rischio quasi doppio di finire indebitati rispetto al nord (10,4%) e di 5 punti percentuali più alto rispetto a quelli del centro (13%).
Gli effetti del bonus da 80 euro.
Ma come impiegheranno il bonus di 80 euro al mese i 10 milioni di italiani che ne beneficeranno? Dipende, dice il Censis, se il bonus Irpef sarà permanente oppure una tantum. Nel primo caso, si stima un incremento della spesa per consumi in 8 mesi superiore a 3,1 miliardi di euro, il 15% in più rispetto al caso in cui il bonus non venga rinnovato. Nel caso in cui gli 80 euro costituiscano un incremento una tantum del reddito, il Censis ritiene che 2,7 miliardi di euro (dei 6,7 miliardi totali previsti dal decreto del governo) andranno ad alimentare la domanda interna. Per la precisione, 2,2 milioni di beneficiari del provvedimento impiegheranno tutti gli 80 euro mensili in consumi, per una spesa pari a 1,5 miliardi negli otto mesi mentre altri 2,7 milioni di beneficiari li spenderanno solo in parte per consumi, per un valore di 1,2 miliardi di euro (e destineranno 700 milioni ad altro). Invece, 5 milioni di beneficiari useranno il bonus esclusivamente per impieghi diversi dai consumi (risparmi, pagamento di debiti, ecc.), per un ammontare di 3,3 miliardi di euro.
«Tanti vanno giù e pochi salgono»
Negli anni della crisi (tra il 2006 e il 2012), i consumi familiari annui degli operai si sono ridotti, in termini reali, del 10,5%, quelli degli imprenditori del 5,9%, quelli degli impiegati del 4,5%, mentre i consumi dei dirigenti hanno registrato solo un -2,4%. «Distanze già ampie che si allargano, dunque - rilevano i ricercatori del Censis - compattezza sociale che si sfarina, e alla corsa verso il ceto medio tipica degli anni ‘80 e ‘90 si è sostituita oggi una fuga in direzioni opposte, con tanti che vanno giù e solo pochi che riescono a salire. In questa situazione è alto il rischio di un ritorno al conflitto sociale».
Il secondo figlio raddoppia la possibilità di diventare poveri.
Le iniquità sociali non riguardano solo patrimoni e redditi, ci sono anche eventi della vita che generano diversità. Come avere o non avere bambini: la nascita del primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà (nel primo caso il rischio riguarda l’11,6%, nel secondo caso il 13,1%). Ma la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il rischio di finire in povertà (20,6%) e la nascita del terzo figlio lo triplica (32,3%). Inoltre, avere figli raddoppia il rischio di finire indebitati per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli: il rischio riguarda il 15,7% nel primo caso, il 6,2% nel secondo caso.