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domenica 29 agosto 2021

Monoclonali: La cura c’è, tutto il resto invece manca. - Thomas Mackinson

 

Autunno. Medicina territoriale e alti costi: perché quella che può essere una svolta stenta a partire.

La sola cura per il Covid-19 fino a oggi ufficialmente riconosciuta è finita dentro un imbuto tipicamente italiano da cui esce col contagocce.

A sette mesi dall’autorizzazione all’uso, i pazienti trattati con farmaci a base di anticorpi monoclonali sono infatti stati soltanto 7.500 sparsi tra tutte le regioni d’Italia.

Alcune come Lazio, Veneto e Toscana svettano nella classifica; altre non brillano affatto come l’Umbria, che in una settimana ha registrato 800 nuovi contagi e un solo monoclonale somministrato.

Usa e Germania corrono Noi siamo in ritardo.

Nel complesso, la via italiana ai monoclonali – unica cura autorizzata al mondo – procede tra strappi e ritardi. Si era aperta l’8 febbraio 2021 quando, superando molte resistenze, l’Agenzia italiana del farmaco ne aveva infine autorizzato l’uso, anche se soltanto in emergenza. Le aspettative però si sono presto infrante sui numeri: in questo lasso di tempo li abbiamo usati cinque volte meno che gli Stati Uniti, tre volte meno della Germania. E vai a sapere quanti pazienti si sarebbero potuti curare e salvare.

Il sottoutilizzo, va detto, non è dovuto alle risorse, perché già a febbraio il ministero della Salute aveva reperito quelle necessarie agli acquisti a valere su un fondo da 400 milioni: con una media di mille-duemila euro a fiala, a seconda del farmaco, si potevano garantire 200 mila infusioni.

La determina dell’Aifa. Si allarga la platea.

Perché in sette mesi ne sono state fatte 26 volte meno? Per quell’imbuto fatto di inerzie, burocrazia e disorganizzazione sanitaria che continua a minare l’uscita dal tunnel. Per tentare di rovesciarlo, l’Agenzia del Farmaco prova oggi ad allargare la platea dei soggetti candidabili all’infusione. Il 4 agosto ha emanato una determina che modifica i registri cui accedono i medici per le prescrizioni. I monoclonali valgono ancora per i pazienti non ospedalizzati ad “alto rischio di progressione a Covid19 severo”, ma i vincoli sui fattori di rischio sono diventati meno stringenti.

Più precisamente, la vecchia formulazione recitava: “Si definiscono ad alto rischio i pazienti che soddisfano almeno uno dei seguenti criteri”, e giù l’elenco delle patologie (immunodeficienza, malattie cardiovascolari, diabete mellito e così via).

Nella nuova, la frase lascia il posto a un più generico “alcuni dei possibili fattori di rischio sono…”, rimettendo così al medico il compito di selezionare il paziente idoneo alla cura.

Il Veneto su tutti Ma i numeri sono bassi.

Esulta per questo il presidente del Veneto Luca Zaia: “Sarà possibile somministrare gli anticorpi monoclonali a tutti, mentre prima, in base alle indicazioni dell’Agenzia italiana del farmaco erano destinati solo a chi aveva anche altre patologie, ora invece le cure con i monoclonali sono aperte a tutti”.

E per una ragione fondata. Zaia sa che il primato della sua regione, che vanta il 50% di tutte le somministrazioni fatte in Italia, è in realtà ben poca cosa in termini assoluti: solo 72 richieste di prescrizione a fronte di 3.873 nuovi contagi in una settimana. Per questo il leghista tiene a far sapere ai veneti di aver informato tutte le aziende ospedaliere della buona novella.

Assistenza domiciliarePunto debole del sistema.

Le somministrazioni a singhiozzo rivelano tutta la debolezza della medicina territoriale, quella che dovrebbe velocemente diagnosticare, valutare l’eleggibilità al trattamento e organizzare l’infusione endovenosa in strutture sanitarie autorizzate.

Su questo fronte, a un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, non si sono registrati miglioramenti, anche se l’ultimo monitoraggio disponibile attesta un aumento delle prescrizioni (389 contro 302 della settimana precedente). Il punto è che va così coi preparati di prima generazione, quelli che richiedono un’infusione di un’ora in strutture ospedaliere organizzate, figurarsi con quelli di seconda generazione, somministrabili attraverso una semplice iniezione intramuscolo direttamente a casa dei pazienti.

Non c’è un protocollo. Nuovo ritardo in vista.

Diverse multinazionali e centri di ricerca, anche italiani, stanno mettendo a punto questi farmaci che, più semplici da somministrare, potrebbero ridare slancio all’arma spuntata che riduce infezioni e ricoveri e funge anche da barriera temporanea al virus e alle sue multiformi variazioni. I primi dovrebbero arrivare in autunno. A oggi però non c’è ancora alcuna determina Aifa relativa alla formulazione intramuscolo o protocolli nazionali per l’uso allargato in via domiciliare. Il prossimo ritardo, dunque, è già dietro l’angolo.

ILFQ

mercoledì 24 marzo 2021

“Bertolaso scelse Aria senza consultarci, non siamo attrezzati.” - Andrea Sparaciari

 

Lo sfogo. Da dentro il cda.

Cancellata Aria e con l’arrivo di Poste, la Lombardia è pronta a infrangere ogni record vaccinale. È il racconto che da ieri si ripete nella Regione sommersa dagli errori dei suoi vertici. Una favola alimentata da Guido Bertolaso che ieri è tornato col solito cliché di annunci e responsabilità scaricate su altri. Il fuoco di fila è partito con l’intervista al Corriere: “Mi ero accorto che qualcosa in Aria non funzionava il giorno che abbandonarono 300 anziani convocati per errore. Era un sistema che funzionava male e andava cambiato”. E ancora: “Qui non sono nessuno: non posso firmare un pezzo di carta, non posso stanziare un euro. Dovrei stare all’ultimo piano di Palazzo Lombardia a dire cosa mi sembra giusto o sbagliato. Invece sono qui a incastrare numeri”. Ed è continuato in tv (Mattino Cinque): “Quando questa parte informatica lavorerà perfettamente, qui vaccineremo più velocemente che nel resto d’Europa”.

Ieri si è rifatto vivo persino l’ex assessore Giulio Gallera: “Io non ho nulla da rimproverarmi. Alla fine l’unico problema oggettivo che ho avuto io è stato quello dei vaccini antinfluenzali, come sempre decisi dalla società Aria che aveva sbagliato completamente il percorso di acquisizione”. Niente errori, colpa di Aria e della Lega: “C’è questa società, Aria, fortemente voluta dall’assessore Caparini e dalla Lega che si è dimostrata una realtà non efficiente e al di sotto delle aspettative. Il management non è all’altezza. Io me ne sono accorto subito, Aria ha sbagliato tutto fin dal primo momento”, ha aggiunto compiaciuto. Quindi, eliminata Aria, eliminati i problemi. Ma c’è chi racconta un’altra verità. È Mario Mazzoleni, professore di Economia Aziendale alla Bocconi di Brescia e membro dimissionario del cda di Aria: “Si è scelto di nascondere gli errori sotto il tappeto, trovando un capro espiatorio. Aria è il paravento dietro il quale si rifugia chi ha preso le decisioni politiche”. Quella che racconta Mazzoleni è una storia che parla di inefficienze: “Aria ha problemi di organizzazione, perché è nata male, è stata realizzata con superficialità”. E svela come il Pirellone stesse trattando con Poste già da gennaio per usare la sua piattaforma, “ritenendo inadeguata quella di Aria”.

Una trattativa interrottasi il 7 febbraio, quando Poste aveva comunicato l’impossibilità di governare il modello di campagna vaccinale ideato dal Pirellone, ingestibile perché differente da quello delle altre Regioni. “Qualcuno a gennaio ha pensato a un sistema molto accentrato e di realizzarlo attraverso Poste. Facendo due errori: 

1) accentrare tutto in una Regione dove c’è un caos organizzativo di deleghe tra Ats, Asst; 

2) legare tale accentramento a un portale che è venuto meno. 

Così si è perso un mese intero”. Per capirci, se la Lombardia avesse fatto gestire gli appuntamenti alle singole Asst con l’appoggio di Poste, sarebbe forse andato tutto liscio. Invece ha deciso di controllare ogni passaggio. Opzione alla quale Poste ha detto “no grazie”. Ma la cosa grave è che l’8 febbraio, svanite Poste, “Bertolaso indica in Aria la soluzione, in un portale che non era nato per gestire questa complessità! Vorrei che qualcuno lo chiedesse a Bertolaso se ha valutato solo per un minuto che il portale era nato con altri scopi. Ha deciso da solo, senza aspettare i tempi tecnici per adeguare la piattaforma. Dopo 10 giorni è partito con gli over 80. Un portale dove c’è tanta parte manuale per l’inserimento dati è sottoposto a ovvii rischi di errore. Vedi cap errati, agende vuote ecc…”, dice Mazzoleni. Perché il cda ha taciuto? “Sentivamo il fiato sul collo di Bertolaso e Caparini. Una pressione diventata molto più pesante dopo la vicenda dei camici (quelli venduti al Pirellone dalla società della famiglia Fontana, ndr)! Il nostro errore è stato di non aver parlato prima”.

E oggi aprirà l’hub vaccinale nel Palasport di Codogno, la cittadina del Lodigiano dove è stato identificato il primo caso di coronavirus, ma a un centinaio di over 80 è arrivato un messaggio che li invitava ad andare ieri a vaccinarsi: hanno trovato chiuso. C’è stato un errore dell’Asst di Codogno che aveva indicato ad Aria l’apertura da ieri e invece che da oggi.

IlFQ