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domenica 6 giugno 2021

Per la prima volta nella storia la società civile fa causa allo Stato italiano: “È inadempiente nel contrasto all’emergenza climatica”. - Luisiana Gaita

 

Il primo contenzioso climatico è portato avanti da 203 ricorrenti, tra associazioni e privati cittadini, tra cui il meteorologo Luca Mercalli: "Con una mano lo Stato promette transizioni verdi, con l’altra continua a sostenere le pratiche più perniciose per la natura".

Il primo contenzioso climatico della storia d’Italia: con una causa di fronte al Tribunale Civile di Roma la società civile fa causa allo Stato italiano, rappresentato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, affinché si assuma le sue responsabilità per l’assenza di politiche ambientali efficaci di fronte all’emergenza climatica. Tra i 203 ricorrenti, 24 sono associazioni, 17 minori (rappresentati in giudizio dai genitori) e 162 adulti. L’azione legale è promossa nell’ambito della campagna di sensibilizzazione intitolata evocativamente ‘Giudizio Universale’. Primo ricorrente è l’Associazione ‘A Sud’, da anni attiva nel campo della giustizia ambientale. “Dopo decenni di dichiarazioni pubbliche che non hanno dato seguito ad alcuna azione all’altezza delle sfida imposte dall’emergenza ambientale, la via legale è uno strumento formidabile per fare pressione sullo Stato affinché moltiplichi i suoi sforzi nella lotta al cambiamento climatico” spiega Marica Di Pierri, portavoce di ‘A Sud’ e curatrice del libro ‘La causa del secolo’ (Round Robin editrice) in uscita oggi. Tra i ricorrenti anche Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana. “Da decenni lo Stato italiano promette di ridurre il proprio impatto sul clima, di mitigare i rischi, di costruire resilienza verso le conseguenze del riscaldamento globale – sottolinea – ma alle parole non corrispondono i fatti, sempre insufficienti e sottodimensionati rispetto all’urgenza”. Non solo: “Mentre con una mano lo Stato promette transizioni verdi, con l’altra continua a sostenere le pratiche più perniciose per l’ambiente”. 

LA CAUSA – I ricorrenti sono stati assistiti da un team legale composto da avvocati e docenti universitari, fondatori della rete di giuristi Legalità per il clima. A patrocinare la causa gli avvocati Luca Saltalamacchia, esperto di tutela dei diritti umani e ambientali, e Raffaele Cesari, esperto di diritto civile dell’ambiente, assieme al professor Michele Carducci, dell’Università del Salento, esperto di diritto climatico. Questo giudizio si inserisce nel solco dei contenziosi climatici contro gli Stati che si stanno celebrando in tutto il mondo. Una quarantina i Paesi dove è stata avviata una causa. “Se la politica si rifiuta di proteggere il nostro diritto a un futuro vivibile, sarà la legge, attraverso la causa di Giudizio Universale, a obbligarla finalmente ad agire” commenta Filippo Sotgiu, portavoce di Fridays for Future Italia e ricorrente. 

LE RICHIESTE DEI RICORRENTI – L’obiettivo, dunque, è quello di chiedere al Tribunale di dichiarare che lo Stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica e che l’impegno messo in campo è insufficiente a centrare gli obiettivi. “Un’insufficienza – aggiungono i legali – che ha come effetto la violazione di numerosi diritti fondamentali”. Tra le argomentazioni della causa legale spicca, infatti, la relazione tra diritti umani e cambiamenti climatici e la necessità di riconoscere un diritto umano al clima stabile e sicuro. “Le conseguenze sanitarie delle variazioni climatiche hanno aspetti differenti in diverse aree geografiche ma coinvolgono tutti, indipendentemente dalla collocazione e dal livello economico o socio-culturale” spiega Agostino Di Ciaula, presidente Comitato scientifico ISDE Italia, secondo cui il risultato finale “è un progressivo incremento della vulnerabilità individuale e una progressiva riduzione delle capacità di resilienza, con le fasce più fragili della popolazione che pagano prima e più di altri costi elevatissimi”. Come spiegano gli avvocati, non si chiederà al giudice alcun risarcimento “ma piuttosto di ordinare allo Stato di abbattere le emissioni di gas serra per portarle ad un livello compatibile con il raggiungimento dei target fissati dall’Accordo di Parigi”. Nel dettaglio, con il ricorso si chiede che lo Stato sia obbligato “a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livello 1990, applicando il principio di equità e il principio di responsabilità comuni ma differenziate (Fair Share), ossia tenendo conto delle responsabilità storiche dell’Italia nelle emissioni di gas serra e delle sue attuali capacità tecnologiche e finanziarie attuali”. 

I DATI A SOSTEGNO – La percentuale di riduzione delle emissioni è stata calcolata da Climate Analytics, organizzazione indipendente per la ricerca sul cambiamento climatico, che ha realizzato uno specifico report per ‘A Sud’ sulla valutazione dei trend di riduzione delle emissioni nel nostro Paese. Secondo quanto emerge dal rapporto, seguendo l’attuale scenario delle politiche italiane, ci si attende che le emissioni al 2030 siano del 26% inferiori rispetto ai livelli del 1990. “Stando a queste proiezioni del governo – è la conclusione – l’Italia non riuscirà a raggiungere il suo modesto obiettivo di ottenere una riduzione del 36% entro il 2030 come stimato dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec). Tra i paesi europei che pianificano il passaggio dal carbone al gas, per esempio, l’Italia ha il più alto consumo di gas pianificato per gli anni 2020. E sebbene il nostro Paese stia puntando a una quota del 30% di energia rinnovabile nel consumo finale lordo di energia entro il 2030 “non ha attualmente le politiche in atto per raggiungere questo obiettivo”. Secondo i ricorrenti l’attuale obiettivo dell’Italia rappresenta un livello di ambizione così basso “che, se altri paesi dovessero seguirlo, porterebbe probabilmente a un riscaldamento globale senza precedenti di oltre 3°C entro la fine del secolo”.

IlFQ