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mercoledì 29 settembre 2021

Luca Morisi, l’ammissione dei due ragazzi romeni dopo il controllo: “Nel flacone c’è Ghb”. Salvini ora va all’attacco: “Schifezza mediatica”.

 

I due giovani fermati dai carabinieri riferiscono di avere avuto la droga "gratuitamente" dal guru social della Lega. Il suo avvocato smentisce: "Quel flacone con del liquido non era di Luca Morisi". Il legale nega anche la presenza di un quarto uomo (il 50enne presente nella mansarda) e annuncia che c'è un altro indagato nell’inchiesta, "di nazionalità rumena".

Nel cascinale di Belfiore le ore che hanno con ogni probabilità messo fine alla carriera di Luca Morisi nella Lega sono quelle che corrono tra il 13 e il 14 agosto. Lo spin doctor di Matteo Salvini – che adesso attacca la stampa che mette “il mostro in prima pagina” – è nella sua mansarda, sembra in compagnia di un 50enne. Lo raggiungono due ragazzi: sono di nazionalità romena, hanno circa 20 anni e vivono fuori dalla provincia di Verona, secondo le indiscrezioni convergenti di diversi quotidiani. I quattro restano in casa per almeno dodici ore. Un festino, probabilmente. Almeno a mettere insieme i racconti dei vicini che hanno riferito di “rumori per tutta la notte”.

Quando i due giovani vanno via vengono fermati dai carabinieri per un “controllo di routine”, come ha evidenziato per tutta la giornata di lunedì la procuratrice di Verona, Angela Barbaglio. Nella loro auto viene ritrovato un flacone: i due ammettono subito di fronte ai militari dell’Arma. “È Ghb”, la cosiddetta “droga dello stupro” usata anche per amplificare l’effetto della cocaina e spesso utilizzata durante rapporti consenzienti. Come riporta La Repubblica, i due riferiscono anche di averla “gratuitamente” da Luca Morisi, ora indagato per cessione di stupefacenti in attesa che i riscontri di laboratorio sulla sostanza – i risultati arriveranno almeno ad ottobre – confermino o meno quanto dichiarato dai giovani.

A quel punto, scatta la perquisizione nel cascinale. Dentro l’abitazione di Morisi vengono ritrovati circa 2 grammi di cocaina, non occultati. Il guru dei social leghisti viene segnalato in Prefettura, il possesso di quella modica quantità è un semplice illecito amministrativoPerò il racconto dei due romeni fa partire l’inchiesta della procura di Verona e, dopo 40 giorni in cui la vicenda è rimasta avvolta dal silenzio, viene a galla il vero motivo dell’addio di Morisi alla “Bestia”, avvenuto già agli inizi di settembre. Ai magistrati spetterà ricostruire non solo gli aspetti legati alla cessione da Morisi ai due giovani, ma anche ricostruire chi sia stato il fornitore delle due sostanze stupefacenti.

Ma la difesa dell’ex social media manager – dimessosi il primo settembre scorso dal suo ruolo – punta già a chiarire un aspetto fondamentale: “Quel flacone con del liquido non era di Luca Morisi, il quale – evidentemente – non può averlo ceduto a terzi”. L’avvocato Fabio Pinelli, difensore di Luca Morisi, in una nota, fornisce ulteriori chiarimenti, smentendo la presenza di un quarto uomo (il 50enne presente nella mansarda di Morisi) e annunciando che c’è un altro indagato nell’inchiesta. “Nel corso della perquisizione a casa di Luca Morisi non è stato sequestrato materiale informatico: né smartphone né pc. Risulta indagata anche un’altra persona di nazionalità rumena, che era in compagnia di un connazionale al momento sconosciuto”. Tre persone quindi, sostiene il legale, e “nessun quarto uomo” nell’alloggio dell’ex spin doctor di Salvini.

Nel frattempo la questione è politica. Innanzitutto perché la vicenda sconfessa diverse battaglie leghiste, ad iniziare da quella sull’uso delle droghe. E l’indagine piove sulla testa di Salvini, già alle prese con la bagarre tutta interna al Carroccio. Il leader si schiera accanto al suo “amico”, promette che lo aiuterà a “rialzarsi”. Dopo passa all’attacco della stampa, dicendosi “spiaciuto” della “schifezza mediatica” che “condanna le persone prima che sia un giudice, un tribunale a farlo”. Un paradosso dopo anni di campagne social su vicende giudiziarie in itinere legate ai temi degli stupefacenti. “Non conosco la vicenda, sono vicende personali”, ha aggiunto ripetendo che “Luca è una gran brava persona, un amico”. Ci sono giornalisti che sbattono “il mostro in prima pagina”. In un “Paese civile prima di condannare qualcuno, prima di sputtanare qualcuno – ha proseguito il segretario del Carroccio – si aspetta che sia la giustizia a fare il suo corso”.

ILFQ

giovedì 23 luglio 2020

Carabinieri arrestati a Piacenza, l’orgia con le escort in caserma e la scatola della terapia per la droga. Il Gip: “Come un romanzo noir”. - Giovanna Trinchella

Carabinieri arrestati a Piacenza, l’orgia con le escort in caserma e la scatola della terapia per la droga. Il Gip: “Come un romanzo noir”

Troppo lungo e così documentato l'elenco dei reati che il giudice per le indagini preliminari ha creduto di essere piombati nella fantasia di uno scrittore. E invece no: gli arresti illegali, le torture, la droga rubata agli spacciatori per fornirla ai pusher loro informatori durante il locokdown, la consegna e il trasporto di sostanze in divisa e sull'auto di servizio, era tutto vero.

Atti di indagini o le pagine di “romanzo noir“? Il giudice per le indagini preliminari di Piacenza, Luca Milani, a un certo punto dell’inchiesta che ha portato a scoprire l’esistenza a Piacenza di una caserma che potrebbe essere considerata a tutti gli effetti un covo di criminali, se l’è chiesto. Troppo lungo e così documentato l’elenco dei reati da credere di essere piombati nella fantasia di uno scrittore. E invece no: gli arresti illegali, le torture, la droga rubata agli spacciatori per fornirla ai pusher loro informatori durante il lockdown, la consegna e il trasporto di sostanze in divisa e sull’auto di servizio, contestati a vario titolo, era “tutto vero”. E se questi “reati gravissimi”, come li ha definiti la procuratrice capo di Piacenza Grazia Pradella, non fossero bastati a intessere la sceneggiatura, dove si davano “schiaffoni come in Gomorra“, leggendo le 326 pagine di ordinanza cautelare suddivise in capitoli con titoli come se fosse un libro, si viene a sapere che nella caserma di via Caccialupo almeno un carabiniere ha fatto sesso con le escort e secondo un teste anche festini a base di droga.
L’appuntato con la villa con piscina e 24 conti correnti – Ma non solo: i carabinieri avrebbero approntato, secondo le indagini, una sorta di nascondiglio dove pusher che li informavano potevano approvviggionarsi di droga: la “scatola della terapia” come la definisce lo spacciatore e informatore marocchino che ha cominciato a raccontare i comportamenti “sopra le righe” dei militari dell’Arma. Carabinieri, capeggiati da Giuseppe Montella, classe 1983, appuntato, che aveva un tenore di vita molto più alto di quanto permettesse il suo stipendio. Il nordafricano era stato convocato dalla polizia municipale di Piacenza dopo che un maggiore chiamato per una testimonianza aveva fatto ascoltare alcuni audio ai poliziotti che gli erano stati inviati dal pusher. L’ufficiale ha dichiarato agli inquirenti di non aver denunciato perché “non sfidava degli attuali dirigenti” ma riteneva che le dichiarazioni del marocchino potessero essere vere proprio per l’Audi sfoggiata dall’appuntato e la villetta in campagna con piscina rappresentavano un tenore di vita “ben al di sopra di quanto ordinariamente possibile per un militare dell’Arma del suo grado”. Il giudice ha disposto il sequestro dei beni e di 24 conti correnti.

L’incredulità del gip: “Tutto vero e reso più palpabile grazie al trojan”- Le indagini, coordinate dai pm Antonio Colonna e Matteo Centini, hanno rivelato fin dall’inizio “uno scenario estremamente preoccupante … Non è stato semplice rendersi conto, settimana dopo settimana, che dietro i volti sempre cordiali e sorridenti di presunti servitori dello Stato, incrociati più volte nei corridoi e nelle aule del Tribunale di Piacenza mentre svolgevano attività istituzionali, potessero celarsi gli autori di reati gravissimi – ragiona il giudice – è capitato spesso di alzare lo sguardo per capire se non ci si stesse trovando di fronte alle pagine di qualche romanzo noir riguardante militari infedeli. Tutto vero, invece, e reso ancor più palpabile e concreto grazie all’impiego di uno strumento investigativo inedito e potentissimo come il captatore informatico”, il trojan. Le intercettazioni ha restituito in diretta anche gli abusi commessi nella caserma: le botte, le lacrime del fermato, i colpi di tosse (qui l’audio dell’intercettazione). Nella stazione carabinieri Piacenza Levante sono state messe in atto “condotte poco trasparenti e gravemente scorrette” sia nei confronti dell’autorità giudiziaria sia e soprattutto nei confronti di chi “ingiustamente” era stato arrestato: condotte “illecite” che vanno viste “nell’ambito di un generale atteggiamento di totale illeiceità e disprezzo per i valori incarnati dalla divisa indossata“.

L’orgia con le prostitute in caserma e l’estorsione dell’auto – Montella, che aveva l’abitudine di nascondere i soldi illeciti nella cassaforte della caserma, racconta un episodio che dimostra per il giudice quanto fosse profondo quel disprezzo. È il 3 maggio quando l’appuntato parlando con un altro carabiniere, Salvatore Cappellano, che per il collega Giacamo Falanga, anche loro arrestati, avevano organizzato una serata per festeggiare una ricorrenza. “Quella sera due gliene ho fatte trombare” racconta Montella, “Lo scenario è quello di un’orgia” scrive il gip all’interno della stanza del comandante Marco Orlando (domiciliari) dove si era creato tale scompiglio che le pratiche sulla scrivania erano finite sparpagliate, come il cappello e la giaccia. Ma non solo le urla delle due donne, “presumibilmente escort” anche se un teste aveva parlato anche di una transessuale, avevano infastidito qualcuno che si era lamentato. Un comportamento in cui “forse” non sono ravvisabili reati ma che per il gip sono la metafora di quel disprezzo. È invece contestata l’estorsione per un altro episodio (4 febbraio) descritto dal giudice. In questo caso ci sono state minacce con l’arma d’ordinanza, botte ai dipendenti di una concessionaria e computer danneggiati per concludere la vendita di un’Audi A4 alle condizioni economiche da lui imposte: 10mila euro a fronte di un valore di 21.500 euro. Tra i reati contestati c’è anche il peculato. Con l’autovettura di servizio Fiat Punto i carabinieri della Stazione Levante di Piacenza andavano anche al ristorante, al bar, in negozi a Piacenza e addirittura a casa di uno di loro dove ad attenderli, a metà pomeriggio, c’era la mamma per la merenda da consumare prima di far definitivamente rientro in caserma. Gli altri militari arrestati sono Angelo Esposito e Daniele Spagnolo.

Sei mesi indagini, la scoperta delle cimici – In sei mesi di indagini – dal 20 gennaio e fino a pochi giorni fa – sono stati 53 i “target” delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Sono state 75mila le intercettazioni telefoniche e ambientali. Per tre mesi gli indagati sono stati intercettati e per tre mesi è stato un trojan a far emergere i comportamenti inimmaginabili. Questo perché a un certo punto il carabiniere insospettito dal rumore proveniente dalla sua auto l’aveva portata dal meccanico e aveva scoperto di essere intercettato. Impossibile dire quindi quante violazioni sarebbero state svelate se anche le altre cimici non fossero saltate fuori. L’ordinanza è stata divisa in capitoli: “la droga ai temi del coronvirus” che tratta della droga e dei rapporti illeciti con i pusher, “disciplina e onore” che racconta degli arresti illegali ma anche le scampagnate con l’auto di servizio o dell’orgia caserma, “la legge sono io” con l’episodio dell’estorsione, l’acquisto di anabolizzanti e la grigliata il giorno di Pasqua, “la paura” con la scoperta delle cimici e infine “la risposta dello Stato”. Capitolo che chiude il provvedimento, firmato il 19 luglio, definito “atto di giustizia” e dedicato a chi 28 anni fa, in via D’Amelio a Palermo perse la vita. Nell’attentato morirono Paolo Borsellino e gli uomini della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina morti “compiendo il loro dovere” e “servitori dello Stato di tutt’altro spessore rispetto agli odierni indagati.


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