Era un po’ di tempo che stavamo in pensiero: non avevamo più notizie di Marianna Madia. Ci mancava il suo sguardo penetrante da paracarro di periferia, il suo calore umano da termosifone spento, il suo irrefrenabile dinamismo intellettuale da lampione fulminato. Ci aspettavamo di trovarla nel toto-ministri, niente: c’era persino Guerini, ma lei no. L’abbiamo cercata nella lista dei sottosegretari, nisba: c’era financo la Ascani, ma lei no. Temevamo che l’Anonima Sequestri Sovranista stesse facendo sparire le migliori menti del pensiero dem (si son perse le tracce pure di Orfini). Avevamo iniziato a chiamare questure, procure e pronto soccorso, casomai qualcuno ne avesse denunciato la scomparsa o l’avesse ritrovata in stato confusionale notando qualche differenza dallo standard abituale. Poi, finalmente, La Stampa ci ha dato sue notizie. Marianna gode ottima salute. Ed è la solita fucina di idee: “L’ostacolo a qualunque prospettiva di collaborazione a Roma col M5S è la Raggi”, che deve dimettersi ipso facto con due anni d’anticipo. Perché “governa da tre anni e mezzo”. Infatti dovrebbe governare un altro anno e mezzo. E con qualche chance di successo, visto che il governo sta per assegnare alla Capitale poteri e fondi speciali e le gare bandite nei primi tre anni per strade, buche, decoro, trasporti e rifiuti stanno dando i primi frutti. Ma la Madia, non avendo mai preso un voto in vita sua, detesta i sindaci di Roma eletti dal popolo almeno quanto il Pd, che cacciò Marino dopo un anno e mezzo e ora ci riprova con la Raggi. Che – assicura la Marianna – “ha fallito”. E di fiaschi lei se ne intende, dacché la Consulta rase al suolo la sua riformicchia della PA.
Ora, per dire, vuole “contribuire a ridare dignità alla capitale” (come se la capitale non avesse già abbastanza guai di suo). E ha le idee piuttosto chiare: tipo “riaprire un dibattito pubblico con tanti pezzi della società”. M’hai detto un prospero. Già che c’è, contribuisce anche alla legge di Bilancio: “si deve discutere in Europa per ottenere le risorse che servono”, casomai Conte e Gualtieri non ci avessero pensato. E pure alla legge elettorale: “Spero in una netta presa di posizione del Pd per il maggioritario”. È quel che dice anche Salvini. La scissione di Renzi non le è piaciuta, la qual cosa lo getterà nel più cupo sconforto. Ma “nelle correnti del Pd fatico a capire i posizionamenti ideali”. E parla per esperienza, avendole girate tutte: è stata napolitaniana (nel senso di Giulio), veltroniana, lettiana (nel senso di Enrico), dalemiana, bersaniana, renziana, gentiloniana, zingarettiana. Ma non ha mai capito i posizionamenti ideali. Mi sa che è colpa della Raggi.