Visualizzazione post con etichetta fuori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fuori. Mostra tutti i post

domenica 31 gennaio 2021

Scende in campo pure Confindustria: vuole Conte fuori. - Carlo Di Foggia

 

L’affondo - “Premier cambi mestiere”.

Gli industriali italiani non hanno mai fatto un discorso su se stessi, ma per se stessi. E la crisi del governo Conte-2 non fa eccezione. La Confindustria vuole l’uscita del premier, epilogo di un rapporto mai decollato – a partire dal suo presidente, Carlo Bonomi – e non per feeling personale. Conta la sostanza, un problema, per così dire, di sistema. La crisi da Covid è la peggiore dal Dopoguerra, ma il governo giallorosa non ha potuto, o voluto, assecondare fino in fondo la visione miope di Viale dell’Astronomia: le imprese sono l’economia e hanno la precedenza.

Da giorni i papaveri confindustriali hanno alzato il tiro. Ieri è toccato al presidente degli industriali lombardi, Marco Bonometti, grande sponsor di Bonomi e noto per i modi ruvidi mostrati durante la prima ondata quando si è battuto contro la zona rossa a Bergamo. “Conte – ha detto a La Stampa – si cerchi una nuova occupazione”. L’industriale bergamasco ha sciorinato il repertorio classico: il solito “fare presto” a spendere i fondi del Recovery; l’invocazione del “governo dei competenti”, che poi sarebbe Mario Draghi (“farebbe la differenza”); l’elogio di Matteo Renzi (“ha posto il tema del Recovery, andava ascoltato prima”); e la classica richiesta di finirla con il blocco dei licenziamenti, con invito a Salvini a dare una mano.

Bonometti non è un “professionista” confindustriale, ma riporta la linea dell’associazione espressa qualche giorno fa al Consiglio generale dove, pare, le critiche a Conte e al governo sono state unanimi.

Confindustria vuole contare nella gestione dei 209 miliardi del Recovery fund. L’idea incarnata da Bonomi, ma patrimonio da sempre dell’associazione, è che sono le imprese a creare prosperità e quindi sono le imprese a dover beneficiare dei fondi. Nei giorni scorsi, Bonomi ha auspicato che il Parlamento riscriva il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) del governo perché privo di “una visione complessiva di politica industriale”. In audizione alle Camere, la dg Francesca Mariotti lo ha stroncato. L’unico elogio è arrivato per i fondi del pacchetto “transizione 4.0”, i sussidi alle imprese (un capitolo da quasi 30 miliardi).

Confindustria lamenta l’assenza di un meccanismo di governance dei fondi, anche se quello previsto dal governo, accentrato a Palazzo Chigi, è stato accantonato per lo scontro con Renzi. Bonomi e compagnia vogliono che le parti sociali (cioè Confindustria) vengano “coinvolte lungo tutto il processo di esecuzione dei progetti”: un supporto “strutturale, non episodico”. Poi c’è il tema dei fondi. I sussidi per l’efficienza energetica sono troppo “focalizzati sul settore residenziale e terziario” e vanno dirottati sulle imprese. “Grave” è considerata “l’assenza dell’idrogeno blu”, cioè quello prodotto da gas naturale, quindi non a impatto zero, ma caro ai grandi gruppi (in testa l’Eni, che ha visto svanire i suoi progetti dall’ultima bozza del Pnrr). E ancora: Confindustria si duole per l’assenza di “misure per la patrimonializzazione delle imprese e il loro accesso ai mercati finanziari”. Sul fronte lavoro la richiesta è di puntare sulle mitiche politiche attive “aprendo al coinvolgimento delle Agenzie private”.

Dall’inizio della pandemia l’associazione ha attaccato il governo per gli aiuti emergenziali, considerati a pioggia e non mirati alle aziende. È il “Sussidistan” denunciato da Bonomi, nonostante metà dei fondi (quasi 50 miliardi) siano andati alle imprese. Stesso discorso sul blocco dei licenziamenti. La mega recessione non aveva alternative, ma Confindustria non lo ritiene un suo problema.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/31/scende-in-campo-pure-confindustria-vuole-conte-fuori/6084663/


Eccoli i padroncini di Renzuccio, che vogliono tutti i soldini del Recovery per loro ed i loro affari.

giovedì 10 dicembre 2020

Sottovuoto spinto. - Marco Travaglio

 

È passato un altro giorno e l’Innominabile e i suoi cari non sono ancora riusciti a spiegare ai cittadini cosa contestano davvero al governo, al punto di minacciarne la crisi. L’altra sera, mascherine abbassate e fidanzato a parte, è bastato che la Gruber chiedesse lumi alla Boschi per squadernare coram populo il sottovuotospinto dell’ex ministra e del suo non-partito col suo non-programma, i suoi non-ideali e il suo esercito di non-elettori. Ormai l’hanno capito tutti che gli italomorenti non minacciano il governo per “difendere la democrazia, il governo e il Parlamento” dalla cabina di regìa voluta da Conte per monitorare le opere pubbliche del Recovery Plan, renderne conto all’Ue ed evitare i soliti sprechi, ritardi, truffe e intoppi all’italiana. Non certo per deliberarle (lo fanno governo e Parlamento) o per attuarle (lo fanno ministeri, regioni, province e comuni). Il motivo è un altro, ma se non lo dicono dev’essere perché non possono. Altrimenti gli scapperebbe dal ridere quando fanno i partigiani della democrazia violentata dal tiranno Giuseppi. Quando purtroppo contava – leggere Giacomo Salvini a pag. 4 per credere – l’Innominabile fece esattamente ciò che rimprovera falsamente a Conte: riempì Palazzo Chigi di “strutture di missione” (ben 7, ridotte da Conte a 3) e l’Italia di commissari ad (suam) personam: Sala a Expo, Piacentini al Digitale, Nastasi a Bagnoli, Gutgeld e Perotti alla spending review, Gabrielli al Giubileo.

Quanto al suo rispetto per il governo e il Parlamento: teneva Consigli dei ministri di 2-3 minuti; imponeva trucchetti da magliari tipo “tagliole”, “canguri” e “supercanguri” per silenziare le opposizioni e cancellarne gli emendamenti; minacciava i dissidenti del Pd di “usare il lanciafiamme” e di non ricandidarli e, quando si mettevano di traverso nelle commissioni, li sostituiva con dei camerieri per far passare la controriforma costituzionale, cioè il piedistallo e il monumento equestre al suo ego; insultava chi lo criticava, inclusi i migliori costituzionalisti, come “soloni”, “professoroni”, “gufi” e “rosiconi”, lasciandoli poi finire da orde di manganellatori da social. Varò 54 decreti in 32 mesi senza emergenze paragonabili al Covid. Impose una legge elettorale incostituzionale (l’Italicum) a colpi di maggioranza (che poi era una minoranza drogata dal premio illegittimo del Porcellum) e financo a botte di fiducia. Poi nel maggio scorso, quando per fortuna non contava più nulla, presentò un “Piano choc per le opere pubbliche” da 180 miliardi con “100 commissari” dai pieni poteri – progettazione, attuazione e controllo – in barba alle leggi, al governo e al Parlamento. Ma ormai gli si perdona tutto, perché ci fa tanto divertire.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/10/sottovuoto-spinto/6031940/

venerdì 23 ottobre 2020

Csm, convertiti e astenuti: così hanno messo fuori Davigo. - Antonella Mascali (20 ottobre 2020)

 

13 voti a favore, 6 contrari e 5 non si pronunciano.

Nel giro di poche ore, Piercamillo Davigo è magistrato in pensione perché oggi compie 70 anni, ed ex consigliere del Csm proprio perché collocato a riposo. Ieri, a determinare la fuoriuscita dal Consiglio, come anticipato dal Fatto, il Comitato di presidenza costituito dal vicepresidente David Ermini, dal presidente della Cassazione Piero Curzio, e dal procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi. Ergo, il Quirinale.

Sono scesi in campo per dire che la via dell’uscita è tracciata dalla Costituzione. Una posizione che ha portato all’astensione anche chi aveva annunciato in punto di diritto il voto pro Davigo: Giuseppe Cascini, di Area (progressisti), seguito dai colleghi di gruppo Giovanni Zaccaro e Mario Suriano, non Alessandra dal Moro ed Elisabetta Chinaglia rimaste per il no alla decadenza; Filippo Donati, laico M5S, è passato dall’astensione al sì alla decadenza. Astenuti, ma della prima ora, anche i laici Carlo Benedetti, M5S, e Stefano Cavanna, Lega. Chi cambia voto all’ultimo precisa che lo fa “per rispetto istituzionale” verso il Comitato, come se mancasse a chi vota in modo diverso. Tanto che Fulvio Gigliotti, laico M5S, tra i 6 consiglieri pro Davigo, dichiara: “Non per mancanza di senso istituzionale, ma per radicamento del mio convincimento giuridico, confermo” il no alla decadenza. Sebastiano Ardita, di AeI annuncia il suo voto contro come i colleghi Ilaria Pepe e Giuseppe Marra ed esprime sconcerto, senza nominarlo, per il cambio di rotta di Cascini. C’è, però, una stessa premessa in tutti gli interventi, a partire da quello della presidente della Commissione verifica titoli Loredana Micciché, che ha proposto la decadenza: “Stima” per Davigo, “nessuna logica correntizia” dietro al voto. Nino Di Matteo è per la decadenza “con grande difficoltà umana, ma in piena coscienza”. Chi, in minoranza, avrebbe voluto la permanenza, invece, ha sostenuto che né la Costituzione né la legge ordinaria prevedono la decadenza da consigliere di un magistrato in pensione e che, quindi, può intervenire solo il legislatore. Ma “se la condizione di magistrato viene meno – ha sostenuto il presidente Curzio, in condivisione con il Pg Salvi – viene meno il rapporto tra laici (8, ndr) e togati (16, ndr)” che la Costituzione prevede per i Csm”. David Ermini a sorpresa parla di “un’amicizia con Davigo irrinunciabile. La Costituzione, però, ci impone di rinunciare all’apporto che Davigo, magistrato eccezionale, potrebbe ancora dare”. E conclude: “Sono convinto che proprio in nome dell’amicizia, stima e affetto che ci lega, saprà comprendere”. Alla fine 13 voti per la decadenza, 6 contrari e 5 astenuti.

Al posto di Davigo, il più votato, subentra Carmelo Celentano, primo dei non eletti in Cassazione con la centrista Unicost, che per colpa dello scandalo Palamara ha perso 3 togati su 5. Ora ne recupera uno, ma in teoria: Celentano a gennaio si è dimesso da Unicost. E, comunque, la partita non è affatto chiusa. Davigo, ci risulta, presenterà ricorso al Tar, convinto che la Costituzione, invece, gli consenta di restare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/20/csm-convertiti-e-astenuti-cosi-hanno-messo-fuori-davigo/5972509/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-20