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martedì 24 novembre 2020

Vaccini Covid: 1 regione su 2 è ancora senza piano. - Natascia Ronchetti

 

Dopo i due vaccini anti-Covid messi a punto negli Stati Uniti dalla partnership Pfizer-Biontech e da Moderna, nella corsa agli annunci (e a chi ce la farà prima), arrivano anche i risultati preliminari dei testi clinici condotti in Regno Unito e Brasile arrivati in fase 3 del vaccino europeo, quello sviluppato da Irbm – il gruppo di Pomezia specializzato nella ricerca farmaceutica – insieme all’Università di Oxford e alla multinazionale britannica AstraZeneca.

Il nuovo vaccino, per il quale la commissione dell’Unione europea ha pattuito con la big pharma inglese l’acquisto di 300 milioni di dosi per tutti i Paesi Ue (con una opzione per altri 100 milioni), ha una efficacia media intorno al 70%, che però può arrivare al 90: dipende dal dosaggio. La sperimentazione ha dimostrato che la somministrazione di due dosi genera una protezione del 62% ma quella di una mezza dose, seguita da una intera, la porta al 90. Certo, si tratta di una soglia inferiore a quella può essere raggiunta dai vaccini targati Pfizer-Biontech e Moderna (rispettivamente 95 e 94,5% di efficacia). Ma quello di AstraZeneca offre altri vantaggi, come il fatto di poter essere conservato e trasportato a una temperatura che oscilla tra i 2 e gli otto gradi, a differenza del preparato di Pfizer che richiede una refrigerazione di 70-80 gradi sotto zero. Inoltre il prezzo sarebbe decisamente più conveniente. Il vaccino AstraZeneca costa 2,80 euro, richiamo compreso, contro i 16-20 euro a dose degli altri due vaccini americani, per i quali in questi giorni sarà depositata la richiesta di autorizzazione di emergenza alla Food and Drug Administration, l’agenzia del farmaco Usa.

Fin qui tutto bene. I problemi, però, arrivano quando si va a verificare la rapidità della risposta dei sistemi regionali alla predisposizione di un piano nazionale di stoccaggio e somministrazione dei vaccini alla popolazione, a partire dagli operatori sanitari e dagli ospiti delle residenze per anziani, i più esposti al contagio.

Entro venerdì scorso tutte le Regioni avrebbero dovuto inviare a Domenico Arcuri, il commissario straordinario per l’emergenza pandemica, un piano dettagliato, con l’individuazione dei luoghi più idonei per stoccaggio e somministrazione. Una richiesta fatta il 17 novembre. E alla quale, alla scadenza, hanno risposto solo dieci Regioni: una su due. Non ce l’hanno fatta, a rispettare il termine del 20 novembre, né al Nord né al Sud. Dal Veneto al Friuli-Venezia Giulia, per arrivare alla Campania. Nonostante le ripetute sollecitazioni di Arcuri – e la concessione di uno slittamento della scadenza – ieri alle 16 mancavano all’appello ancora sette regioni. Questo a poche ore dal termine ultimo della proroga, fissato proprio a ieri: le 24. In vista della probabile disponibilità dei vaccini a partire dai primi mesi del prossimo anno, Arcuri ha chiesto alle Regioni, per “definire il piano di fattibilità in questa prima fase di somministrazione”, di individuare “in ogni provincia le idonee strutture”, capaci di rispettare alcuni vincoli. Vincoli che riguardano la conservazione e la somministrazione del vaccino Pfizer, “il cui iter di validazione sembra essere, ad oggi, il più avanzato” e di cui l’Italia già da gennaio potrebbe disporre di 3,4 milioni di dosi per vaccinare 1,7 milioni di persone. Vale a dire, celle frigorifere a meno 75 gradi per la conservazione di sei mesi; nelle apposite borse del fornitore per 15 giorni.

Il ritardo si somma ad altri ritardi, soprattutto se confrontato con altri Paesi europei. La Germania già i primi di novembre aveva previsto l’attivazione di 60 centri per la vaccinazione, dando mandato agli Stati federali di individuarli e comunicarli entro il 10 dello stesso mese al ministero della Salute. In Italia tutto si inserisce nel quadro di un sistema nazionale dei trasporti e della logistica molto fragile. “Le imprese del settore non sono preparate per affrontare lo stoccaggio e il trasporto dei vaccini – spiega Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio liberalizzazioni trasporti e infrastrutture –. Non lo erano nemmeno per quelli antinfluenzali. Sono arretrate, poco digitalizzate, come del resto conferma la gestione della logistica dei prodotti farmaceutici affidata a operatori stranieri”.

L’aeroporto di Bruxelles ha già messo le mani su una fetta sostanziosa del mercato del trasporto dei vaccini anti-Covid: sulla piattaforma a temperatura controllata è stato già sperimentato il trasporto di carichi aerei altamente termosensibili nei 30mila metri quadrati del Bruxelles Pharma Center. Con la simulazione di due spedizioni, una con temperatura di -70 gradi, è riuscito a mantenere le condizioni prescritte, grazie anche all’uso di ghiaccio secco sia all’interno del magazzino, sia durante il carico sui veicoli industriali. A Malpensa l’Italia può contare sull’area PharmaZone, che però si estende su una superficie di soli 600 metri quadrati ed è divisa in diverse aree a temperatura controllata, da -25 gradi a +8, con strutture inadeguate. “Il che equivale a dire – osserva Balotta –, che siamo nudi alla meta”.

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