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sabato 24 settembre 2022

POLITICHE 2022/ROSATELLUM INCOSTITUZIONALE. SI PUÒ DIRE ANCHE AL SEGGIO. - ANDREA FABOZZI

 

Legge elettorale. C’è un modulo pronto che si può scaricare e stampare. Gli elettori possono presentare un reclamo contro il sistema di voto che non lascia liberi di scegliere. Presidente e segretario devono raccogliere le loro proteste che arriveranno alle giunte parlamentari. E, spera l’avvocato Besostri, alla Corte Costituzionale.

Non vi piace la legge elettorale? Pensate che il Rosatellum sia persino incostituzionale? Adesso siete in discreta compagnia, visto che più di un partito – anche tra quelli che questa legge hanno voluto, votato e imposto con la fiducia – ultimamente la trova pessima. Ma forse non sapete che c’è la possibilità di reclamare formalmente contro il Rosatellum, nel momento in cui si va al seggio a votare. Come fare lo spiega – naturalmente – Felice Besostri, avvocato già due volte vittorioso davanti ai giudici delle leggi contro i sistemi elettorali incostituzionali, Porcellum e Italicum.

È pronto infatti un modello di reclamo con diversi argomenti prestampati per cui l’elettore può segnalare la sua protesta contro il Rosatellum: le liste bloccate che non consentono la scelta, il divieto di voto disgiunto, il fatto che alcune liste siano state discriminate avendo dovuto raccogliere le firme. C’è anche uno spazio bianco per aggiungere altri motivi, volendo. Quando si va a votare – in teoria anche quando si va al seggio ma non si vuole votare segnalando la propria astensione (è un po’ più difficile) – l’elettore può consegnare al presidente il modulo riempito con i propri dati e firmato. Il presidente o il segretario saranno indubbiamente un po’ sorpresi ma devono accoglierlo per una precisa disposizione di legge. L’articolo 74 del testo unico delle leggi per l’elezione della camera dei deputati dice infatti che «nel verbale deve farsi menzione di tutti i reclami presentati, delle proteste fatte, dei voti contestati». Questi reclami arriveranno alle giunte parlamentari per le elezioni, dice infatti ancora la stessa legge all’articolo 87 che la camera «pronuncia giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali». Quello che è previsto per la camera vale anche per il senato e il tentativo è quello di convincere le giunte a non convalidare l’elezione di uno o più candidati e sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale.

C’è anche un precedente, del 2009. Allora furono alcuni elettori di Roma a presentare un reclamo simile contro il Porcellum e i reclami arrivarono alla giunta della camera, che però decise di respingerli perché non riguardavano voti espressi (gli elettori avevano restituito le schede senza deporle nelle urne) e decise di non sollevare i quesiti di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale. Il Porcellum arrivò ugualmente, com’è noto, davanti ai giudici della Consulta, ma quattro anni dopo e fu bocciato. Ci arrivò passando dal tribunale ordinario e poi dalla Cassazione.

Dopo le elezioni Besostri tenterà anche questa vecchia strada, con nuovi ricorsi contro questa legge elettorale che è diventata all’improvviso impopolare. Anzi, ci ha già tentato assieme ad altri avvocati in almeno sei tribunali, finora invano. Ma intanto spera nell’aiuto di qualche elettore nei seggi, i moduli si trovano qui.

http://www.libertaegiustizia.it/2022/09/21/politiche-2022rosatellum-incostituzionale-si-puo-dire-anche-al-seggio/

lunedì 1 novembre 2021

Nino Di Matteo: “La legge Cartabia vìola la Costituzione. È buio per noi toghe”. - Marco Lillo

 

Consigliere Antonino Di Matteo il titolo del suo nuovo libro è ‘I nemici della giustizia’. Chi sono?

Sono tanti. Non solo mafiosi corrotti e criminali. Si annidano nelle pieghe delle istituzioni e della politica e anche della magistratura. Non possiamo far finta che questo momento non sia uno dei più bui della storia della magistratura. I mali diffusi come metastasi nel corpo della giustizia sono il correntismo, la corsa sfrenata alla carriera, la gerarchizzazione degli uffici di procura e il collateralismo con la politica.

Perché ha scritto con Saverio Lodato questo libro in questo momento così poco felice della magistratura?

Non possiamo far finta di stupirci. Dobbiamo indignarci e non nascondere la verità. Sono tanti quelli che vogliono approfittare di questo momento difficile per regolare i conti con i magistrati che hanno saputo esercitare il controllo di legalità anche sul potere finanziario e politico. C’è una logica di rappresaglia ma anche di prevenzione per il futuro. Vogliono vendicarsi ed evitare che la magistratura possa essere troppo incisiva. Ecco perché ho ritenuto di far sentire la mia voce. Non mi piace questo andazzo. La magistratura sembra rassegnata a subire l’attacco frontale di chi vuole trasformare le procure in organi collaterali e serventi rispetto al potere esecutivo.

C’è un intero capitolo nel libro dedicato alla riforma Cartabia. Quali sono i rischi maggiori?

La ritengo una delle peggiori riforme degli ultimi 30 anni. L’Europa chiedeva di accelerare i processi ma se fosse stata in vigore la riforma Cartabia, processi importanti come quello per il crack Parmalat, la strage di Viareggio o per le violenze nella scuola Diaz di Genova nel 2001, si sarebbero conclusi nel nulla. Questa normativa presenta per me aspetti di evidente incostituzionalità. Va nella stessa direzione del processo breve voluto dal premier Berlusconi e dal ministro Alfano nel 2009. Allora però ci fu una forte reazione. Gli organismi rappresentativi della magistratura, i movimenti e partiti che allora insorsero oggi sono silenti o addirittura favorevoli alla riforma Cartabia.

Poi c’è il tema dei criteri di priorità stabiliti dal legislatore. Quali sono i pericoli?

Questo punto mi preoccupa ancor più dell’improcedibilità. Le maggioranze parlamentari del momento dovranno individuare le priorità dell’azione penale. La maggioranza di turno potrà ad esempio in futuro stabilire che bisogna perseguire prima la criminalità da strada e poi, solo se resta tempo, i reati di corruzione o tipici dell’abuso di autorità. Così si mina l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia e indipendenza della magistratura. Non è solo un problema della casta della magistratura. Intravedo un grave pericolo per i cittadini e le minoranze che si oppongono alla maggioranza di turno.

Nel libro dedica un capitolo intero ai referendum sulla giustizia. Ci spiega perché è contrario?

Premetto che la Costituzione prevede lo strumento referendario anche per cambiare le norme della giustizia. Nulla da dire quindi sul metodo. Nel merito invece sono contrario a cinque dei sei quesiti. Il sesto, quello sulle firme necessarie per presentare le candidature al CSM, per me è inutile perché non serve a evitare lo strapotere delle correnti.

Lei è contrario soprattutto alla separazione delle carriere. Perché?

Il primo piano in tal senso era quello di Rinascita Democratica di gelliana memoria. Poi è diventata una bandiera di Forza Italia e del centrodestra nella seconda repubblica. L’appiattimento dei giudici sui pm è un falso storico. Basta vedere le statistiche: i giudici disattendono spesso le richieste dei pm. Inoltre sul passaggio da una funzione all’altra i paletti sono già alti. Negli ultimi 15 anni poco più del 2 per cento dei pm è diventato poi giudice e meno dello 0,5 dei giudici ha compiuto il passaggio inverso. La separazione delle carriere porterebbe, se non immediatamente in maniera inevitabile, alla sottoposizione del pm all’esecutivo e comunque consacrerebbe una figura del pm estranea alla cultura della giurisdizione.

Perché non sarebbe giusta la riforma della responsabilità civile?

Si dice che i magistrati che sbagliano devono pagare. Messaggio suggestivo ma che si basa su presupposti sbagliati. Esiste già la responsabilità penale con decine di magistrati sotto processo. Poi c’è la responsabilità disciplinare che viene fatta valere più frequentemente per noi magistrati che per altre categorie. Anche la responsabilità civile già c’è. Anche se solo per dolo e colpa grave. La normativa attuale prevede l’azione del cittadino che si ritiene leso contro il Governo per chiedere i danni. In caso di accertamento del dolo o della colpa grave, è il Governo a potersi rivalere sul magistrato. Con il sì al referendum si consentirebbe al cittadino l’azione diretta contro il magistrato. Vedo alcuni rischi: innanzitutto si determinerebbe un’incompatibilità in capo al magistrato chiamato in causa. Inoltre i magistrati che devono giudicare una controversia, civile o penale potrebbero essere indotti a favorire la parte più forte, che ha i mezzi per rivalersi sul magistrato. Tra una multinazionale e un lavoratore il giudice sarà sereno nel giudizio?

Nel libro c’è un riferimento alla sentenza Trattativa. L’appello ha ribaltato il primo grado assolvendo Marcello Dell’Utri e i Carabinieri. Cosa ha pensato?

Bisognerà attendere le motivazioni. Però alcune cose si possono già dire. Intanto non siamo stati solo noi pm a valutare certe condotte. Il giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto giuridicamente corretta l’impostazione accusatoria. E poi la Corte di Assise – dopo 5 anni di processo e centinaia di udienze – ha scritto 5.500 pagine per motivare la condanna. Non voglio scendere nel merito delle responsabilità penali degli imputati. Però una cosa voglio dirla: sono a posto con la coscienza e sono orgoglioso di aver contribuito con i miei colleghi, pm e giudici, a far emergere fatti oggi incontestabili che solo la nostra tenacia ha fatto riemergere da archivi nascosti e polverosi. L’opinione pubblica aveva il diritto e forse anche il dovere di sapere che nel periodo delle stragi Cosa Nostra ha agito nell’ottica di un dialogo a suon di bombe con lo Stato. Nessuna sentenza potrà mai cancellare i fatti storici emersi in quel processo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/01/nino-di-matteo-la-legge-cartabia-viola-la-costituzione-e-buio-per-noi-toghe/6375387/

giovedì 5 dicembre 2019

Prescrizione, La Repubblica degli impuniti: da Andreotti a Berlusconi al caso Eternit. Ecco l’antologia di chi l’ha fatta franca.


Prescrizione, La Repubblica degli impuniti: da Andreotti a Berlusconi al caso Eternit. Ecco l’antologia di chi l’ha fatta franca

Pubblichiamo una sintesi del libro La Repubblica degli impuniti, edito da PaperFirst, a firma del direttore del Fattoquotidiano.it, Peter Gomez, e delle giornaliste Valeria Pacelli e Giovanna Trinchella. Da oggi in edicola e in libreria.
L’elenco di chi, negli ultimi venticinque anni, l’ha fatta franca grazie alla prescrizione è lungo, impossibile da riassumere e impressionante. E racconta, più di un trattato, perché in tanti si oppongono alla riforma. Ci sono, ad esempio, oltre Andreottiil proprietario di Mediaset ed ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (per reati che vanno dal finanziamento illecito al falso in bilancio fino alla corruzione); l’ex editore de La Repubblica Carlo De Benedetti (corruzione nelle forniture pubbliche); l’industriale Giampiero Pesenti, presidente negli anni Novanta del patto di sindacato del Rizzoli-Corriere della Sera (corruzione); due uomini chiave per la Fiat, come Franzo Grande Stevens e Gian Luigi Gabetti (agiotaggio Ifil-Exor); l’ex numero uno di Eni e Enel, Paolo Scaroni (disastro ambientale); il multimilionario svizzero Stephan Schmidheiny (morti Eternit a causa dell’amianto); il potente finanziere Fabrizio Palenzona (conti esteri non dichiarati); l’ex padrone del calcio italiano Luciano Moggi (associazione per delinquere); il presidente della Lazio e imprenditore nel settore vigilanza e pulizie Claudio Lotito (associazione per delinquere e fatture false più un processo per frode sportiva); quasi tutti i più importanti costruttori romani accusati di aver pagato tangenti per vendere immobili agli enti pubblici: dall’editore de Il Messaggero Francesco Gaetano Caltagirone a quello del Il Tempo Domenico Bonifaci, da Pietro Mezzaroma, fino a Renato Bocchi e Elia Federici.
Rappresentano il meglio (ma per alcuni il peggio) delle élite del Paese. A volte controllano giornali, televisioni, siti internet. A volte li foraggiano con le loro campagne pubblicitarie. Sempre, o quasi, frequentano o hanno rapporti di amicizia con opinion leader e i politici che fanno le leggi. I loro legali vengono eletti in Parlamento, dove per decenni quella dell’avvocatura è stata la categoria professionale più rappresentata, e dove di salvati dalla prescrizione ce ne sono sempre stati a bizzeffe.
Decine e decine di parlamentari ed ex parlamentari come Umberto Bossi (truffa aggravata sui rimborsi elettorali)Denis Verdini (corruzione), Alberto Tedesco (associazione a delinquere), Alfonso Papa (P4), Antonio D’Alì (concorso esterno in associazione mafiosa), Roberto Calderoli (resistenza a pubblico ufficiale). Una lista infinita che se si guarda alla politica viene allungata dai nomi di sindaci, consiglieri regionali, governatori, attivisti e persino da quello di Beppe Grillo (violazione dei sigilli durante una manifestazione No Tav) il cui Movimento però si è battuto e ha approvato una legge, ora osteggiata da quasi tutti i partiti, per abolire il colpo di spugna deciso in base al calendario.
La prescrizione è insomma stata per anni la palla in corner delle classi dirigenti. Se proprio le cose andavano male, se addirittura avevi ammesso nel corso delle indagini preliminari il tuo reato, o le prove erano evidenti, grazie al codice, ai buoni avvocati e ai tribunali ingolfati dai processi potevi sempre sperare di farcela. Perché l’inesorabile scorrere del tempo giocava per te. Era tutto dichiarato, sfrontato, alla luce del sole.
Come avrebbero scoperto, loro malgrado, i cittadini nel 2005, quando il governo Berlusconi vara una riforma destinata a mettere in ginocchio la già malandata Giustizia per anni. Una riforma che di fatto dimezza i tempi di prescrizione, ma solo per gli incensurati. Condizione in cui di solito si trovano i colletti bianchi che finiscono alla sbarra. In quel 2005 il problema maggiore per Berlusconi è rappresentato dai processi per corruzione giudiziaria (il caso “Toghe sporche”) per i quali è stato condannato in primo grado il deputato Cesare Previti, storico avvocato civilista dell’allora Cavaliere. Le condanne di Previti rischiano di essere confermate in Appello e, se lo fossero pure in Cassazione, gli spalancherebbero le porte del carcere. Ecco dunque approdare alla Camera la legge Cirielli – che prende nome dal deputato di Alleanza Nazionale Edmondo Cirielli –, nata per inasprire le pene per i condannati recidivi. Una legge ispirata alla «tolleranza zero» contro la criminalità. Ma una manina furtiva decide di agganciarvi un codicillo che di fatto dimezza i termini di prescrizione per chi non ha altre condanne definitive: per la corruzione, ad esempio, la scadenza massima scenderebbe da quindici a sette anni e mezzo, anche senza le attenuanti generiche.
In pratica, se la legge passa, tutti i reati di cui sono accusati Previti, e in altri processi, lo stesso Berlusconi rischiano di essere già prescritti da tempo. Gli esperti però prevedono una falcidia di migliaia di dibattimenti per reati contro la pubblica amministrazione e anche per delitti “comuni”. Cirielli ritira la sua firma dal ddl che, spiega, è stato completamente snaturato: “Per aiutare Previti salvano i veri delinquenti” (come se chi corrompe i giudici non fosse un vero delinquente). E annuncia voto contrario. Il nuovo relatore della “ex Cirielli” sarà il forzista Luigi Vitali, un avvocato pugliese eletto a Francavilla Fontana che, per premio, diventerà presto sottosegretario alla Giustizia. Intervistato da “La Repubblica”, dopo aver ammesso di evadere le tasse (“Guadagno 220 mila euro dichiarati. Extra in nero? Condonati”), Vitali parla della legge salva-Previti che tutti, a cominciare da Previti, negano esser fatta apposta per Previti: “Non nego che la legge in qualche modo possa servire a Previti”. E rivela che l’amico Cesare se n’è interessato personalmente: “Una volta Previti mi ha chiesto: ‘Hai messo mano a questa cosa?'”. Anche Berlusconi l’ha chiamato: “Si è voluto informare sulla qualità di questa legge: ‘Molti giornali scrivono che è una porcheria’ mi ha detto ‘tu che ne dici?’ Io gli ho risposto: ‘Guarda, Presidente, è molto meno porca di quel che si dica’”. Rassicurato da quel “molto meno porca”, il premier l’ha incoraggiato: “Vai avanti”.
La Repubblica degli impuniti (Paper First), dal 5 dicembre in edicola e in libreria. Clicca qui per acquistarlo subito online.
Leggi anche:
Se la legge è uguale per tutti perché mantenere la prescrizione utilizzabile solo da chi ha tanti soldi per pagare gli avvocati?
E' anticostituzionale, oltre che illegale!! C.

giovedì 8 novembre 2018

La Corte Costituzionale affonda il Jobs act.

Altra picconata al Jobs act

Il criterio di determinazione dell'indennità che spetta al lavoratore ingiustamente licenziato - e legato esclusivamente all’anzianità di servizio - è incostituzionale.

Altra picconata al Jobs act. Stavolta non dalla politica bensì dalla Corte Costituzionale. Secondo quanto stabilito dalla sentenza della Consulta n. 194, depositata oggi, il criterio di determinazione dell’indennità che spetta al lavoratore ingiustamente licenziato – e legato esclusivamente all’anzianità di servizio – è incostituzionale. Spetta al giudice, invece, determinare l’indennità risarcitoria che dovrà perciò tenere conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti”.

In dispositivo dichiara dunque incostituzionale sia quanto previsto dal Jobs act nel 2015 sui contratti a tutele crescenti, sia quanto modificato dal Dl Dignità nel 2018 che ha innalzato la misura minima e massima dell’indennità. Il meccanismo di quantificazione del risarcimento pari a un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” spiega ancora la sentenza della Consulta, rende l’indennità “rigida” e “uniforme” per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato.

Pertanto, il giudice, si legge ancora, “nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (4, ora 6 mensilità) e massimo (24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità, dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio, criterio che ispira il disegno riformatore del 2015, ma anche degli altri criteri ”desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.

La disposizione censurata, prosegue la Corte Costituzionale, contrasta anzitutto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse: finisce, conclude la Corte, “col prevedere una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, venendo meno all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, anch’essa imposta dal principio di eguaglianza”.

Fonte: quifinanza del 8 novembre 2018

martedì 3 dicembre 2013

Sequestriamo i beni dei partiti! #SequestryPD




I partiti hanno truffato gli italiani. Gli hanno estorto 2,3 miliardi di euro di finanziamenti pubblici nonostante il voto contrario di un referendum. 
Dopo anni di silenzio omertoso delle istituzioni, il procuratore del Lazio Raffaele De Dominicis ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale dei cosiddetti rimborsi elettorali che "sono da ritenersi apertamente elusive e manipolative del risultato referendario e quindi materialmente ripristinatorie di norme abrogate". I partiti sono indifferenti alla volontà popolare, cambiano il significato delle parole per ingannare i cittadini. 
Sempre la Corte dei Conti: "tutte le disposizioni impugnate dal 1997... hanno ripristinato i privilegi abrogati con il referendum del 1993 facendo ricorso a artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo, gli sgravi fiscali al posto del contributo". In attesa del responso della Corte Costituzionale che ha la velocità di un gasteropodo quando si tratta dei privilegi dei partiti, come è avvenuto per il Lodo Alfano e per la legge elettorale Porcellum, si dovrebbe avviare un'azione di sequestro preventivo dei patrimoni immobiliari dei partiti e una sospensione degli stipendi ai loro dipendenti. 
Il pdmenoelle è il partito del "chiagni e fotti", ha come alfieri Renzi, che è contro il finanziamento pubblico, ma i soldi dei "rimborsi" li ha sempre utilizzati (va ricordato che il tesoriere della Margherita era Lusi, finito in carcere) e Capitan Findus Letta, il ballista d'acciaio, che voleva abolire il finanziamento e poi ha incassato una rata di 91 milioni di euro insieme agli altri partiti a luglio. Il pdmenoelle spende per sedi e stipendi dei suoi impiegati venti milioni all'anno, l'autofinanziamento è di soli otto milioni. Senza i soldi estorti ai contribuenti Bersani e D'alema dovrebbero lavorare da casa, ai domiciliari con i figli che gli accendono il computer e inviano le email. 
Il pdmenoelle (quota ex Ds, ex Pds, ex Pci) dispone di 2.399 immobili che hanno un valore di circa mezzo miliardo di euro affidati a 57 fondazioni che, beffa nella beffa, a cui si può versare il 5 per mille in quanto enti di volontariato. Sequestriamoli in attesa delle decisioni della Corte che non potrà che essere la restituzione del maltolto allo Stato
Ne dubitate? 
Anche un bambino capirebbe che aggirare un referendum è incostituzionale. La domanda è però se la Corte Costituzionale è costituzionale.

http://www.beppegrillo.it/2013/12/sequestriamo_i_beni_dei_partiti_sequestrypd.html