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domenica 14 gennaio 2018

Lactalis, latte in polvere per neonati contaminato da salmonella: coinvolte 83 nazioni, ritirate 12 milioni di confezioni

Lactalis, latte in polvere per neonati contaminato da salmonella: coinvolte 83 nazioni, ritirate 12 milioni di confezioni

La conferma dal Ceo dell'azienda francese, Emmanuel Besnier. 35 casi accertati in Francia, altri in Spagna e Grecia. Non ancora diffuso l'elenco completo dei Paesi dove il prodotto è stato distribuito e venduto.

Si allarga l'allarme per i casi di salmonella dovuti a partite di latte in polvere per bambini prodotti dalla Lactalis: le nazioni coinvolte sarebbero almeno 83 e sono state ritirate 12 milioni di confezioni del prodotto.

A confermare la notizia è lo stesso Ceo di Lactalis, Emmanuel Besnier, in un'intervista al settimanale "Le Journal du Dimanche". "Dobbiamo misurare la portata di questo operazione", ha spiegato, rivelando appunto che ci sono 83 nazioni coinvolte, per un numero di confezioni che supera i 12 milioni di scatole. Il Ceo di Lactalis ha assicurato che quel latte in polvere non sarà più distribuito e che tutte le confezioni in circolazione sono in corso di ritiro dai punti vendita.

Uscendo dal suo silenzio, Emmanuel Besnier, che in precedenza non si era espresso a proposito della vicenda che aveva minato la sua compagnia, ha anche promesso di risarcire "tutte le famiglie che hanno subito danni". Ha assicurato che aveva in mente prima di tutto le conseguenze di questa crisi sanitaria per i consumatori, "bambini sotto i sei mesi", ha detto: "Questo è per noi, per me, motivo di grande preoccupazione".

Dopo l'incontro di venerdì tra Besnier e il ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire, il gruppo Lactalis ha ordinato il ritiro di tutte le partite di latte per l'infanzia prodotte nel suo stabilimento di Craon (Francia occidentale). Il capo del gruppo ha affermato di aver proposto al governo che questa misura sia estesa a 83 paesi.

Trentacinque bambini con salmonellosi sono stati diagnosticati in Francia dopo aver consumato latte o alimenti per l'infanzia della Lactalis, secondo le ultime cifre ufficiali del 9 gennaio. In Spagna è stato anche scoperto un caso di salmonellosi accertata riguardante un bambino che ha consumato questo latte contaminato e un altro caso da confermare in Grecia.

Interrogato sulle "centinaia" di denunce presentate dai genitori di neonati in tutta la Francia, e mentre un'indagine preliminare è stata aperta alla fine di dicembre, in particolare per "lesioni involontarie" e "per aver messo in pericolo la vita degli altri", Besnier ha assicurato che non avrebbe nascosto nulla. "Ci sono lamentele, ci sarà un'indagine, collaboreremo con la giustizia dando tutti gli elementi che ci verranno chiesti. Non abbiamo mai pensato di agire diversamente".



sabato 13 gennaio 2018

Cibo ed etichetta d’origine: un regolamento Ue spazza via tutti i decreti italiani. - Federico Formica

Cibo ed etichetta d’origine: un regolamento Ue spazza via tutti i decreti italiani

Entro l’estate verrà varata la norma che farà decadere quelle italiane sull’origine di latte, riso, pasta e pomodoro. Per la trasparenza il rischio è che si tratti di un passo indietro.

Le recenti leggi che hanno introdotto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di pastarisolatte, formaggi e pomodoro saranno presto carta straccia. Nel giro di pochi mesi verranno spazzate via da un regolamento europeo tutt’altro che inatteso: la Commissione avrebbe dovuto vararlo già quattro anni fa, secondo quanto previsto da regolamento 1169/2011, entrato in vigore nel dicembre 2013. I consumatori italiani potrebbero avere molto da perdere. Mentre buona parte delle imprese alimentari del nostro Paese lamenta uno spreco di denaro.

Ora i tempi sembrano maturi: la Commissione ha sottoposto il testo a una consultazione pubblica che si chiuderà il prossimo primo febbraio. Potrebbe entrare in vigore poche settimane più tardi e si applicherà dall’aprile 2019. Tutti i decreti introdotti nel 2017 dall’Italia prevedevano questa circostanza: non appena Bruxelles approverà il testo comunitario, decadranno. Quel giorno sta per arrivare.

Cosa prevede il regolamento Ue. Il tema è l’origine dell’ingrediente primario: sarà obbligatorio indicarla se diversa da quella del prodotto finito. Ad esempio: un pacco di pasta lavorata in Italia dovrà indicare anche l’origine del grano, se questo proviene dal Canada. Stessa cosa per un prosciutto fatto in Italia con cosce suine tedesche. Così per tutti gli altri alimenti. A prima vista sembra cambiare poco rispetto ai decreti voluti dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, ma a ben leggere la bozza uscita da Bruxelles c’è poco da star tranquilli.

L’obbligo, infatti, non varrà per le indicazioni geografiche protette Dop e Igp ma soprattutto non si applicherà ai marchi registrati che, a parole o con segnali grafici, indicano già di per sé la provenienza del prodotto. Una postilla che spalanca le porte a tutte quelle aziende che fanno dell’italian sounding il proprio cavallo di battaglia: basterà avere un marchio registrato con una bandiera tricolore o un richiamo al nostro Paese per essere esentati dall’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente principale, che molto spesso l’Italia non l’ha mai vista. 


Questo problema di trasparenza già esiste negli altri Paesi dell’Unione, dove i consumatori fanno fatica a capire che un prodotto “simil-italiano” è in realtà fabbricato all’estero. Tra pochi mesi, però, l’italian sounding potrebbe ingannare gli stessi italiani perché nel nostro Paese le etichette faranno un passo indietro dal punto di vista della chiarezza dell’origine delle materie prime.

“In questo modo la Commissione europea tradisce non solo lo spirito del regolamento 1169 ma anche i consumatori. A servizio dei grandi gruppi industriali, anche italiani, che hanno interesse a occultare l’origine dell’ingrediente primario” spiega Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare e fondatore del sito Gift.

Restano però le tutele previste dal regolamento 1169. Tutti i marchi che evocano italianità nel nome o nella grafica, ma che italiani non sono, dovranno comunque precisare che il prodotto non è made in Italy. 

Attenzione però: l’origine del prodotto indica il Paese in cui l’alimento ha subito l’ultima trasformazione sostanziale. Non c’entra nulla con l’ingrediente primario. “Se la suggestione di italianità è falsa, poiché il prodotto è realizzato altrove”, spiega ancora Dongo, “la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, dovrebbe in ogni caso riportare la dicitura ‘Made in Germany’. Ma le autorità di controllo negli altri Stati membri dolosamente omettono di sanzionare questi inganni, poiché realizzati da aziende che producono ricchezza nei loro territori”.

Ma, spiega ancora Dongo, “se la suggestione di italianità è limitata al marchio registrato, allora ecco che la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, può omettere di indicare la diversa provenienza della materia prima (ad esempio grano americano)”. Proprio in virtù del regolamento oggi in discussione.

Federalimentare difende però la norma sui marchi registrati, sostenendo che “vietare ad aziende italiane di utilizzare propri brand registrati, in alcuni casi, centinaia di anni fa contenenti i colori della bandiera italiana appare francamente ingiustificato ed inutile”. Il presidente Luigi Scordamaglia sostiene che l’esenzione sarà solo temporanea “ed è dovuta al fatto che esiste una normativa europea sul trademark”, includerli adesso avrebbe comportato un ulteriore allungamento dei tempi per avere un regolamento che “aziende e consumatori chiedono a gran voce da anni”. Insomma, nessun passo indietro secondo la federazione che rappresenta l’industria del cibo: “Per quanto poco, si avrebbe un quadro comune a livello europeo”.

Marcia indietro. Per le aziende alimentari italiane toccate dai decreti d’origine del 2017 si pone anche un problema concreto: nel giro di pochi mesi dovranno, per la seconda volta, cambiare tutte le etichette sulle centinaia di prodotti che escono dagli stabilimenti. “Le aziende più grandi hanno speso fino a 200.000 euro per modificare gli impianti e adeguarli alle nuove regole. E tra poco dovranno stamparne di nuove” dice Massimo Forino, direttore di Assolatte. Le etichette di origine per latte e formaggi hanno fatto la loro comparsa sugli scaffali nell’aprile del 2017. Potrebbero durare poco più di un anno. Riguardo alla clausola sui marchi registrati Forino è cauto: “Aspettiamo di vedere come verrà applicata la norma e se verrà modificata nel frattempo. Bisogna anche dire che al supermercato c’è talmente tanta scelta che il consumatore più esigente avrà sempre la possibilità di scegliere un prodotto 100% italiano”.

Una vita ancora più breve sarà quella dell’etichetta d’origine della pasta, che entrerà in vigore il prossimo 17 febbraio. “Abbiamo sempre detto che sarebbe stata una duplicazione inutile e costosa, tanto che Aidepi ha presentato ricorso al Tar contro il decreto voluto da Martina e Calenda, ma la sentenza non arriverà comunque prima dell’estate, costringendoci a cambiare l’etichetta per due volte in pochi mesi” dice Luigi Cristiano Laurenza, segretario pastai italiani di Aidepi.

Febbraio sarà anche il mese in cui farà il suo debutto l’etichetta d’origine del riso mentre quella del pomodoro potrebbe anche non vedere mai la luce: il decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale.

Una stoccata arriva anche da Federalimentare, che queste associazioni le rappresenta: “L'anomalia è rappresentata dai decreti nazionali e non dal fatto che essi decadranno all'entrata in vigore della proposta. Si dovrebbero garantire norme uguali per tutti, senza avvantaggiare chi non produce nel proprio territorio nazionale, come invece avviene per i decreti nazionali” dice Scordamaglia.


http://www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/diritti-consumatori/2018/01/12/news/cibo_ed_etichetta_d_origine_un_regolamento_ue_spazza_via_tutti_i_decreti_italiani-186230046/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1