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venerdì 26 febbraio 2021

“Sistema 15%”: Calderoli e la norma salva-leghisti. - Stefano Vergine


“Dazione” dei nominati - Nel 2012 i pm di Forlì ravvisano l’elusione fiscale. Ma nel 2014 a sanare tutto arriva l’emendamento-condono.

Erogazioni liberali: si chiamano così i soldi che ogni persona può donare a un partito politico. E infatti questa è la dicitura trovata a fianco alle decine di versamenti di cui abbiamo dato notizia in questi mesi sul cosiddetto “sistema del 15%”, quello attraverso il quale i nominati e gli eletti della Lega hanno finanziato il partito restituendo una parte del proprio stipendio pubblico. Un meccanismo che ha permesso al Carroccio di incassare milioni di euro e ai suoi donatori di pagare meno tasse. Sì, perché le erogazioni liberali si possono detrarre dalle imposte. Peccato che di liberale, nei versamenti leghisti, ci sia ben poco. A sostenerlo adesso non sono più solo le fonti citate nella nostra inchiesta a puntate. Lo dicono anche l’Agenzia delle Entrate, una Procura e due commissioni tributarie. Siamo dunque alla vigilia di un’inchiesta fiscale nei confronti della Lega? No, perché nel frattempo tutto è stato condonato, sanato per legge in modo retroattivo grazie a un emendamento proposto dalla Lega.

Andiamo per gradi. Il Fatto ha ottenuto decine di scritture private tra la Lega e i suoi esponenti, in cui i politici s’impegnano, se vogliono essere candidati, a versare al partito una parte del proprio stipendio in caso di elezione. Punto 4 del contratto: “Il candidato si impegna a versare, per le obbligazioni assunte dalla Lega Nord, la somma di 145.200,00 in rate mensili di 2.420,00 a decorrere dal primo mese successivo all’inizio del mandato”. Punto 5: “Il punto 4 vale da riconoscimento di debito, per cui la presente scrittura privata è dichiarata consensualmente idonea per l’emissione di decreto di ingiunzione anche provvisoriamente esecutivo”. Punto 6: “In caso di mancata elezione nulla è dovuto dal candidato e, sia la Lega Nord sia il candidato, sopporteranno le proprie spese affrontate”. Tra i 66 contratti analizzati ci sono quelli del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e quelli dei deputati Fabrizio Cecchetti e Daniele Belotti. Sono tutti accordi preparati prima delle Regionali del 2005 in Lombardia, ma le stesse scritture private – come vedremo – sono state usate anche nelle elezioni successive, sia locali che nazionali. I documenti dimostrano che i soldi versati in quegli anni dai vari esponenti del Carroccio non erano erogazioni liberali, cioè volontarie, ma conseguenza diretta di un contratto. E qui arriviamo alla parte più interessante.

Nel 2012 la Procura di Forlì, guidata da Sergio Sottani, apre un’inchiesta sull’allora deputato leghista Gianluca Pini con l’ipotesi di millantato credito. Analizzando i suoi conti correnti, i magistrati scoprono che Pini ogni anno faceva importanti donazioni alla Lega e poi detraeva dalle imposte quanto donato. Insospettito dalle cifre, Sottani ordina perquisizioni nei confronti della Lega in via Bellerio e alla Camera. E scopre che così facevano tutti. Vengono trovati i contratti con cui ogni politico leghista, prima di essere eletto, s’impegnava a versare una parte del proprio futuro stipendio al partito. Per i pm di Forlì non è evasione fiscale (penale) ma elusione (illecito amministrativo). Per questo le carte vengono mandate all’Agenzia delle Entrate, che inizia il tentativo di recupero delle somme eluse. Il fatto è dimostrato dalle ordinanze emesse da due commissioni tributarie provinciali. Qui si scopre che sotto il faro dell’Agenzia erano finiti, tra i tanti, Sergio Divina, storico senatore trentino, e il piemontese Roberto Simonetti, oggi direttore amministrativo del Gruppo Lega Salvini Premier alla Camera, all’epoca parlamentare.

Le ordinanze delle commissioni tributarie offrono dettagli ulteriori sul sistema del 15%. Viene fuori che anche per i candidati al Parlamento la cifra da restituire era pari a 145mila euro in cinque anni, proprio come per i consiglieri regionali. E che, grazie alle detrazioni d’imposta, ogni anno gli eletti recuperavano il 19% della somma versata al partito: ossia 27.550 euro di tasse risparmiate ogni 5 anni. Un beneficio illegittimo, secondo le due ordinanze: “Il candidato e il partito Lega Nord stipulavano un accordo in cui si affermava espressamente che il versamento delle somme dal candidato al partito avveniva in correlazione con ‘le obbligazioni assunte dalla Lega Nord’, il che esclude in radice lo spirito di liberalità (inteso come mera e spontanea elargizione fine a se stessa) e la detraibilità ai sensi dell’art.15, comma 1-bis, decreto legislativo n.917/1986”, scrivono i giudici tributari. Nonostante questo parere del 4 dicembre 2014, i parlamentari della Lega alla fine non hanno dovuto risarcire il danno. Come mai? Il motivo è spiegato nelle stesse ordinanze delle commissioni tributarie. Il 21 febbraio 2014, prima dunque che i giudici si esprimessero sui casi, il Parlamento ha convertito in legge il decreto sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Dentro c’era un emendamento promosso da due senatori leghisti, Roberto Calderoli e Patrizia Bisinella, che di fatto ha legalizzato il sistema del 15%. Un condono retroattivo che spiega perché, ancora oggi, senatori, deputati, consiglieri regionali ed eletti di ogni sorta, ma anche nominati a diversi incarichi pubblici, possono pagare meno tasse grazie ai soldi che versano al proprio partito. E lo possono fare anche se la donazione è frutto di un obbligo contrattuale, come è il caso della Lega.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/26/sistema-15-calderoli-e-la-norma-salva-leghisti/6114160/

martedì 15 dicembre 2020

Franceschini: “La norma di cui ha usufruito anche il padre della compagna di Conte? L’ho voluta io, il premier non ne sapeva nulla”.

 

"Nessuna norma 'salva suoceri' o fantomatiche manine di Palazzo Chigi la norma nasce negli uffici del Mibact perché è una norma giusta e il presidente del Consiglio non ne era a conoscenza prima che la portassi in Consiglio dei ministri", ha detto il ministro dei Beni culturali riferendosi alla legge inserita nel decreto Rilancio, che impone solo una sanzione amministrativa agli albergatori che non hanno versato la tassa di soggiorno ai comuni, di cui ha usufruito anche Cesare Paladino, padre della compagna del presidente del consiglio.

Ha suscitato settimane di polemiche. Ha attirato su Giuseppe Conte il sospetto di aver varato una legge ad personam, anzi ad suocerum. Perché di quella norma inserita nel decreto Rilancio, approvato la scorsa primavera del governo, che impone solo una solo la sanzione amministrativa agli albergatori che non hanno versato la tassa di soggiorno ai comuni, ha usufruito anche Cesare Paladino, gestore dell’Hotel Plaza – struttura a 4 stelle nella centralissima via del Corso a Roma – e genitore di Olivia, compagna del presidente del consiglio. Quella legge, però, non è uscita da Palazzo Chigi. “Nessun mistero. La norma sulla depenalizzazione del mancato versamento della tassa di soggiorno l’ho voluta io, dopo una audizione in Parlamento, e ho chiesto io ai miei uffici di scriverla. O meglio l’hanno chiesta molti gruppi parlamentari di opposizione e maggioranza, le Regioni, le associazioni di categoria e io l’ho fatta preparare e l’ho presentata perché giusta”, ha detto il ministro per i Beni e le Attività Culturali e Turismo, Dario Franceschini, spiegando l’origine della norma contenuta nel dl Ristori e della quale ha potuto usufruire anche Paladino-

“Norma chiesta da tutte le associazioni di categoria” – “‘Nessuna norma ‘salva suoceri’ o fantomatiche manine di Palazzo Chigi – nega Franceschini – la norma nasce negli uffici del Mibact perché è una norma giusta e il presidente del Consiglio non ne era a conoscenza prima che la portassi in Consiglio dei ministri, così come io non sapevo della vicenda del Plaza. Il mistero semmai è come si possa continuare a alimentare retroscena quando abbiamo spiegato più e più volte come sono andate le cose, l’ultima quattro giorni fa con una nota stampa diramata dal Mibact”. Il titolare del ministero dei Beni culturali continua spiegando che “la modifica della disciplina sulla tassa di soggiorno introdotta dall’articolo 180 del decreto rilancio è stata frutto di un approfondito dibattito parlamentare che ha visto coinvolte maggioranza e opposizione. La norma risponde a specifiche richieste delle associazioni di categoria e delle Regioni, presentate a più riprese al Governo e al Parlamento – non solo in questa legislatura – di estendere al settore alberghiero la disposizione già in vigore per le locazioni turistiche dal 2017, che non considera agente contabile il gestore della struttura ricettiva”.

“Non è una norma salva suoceri” – Franceschini riscotruisce dunque l’iter che ha portato all’approvazione della norma. “Nel corso dell’esame parlamentare dei decreti Cura Italia e Liquidità – dice – diversi gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione (tra questi Pd, M5S, Fdi, Fi, Gruppo misto) hanno presentato emendamenti per modificare in tal senso la disciplina segnalandolo anche nel corso delle audizioni e con interpellanze e interventi in aula. La proposta normativa era inoltre presente nel documento con le osservazioni di Federalberghi al decreto legge n. 18 del 2020 così come, negli stessi termini, nel documento con le osservazioni della Commissione Turismo e Industria Alberghiera della Conferenza delle Regioni e Province Autonome. La misura è stata inserita, come sottolineato e chiesto da tutti gli operatori e dalle diverse forze politiche, guardando al presente e al futuro, non al passato: su questo, siamo certi che la magistratura troverà la giusta soluzione”.

Il caso di Paladino – L’ultimo passaggio si riferisce ad alcuni casi di albergatori che usando la norma approvata dal decreto Rilancio sono riusciti a farsi depennalizzare condanne passate. E’ il caso di Paladino che era stato accusato di non aver versato due milioni di euro di tassa di soggiorno al Comune di Roma tra il 2014 e il 2018 e per questo motivo condannato a un anno e due mesi. Pochi giorni fa, però, il gup Bruno Azzolini ha accolto l’istanza d’incidente di esecuzione dell’avvocato Stefano Bortone revocando quella sentenza perché “il fatto non è previsto dalla legge come reato”. A stabilirlo è appunto la norma voluta da Franceschini. Secondo i magistrati coordinati dall’aggiunto Paolo Ielo, però, la depenalizzazione non era retroattiva: non si applica ai fatti commessi prima del 19 maggio (cioè prima della pubblicazione in Gazzetta ufficiale). Per questo motivo si erano opposti alla richiesta di revoca della condanna, avanzata dai legali di Paladino che invece consideravano la norma retroattiva. Secondo i pm, invece, la nuova norma cambia la posizione dell’albergatore – che non è più esattore – ma obbligato in solido con il cliente. “Non vi è abolitio criminis perché la norma sopravvenuta non espunge nella macro-categoria degli incaricati di pubblico servizio la sotto-categoria degli incaricati dalla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico”. Il gup alla fine ha dato ragione al padre della compagna di Conte. Nel 2019 Paladino aveva restituito la somma dovuta al Comune, insieme a un risarcimento danni. Il pm Alberto Pioletti e l’aggiunto Ielo, che gli avevano contestato il reato, avevano stimato le cifre trattenute illecitamente in circa 300mila euro nel 2014, oltre 500mila nel 2015, 2016 e 2017 e infine 88mila euro nel 2018.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/15/franceschini-la-norma-di-cui-ha-usufruito-anche-il-padre-della-compagna-di-conte-lho-voluta-io-il-premier-non-ne-sapeva-nulla/6037575/