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venerdì 3 ottobre 2025

Per la prima volta sono stati creati ovuli fecondabili da cellule della pelle: “Pensavamo fosse impossibile” - Maria Teresa Gasbarrone

In uno studio dalla portata potenzialmente rivoluzionaria, un gruppo di ricercatori dell’Oregon Health & Science University è riuscito a creare in laboratorio ovuli umani fecondabili a partire dal DNA di cellule cutanee. Lo studio è ancora soltanto una dimostrazione teorica e presenta molti limiti, ma per gli autori è una “pietra miliare” verso il trattamento dell’infertilità.

Per la prima volta nella storia sono stati creati in laboratorio ovuli umani usando il DNA di cellule della pelle. Ovuli che poi sono stati fecondati con spermatozoi e di cui una piccola parte è riuscita a svilupparsi fino allo stadio embrionale iniziale, quello che nella fecondazione in vitro tradizionale (IVF) è il momento in cui l'embrione viene impiantato nell'utero della donna.

"Abbiamo raggiunto un risultato che si pensava fosse impossibile". Con queste parole Shoukhrat Mitalipov, uno dei ricercatori dell'Oregon Health & Science University che hanno condotto lo studio, ha commentato i risultati a cui sono giunti, da poco pubblicati sulla rivista Nature Communications. Sebbene infatti si tratti – come precisano gli stessi autori – di una "proof of concept", ovvero una prova ancora a livello teorico, questo studio mostra per la prima volta che è possibile prendere il patrimonio genetico da una cellula non riproduttiva e trasferirlo in un ovulo che può essere fecondato in laboratorio.

Pur con tutti i limiti del caso, per i ricercatori questo risultato rappresenta comunque una "pietra miliare" verso una nuova tecnica per affrontare l'infertilità, in quanto apre una potenziale strada verso la gametogenesi in vitro, ovvero la creazione di cellule riproduttive, ma in laboratorio.

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Come sono stati creati gli ovuli

Riprendendo la stessa tecnica che è stata utilizzata già in passato per la clonazione animale, ovviamente in via sperimentale, i ricercatori hanno preso ovuli umani donati e li hanno privati del loro nucleo, dove si trova il materiale genetico. Di pari passo hanno prelevato cellule di pelle e da queste hanno estratto il nucleo, con tutto il suo corredo genetico. A questo punto hanno trasferito il nucleo della cellula della pelle nell'ovulo privato del suo nucleo. Con questa tecnica nel 1997 è stata clonata la famosa pecora Dolly.

A quel punto però i ricercatori dovevano affrontare la vera sfida: le cellule della pelle, così come tutte le altre del corpo, hanno 46 cromosomi (due set completi), tranne i gameti, ovvero le cellule riproduttive (gli spermatozoi negli uomini e gli ovuli nelle donne): questi infatti hanno metà esatta dei cromosomi, 23. Le cellule con 46 cromosomi sono dette "diploidi", quelle con 23 "aploidi". Questo è fondamentale perché nel momento della fecondazione i due set da 23 cromosomi si uniscono formando una cellula con il numero completo di cromosomi (cellula diploide).

"Un terzo processo di divisione cellulare"

Per risolvere questo problema i ricercatori hanno studiato i metodi di riproduzione cellulare: "La natura ci ha fornito due metodi di divisione cellulare e noi ne abbiamo appena sviluppato un terzo", ha detto Mitalipov. Il nome stesso anticipa il suo funzionamento. I ricercatori l'hanno chiamato "mitomeiosi" in quanto è una combinazione tra mitosi e meiosi. La prima è il processo attraverso cui si generano due cellule geneticamente identiche da una singola cellula, il secondo invece permette la riproduzione sessuale, in quanto consente il dimezzamento del numero di cromosomi in ciascuna cellula riproduttiva.

Con una buona dose di semplificazione possiamo dire che i ricercatori hanno combinato i due processi: quando hanno impiantato il nucleo della cellula di pelle nell'ovulo privato del suo nucleo, hanno visto che il citoplasma riusciva a influenzare il nucleo. Il citoplasma, la parte che circonda l'ovulo, svolge infatti un importante ruolo di regia nei processi di divisione cellulare.

In sostanza, il citoplasma dell'ovulo ha stimolato il nucleo della cellula cutanea, inducendolo a scartare metà dei suoi cromosomi in un processo simile alla meiosi. In questo modo i ricercatori hanno creato 82 ovuli funzionali, che sono stati poi fecondati tramite fecondazione in vitro con spermatozoi donati.

Hanno poi osservato in provetta come si comportavano questi embrioni. Di questi, circa il 9% si sono sviluppati fino allo stadio di blastocisti (sei giorni dopo la fecondazione), ovvero lo stadio in cui nell'IVF tradizionale l’embrione sarebbe trasferito nell’utero. Molti embrioni presentavano però anomalie cromosomiche e in ogni caso nessun embrione è stato impiantato in un utero perché lo studio è stato condotto esclusivamente in laboratorio.

Prospettive e possibili limiti.

Il potenziale sviluppo di una tecnica di gametogenesi in vitro sicura, ovvero una tecnica che a partire dal nucleo di altre cellule permette di creare dei gameti fecondabili potrebbe fare la differenza per le donne che desiderano una gravidanza ma che non sono più fertili per l'età avanzata o perché non sono più in grado di produrre ovuli funzionali dopo cure contro il cancro o altri motivi.

"Oltre a offrire speranza a milioni di persone con infertilità dovuta alla mancanza di ovuli o spermatozoi, questo metodo – ha aggiunto la professoressa Paula Amato, coautrice dello studio – consentirebbe alle coppie dello stesso sesso di avere un figlio geneticamente imparentato con entrambi i partner".

Ma allo stesso tempo sono molto cauti sull'eventuale applicazione di questa tecnica nella realtà: perché per prima cosa – ribadiscono – serve tempo, almeno dieci anni, di ricerca prima che l'approccio possa essere ritenuto sufficientemente sicuro o efficace da poter essere sottoposto a sperimentazione clinica. Inoltre, quest'ultima non è scontata, perché qualsiasi sperimentazione clinica, per poter partire, ha bisogno dell'autorizzazione degli organi di sicurezza e regolamentazione del paese in cui dovrebbe essere condotta, in questo caso gli Stati Uniti. Ovviamente il punto interrogativo, in questo studio più che in altri, è d'obbligo perché fa riferimento a un argomento che già oggi rappresenta un terreno di dibattito, spesso di scontro, molto accidentato.

continua su: https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/per-la-prima-volta-sono-stati-creati-ovuli-fecondabili-da-cellule-della-pelle-pensavamo-fosse-impossibile/

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sabato 21 giugno 2025

La pelle di tilapia.

 

In Brasile, dove le risorse mediche possono essere scarse e lesioni devastanti da bruciare, i medici hanno scoperto un alleato straordinario in un luogo inaspettato: la pelle di tilapia. Sì, lo stesso pesce trovato nei piatti da cena sta riscrivendo il futuro del trattamento delle ustioni. Ricca di collagene e naturalmente umida, la pelle di tilapia si è rivelata un potente rimedio lenitivo contro le ustioni gravi. Avvolge la ferita come una seconda pelle: dolore calmante, protezione contro le infezioni e guarigione accelerata. A differenza delle bende tradizionali, che spesso necessitano di cambiamenti frequenti e dolorosi, questo trattamento pelle di pesce può rimanere in vigore per giorni, anche settimane. Quello che una volta era stato gettato come rifiuto ora sta salvando vite. Oltre 50 pazienti hanno già trovato sollievo e guarigione attraverso questo metodo, molti dei quali bambini. Accessibile, sostenibile e straordinariamente efficace, questo approccio è la testimonianza di come innovazione e natura possano unirsi nei modi più sorprendenti per ridare dignità, comfort e speranza.

https://www.facebook.com/photo?fbid=122232379598189660&set=a.122102577140189660

sabato 22 luglio 2017

Ecco perché siamo diventati bianchi: tutto in 8mila anni d'evoluzione. - Rosita Rijtano

Ecco perché siamo diventati bianchi: tutto in 8mila anni d'evoluzione

Lo rivela uno studio ottenuto comparando il genoma degli antichi europei con chi ha abitato il Vecchio continente in epoca recente. I responsabili dei vari cambiamenti, che riguardano la pelle, ma anche la dieta, sarebbero 5 geni sottoposti a una forte selezione naturale.

TUTT'ALTRO che bianchi, anzi: di pelle scura e intolleranti al latte. Eravamo così, in una parola: diversi. Poi, in un niente, quasi come dall'oggi al domani: siamo cambiati, trasformandoci in super velocità. Sono bastati, infatti, appena ottomila anni per renderci esattamente ciò che siamo. Una bazzecola rispetto ai tempi diluiti che di norma dettano i meccanismi dell'evoluzione. Ma il ritmo accelerato è stato impresso dalle migrazioni che si sono susseguite nel continente europeo, una dopo l'altra, e hanno mescolato i nostri cromosomi. Fino a regalarci i tratti tipici, dalle sfumature comuni, che ci caratterizzano ancora adesso. Perché la storia lo insegna: non siamo stati solo conquistadores, anche conquistati. E la scienza lo dimostra.

Il quadro lo delinea uno studio appena presentato all'84esimo congresso dell'American Association of Physical Anthropologists, e ripreso dalla rivista Science

Un lavoro confezionato mettendo a confronto il genoma di 83 dei nostri precursori con quello di chi ha occupato l'Europa in epoca recente. E che affonda le sue radici in diversi paper stilati in precedenza, dove sempre gli stessi ricercatori, dna alla mano, sono già arrivati a delle importanti conclusioni. Prima di tutto, a inizio 2015, il team ha dimostrato che i cittadini del Vecchio continente sono il frutto della miscela di tre popolazioni differenti. Una colonizzazione avvenuta in varie fasi consecutive. E poi che le lingue indoeuropee sono state probabilmente importate circa 4500 anni fa, dopo il trasferimento della tribù nomade degli Yamnaya dalle steppe al Mar Nero. Adesso il gruppo, che ingloba i genetisti Iain Mathieson e David Reich, si spinge persino oltre. Per individuare quali sono quei geni che, superando una forte selezione naturale, si sono diffusi con sorprendente rapidità. Tanto da marchiarci a vita. Sono cinque quelli finiti nel mirino, responsabili di alcune delle nostre caratteristiche fondamentali: la dieta, gli aspetti della corporatura e il colore della pelle. "Stiamo, ora, ottenendo un'immagine più dettagliata di come funziona la selezione naturale", commenta al magazine scientifico Georgy Perry, genetista antropologico, non coinvolto nelle analisi. 
Spiega la giornalista Ann Gibbson: "Per iniziare, gli scienziati hanno confermato la tesi di un altro report, secondo cui 8mila anni fa cacciatori e coltivatori europei non riuscivano a digerire lo zucchero nel latte. Una particolarità: lo stesso valeva per i primi contadini. Il motivo: sia negli agricoltori che arrivarono dal vicino oriente 7800 anni fa, sia nei pastori Yamnaya giunti dalle steppe, era assente la versione del gene LCT che permette agli adulti di assimilare il lattosio. Sembra, allora, che la tolleranza all'alimento si sia diffusa nel continente non prima di 4300 anni fa". Per quel che riguarda, invece, la statura c'è bisogno di fare una differenza. Nel nord e nel centro d'Europa, sono stati favoriti i geni che portano alla nascita di persone alte, soprattutto dopo la migrazione degli Yamnaya. Il contrario è avvenuto in Italia e, in particolare, in Spagna, dove 6mila anni fa gli abitanti sono diventati più piccini. Un modo, forse, per adattarsi alla dieta povera e a delle temperature più fredde.

Ma il capitolo più ghiotto della ricerca riguarda la nostra epidermide, come è cambiato il suo colore nei secoli. Una trasformazione che rivela una storia complessa. "Si presuppone che gli umani moderni, arrivati dall'Africa circa 40 mila anni fa, avessero la pelle scura, vantaggiosa alle latitudini soleggiate", racconta Gibbson. Una teoria confermata dai risultati sfornati in questi giorni: 8500 anni fa spagnoli, lussemburghesi e ungheresi erano tutt'altro che pallidi. Perché mancavano di due geni responsabili della depigmentazione e, quindi, della pelle bianca: il SLC24A5 e il SLC45A2. La situazione cambiava salendo più su. Nel sito archeologico di Motala, in Svezia, gli scienziati hanno trovato sette persone dotate di entrambe le particelle cromosomiche. Non solo, ne avevano anche una terza -  l'HERC2/OCA - legata agli occhi blu. Conclusione: "gli antichi cacciatori e raccoglitori dell'Europa del nord erano già cerei e dalle pupille chiare, mentre quelli del centro e del sud avevano la pelle scura".

Come siamo arrivati, quindi, ad avere tutti la stessa carnagione? I responsabili sono i primi agricoltori arrivati dal vicino oriente, con un carico di geni dal color bianco. Uno dei due si è diffuso attraverso il Vecchio continente quando i neo colonizzatori si sono mixati con i vecchi indigeni, e così anche le popolazioni più meridionali hanno iniziato ad avere la pelle chiara. L'altra variante, il SLC45A2, si è fatta strada solo a partire da 5800 anni fa. Certo, lo studio ha una lacuna. Come annota sempre Gibbson, gli autori non spiegano per quale motivo quelle particelle cromosomiche sono state sottoposte a una forte selezione naturale. Una spiegazione possibile, almeno per quel che riguarda la pelle, la dà la (paleo)antropologa Nina Jablonski della Pennsylvania State University. Cioè massimizzare la sintesi della vitamina D, utile per assorbire calcio e fosforo. Conclude la giornalista: "Le persone che vivono alle latitudini settentrionali spesso non ricevono abbastanza raggi ultra violetti per sintezzarla. E la selezione potrebbe aver favorito due soluzioni genetiche per risolvere il problema: la diffusione della pelle bianca, che assorbe gli UV in modo più efficiente, o la tolleranza al lattosio capace di digerire gli zuccheri e la vitamina D naturalmente presenti nel latte". "Quella che abbiamo pensato fosse una semplice fotografia della depigmentazione in Europa, si è rivelato essere un emozionante mosaico della selezione", dice Jablonski. "Questi dati sono divertenti perché dimostrano quanto l'evoluzione sia stata recente".


http://www.repubblica.it/scienze/2015/04/20/news/ecco_perche_siamo_diventati_bianchi_tutto_in_8_mila_anni_d_evoluzione-111370279/

sabato 1 giugno 2013

Olio di mandorle dolci: proprietà benefiche per pelle e capelli. - Maria Carmela Trovato

L’olio di mandorle dolci è uno degli oli che più spesso si tende a tenere in casa, dati i suo diversi utilizzi, la facilità con la quale si può reperire (erboristeria, farmacia, supermercato) ed il prezzo relativamente accessibile. Per questo motivo volevo dare alcune indicazioni su questo preziosissimo olio, in modo da poterlo sfruttare appieno.
proprietà dell'olio di mandorle dolci 

Proprietà ed usi dell’olio di mandorle dolci

Per capire fino in fondo quali potenzialità abbia l’olio di mandorle dolci è bene conoscere le sue proprietà.
♦  Emolliente, nutriente ed elasticizzante: la presenza di acidi grassi consente di idratare a fondo anche le pelli più aride e secche, restituendo morbidezza ed elasticità. Quest’ultima funzione in particolare, ovvero quellaelasticizzante, è quella per la quale quest’olio è molto rinomato: aiuta infatti ad evitare la comparsa delle smagliature al momento della gravidanza o quando si ingrassa/dimagrisce rapidamente.
♦  Addolcente: questa funzione si riferisce soprattutto alle proprietà benefiche che l’olio di mandorle dolci ha dimostrato di avere sui capelli. E’ stato dimostrato che migliora moltissimo la condizione dei capelli molto secchi, sfibrati o crespi.
♦  Lenitivo: grazie al fatto di avere una composizione molto simile al sebo che la pelle produce normalmente, questo olio viene assimilato molto bene dalla pelle, che lo riconosce per questo “amico” e non una sostanza completamente estranea. Dato che è ben tollerato lo si utilizza moltissimo per le pelli con problematiche come rossori e irritazioni. Perfetto, quindi, per le pelli sensibili e secche

Come riconoscere quello di qualità

L’olio di mandorle dolci è un olio che si presenta con un leggero colore giallo, trasparente, limpido e con odore caratteristico. È molto ricco in acidi grassi, motivo per il quale possiede le proprietà sopra elencate, ma contiene anche proteinevitamine e sali minerali . Ma non tutti gli oli di mandorle dolci sono uguali. La buona qualità o meno di un olio di mandorle dolci dipende infatti da come l’olio viene estratto. Anzitutto diciamo che la parte della pianta che si utilizza è il seme del mandorlo, ovvero la mandorla: è proprio da questa, infatti, che si estrae l’olio che acquisti. Esistono essenzialmente due metodi per estrarre l’olio:
♦  con solventi chimici  
♦  per spremitura (o pressione) a freddo
Quello con solventi chimici è il metodo più economico e per questo viene spesso preferito dai produttori, ma è anche il meno pregiato, perché non dà come risultato un prodotto subito puro ed utilizzabile, come invece accade nel caso della spremitura a freddo. E’ per questo motivo che quando acquisti un olio di mandorle è sempre bene ricercare la frase che riporti che l’olio è stato ottenuto tramite spremitura a freddo: questo processo è il migliore, perché lascia inalterate tutte le caratteristiche originali del prodotto

Come si applica l’olio di mandorle dolci

Vediamo adesso come è meglio applicare l’olio di mandorle dolci, non solo sul corpo, ma anche sul viso, sui capelli ed in caso di smagliature.
♦  Per il viso: ottimo struccante. Grazie al fatto di essere un olio scioglie benissimo il trucco, anche quello più pesante, e dona allo stesso tempo una piacevolissima sensazione di idratazione. Si versa qualche goccia su un dischetto e si utilizza come un normalissimo detergente.
♦  Sul corpo: è consigliato se vuoi avere una pelle più morbida ed elastica. Va applicato su tutto il corpo proprio come una crema. Come tutti gli oli va steso dopo la doccia o il bagno, quindi sulla pelle bagnata, in modo che venga assorbito rapidamente senza lasciare le pelle unta.
♦  Per le smagliature: in caso di gravidanza se ne consiglia l’utilizzo sin dal terzo mese, per iniziare ad elasticizzare la pelle e prepararla in modo adeguato. Si stende su addome, seno, fianchi e cosce. Da evitare, quando si stende l’olio sul seno, di passare sopra i capezzoli: questa è una zona molto sensibile e per questo si deve sempre aggirare e mai mettere sopra la mano per applicare creme o olii. L’olio di mandorle è utilissimo anche se stai seguendo una dieta dimagrante e noti smagliature rossastre sul corpo: per rimediare passa ripetutamente l’olio in queste zone. Se invece lesmagliature sono già bianche, allora non si può fare più nulla, dato che questo vuol dire che si sono trasformate ormai in delle vere e proprie cicatrici.
♦  Sui capelli: per renderli morbidi, lucidi e disciplinati, basta fare un impacco prima dello shampoo. Si versa qualche cucchiaio di olio di mandorle sui capelli appena inumiditi (se li hai particolarmente grassi meglio limitarti alle lunghezze e alle punte) e si massaggiano per far penetrare meglio i principi attivi. Va risciacquato con cura, in modo da non lasciare residui oleosi sui capelli e va  ripetuto una volta a settimana.
♦  Sulle unghie: anche e unghie traggono beneficio dall’uso costante dell’olio di mandorle dolci. Utilizzato puro o mescolato ad altri oli, come ad esempio l’olio di ricino, si rivela un ottimo trattamento per ammorbidire le cuticole e far crescere l’unghia sana e forte. 

Le novità in campo cosmetico sull’olio di mandorle dolci

Di recente l’olio di mandorle dolci è venduto sotto una forma diversa: può capitare, infatti, di trovare in commercio l’olio di mandorle dolci gelificato.  Si chiama così perché ha proprio la consistenza di un gel, grazie al fatto che viene mescolato ad altri ingredienti come silice e rosmarino. Il vantaggio di questa nuova formulazione è che si assorbe molto più rapidamente rispetto all’olio puro ed ha quindi un utilizzo più immediato. 

Qualche consiglio in più sull’olio di mandorle dolci:

  • In questo articolo ho parlato nello specifico dell’utilizzo delle mandorle dolci, ma dal punto di vista cosmetico non esiste differenza tra mandorle dolci e mandorle amare: semplicemente si utilizzano le mandorle dolci perché più diffuse e coltivate. La differenza, invece, c’è e come se delle mandorle se ne fa un utilizzo alimentare: in quel caso bisogna stare attenti! Le mandorle amare una volta masticate liberano acido cianidrico: pensa che basterebbe ingerire  una decina mandorle amare per avere seri problemi di salute!
  • L’olio di mandorle dolci è un’ingrediente di una delle ricette che trovi nell’articolo dedicato all’Aloe vera!