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lunedì 5 aprile 2021

Alfano, Minniti & C. I ministri di Renzi, casta che lavora. - Lorenzo Giarelli

 

La sintesi più efficace viene da Giovanni Paglia, componente della segreteria nazionale di Sinistra Italiana: “Alfano è a capo del primo gruppo della sanità privata, Padoan si appresta a presiedere Unicredit, Minniti fa il promoter di Leonardo e ora De Vincenti va a lavorare per i Benetton. Tutti ex ministri o sottosegretari: viene quasi da pensare che il governo Renzi sia stato un ufficio di collocamento”.

La metafora funziona perché in effetti, quattro anni e mezzo dopo il referendum che mise fine all’esecutivo di Matteo Renzi, non è solo il senatore semplice di Rignano ad aver trovato fortuna fuori dai Palazzi della politica – in cui però l’ex premier tiene ancora un piede e mezzo dentro – ma anche parecchi dei suoi vecchi compagni di strada. Certo, nessun altro ha un posto come membro stipendiato di un board saudita benedetto dal principe Bin Salman, ma sono comunque tutti ben piazzati, anche grazie alle competenze e alle relazioni personali maturate durante quegli anni di governo.

Affari Banche, aerei e ospedali lombardi.

L’ultimo caso è quello di Claudio De Vincenti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Matteo poi promosso ministro alla Coesione territoriale da Paolo Gentiloni, che prenderà il posto del defunto Antonio Catricalà come presidente di Aeroporti di Roma (Adr), la società controllata dalla famiglia Benetton che gestisce gli scali di Ciampino e Fiumicino.

Nel 2018 De Vincenti aveva fallito il ritorno in Parlamento, sconfitto in malo modo nel collegio uninominale di Sassuolo, dove il centrosinistra arrivò terzo dietro sia al centrodestra che al Movimento 5 Stelle. Occupandosi di aeroporti, per l’esponente del Pd sarà anche un ritorno all’antico: quando Massimo D’Alema era a Palazzo Chigi – parliamo della fine del secolo scorso – De Vincenti coordinava il Nars, la struttura del ministero del Tesoro che regola i servizi di pubblica utilità. Tutti motivi per cui adesso potrà mettersi alle spalle l’ultima delusione elettorale, come per altro avevano già fatto altri colleghi dell’epopea renziana.

A indicare la via ci pensò Angelino Alfano. Già nel luglio 2019, l’ex ministro dell’Interno (con Gentiloni sarebbe passato agli Esteri) si fece convincere dall’allettante proposta del Gruppo San Donato, il colosso della famiglia Rotelli che domina la sanità privata lombarda e che gli offrì la presidenza della holding. Anche Alfano, come De Vincenti, era fuori da Montecitorio dal 2018, quando decise di non ricandidarsi.

La stessa cosa non si può dire per due ex ministri renziani approdati di recente ad altre carriere, scelte a scapito del posto in Parlamento. Pier Carlo Padoan ha infatti lasciato il seggio in quota Pd: a ottobre Unicredit lo ha designato componente del Consiglio di amministrazione e presto verrà formalizzata la sua nomina a presidente dell’Istituto. Un incarico per cui gli torneranno parecchio utili gli anni di esperienza da ministro dell’Economia, ben quattro tra il 2014 e il 2018, prima con Renzi e poi con Gentiloni. In Unicredit infatti potrebbe trovarsi a gestire la fusione con il Montepaschi, la banca che da ministro ha nazionalizzato nel 2017 e a cui il suo ex ministero garantirà una cospicua dote pubblica.

Allo stesso modo, l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti farà tesoro del periodo al governo ora che dovrà dirigere la fondazione Med-Or, creatura del gigante della difesa e dell’aerospazio Leonardo (la ex Finmeccanica). E se di Minniti si ricordano soprattutto le fatiche nel contrasto all’immigrazione dal Nord Africa e nelle relazioni con la Libia, parte di quei temi torneranno centrali nella sua attività, dato che l’obiettivo di Med-Or è quello di costruire “un ponte” attraverso cui “far circolare idee, programmi e progetti concreti” nel settore della difesa e della tecnologia con i Paesi esteri “dal Mediterraneo allargato fin sotto il Sahara, fino al Medio ed Estremo Oriente”.

Se poi Minniti dovesse aver nostalgia degli anni al governo, potrà sempre farsi un giro nei corridoi di Leonardo, dove potrebbe incrociare una sua vecchia conoscenza dei Consigli dei ministri renziani. Da maggio 2020 infatti Federica Guidi fa parte del cda dell’azienda, dove è giunta quattro anni dopo aver lasciato lo Sviluppo Economico a causa dell’inchiesta sul progetto Tempa Rossa: non indagata, l’ex ministra fu intercettata mentre parlava con il compagno (archiviato dopo l’inchiesta) di un imminente emendamento che avrebbe riguardato anche gli interessi industriali dell’uomo. Finita l’esperienza al ministero, la Guidi ha anche potuto recuperare il posto in Ducati Energie (dove è vice-presidente esecutivo) e in Gmg Group, dove siede nel Consiglio di amministrazione.

Onu Agricoltura e scuola tra Nazioni Unite ed Europa.

Un po’ diversi, ma certo non meno prestigiosi, i percorsi di Maurizio Martina e Stefania Giannini. Il primo, dopo quattro anni trascorsi alle Politiche Agricole e uno, particolarmente travagliato, da segretario reggente del Pd, a gennaio di quest’anno è stato nominato vicedirettore generale aggiunto della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura.

E all’Onu lavora da un pezzo anche Stefania Giannini, che con Renzi fu ministra dell’Istruzione fino al 2016. Dopo una lunga carriera universitaria e gli anni al governo, oggi la Giannini è vicedirettrice dell’Unesco, la nota agenzia che promuove “la pace e la comprensione” tra le Nazioni, ente in cui l’ex ministra ha la delega all’Istruzione.

Posizione da cui, anche in virtù dei mesi fianco a fianco al governo, potrà forse dare qualche consiglio a Federica Mogherini, ministra degli Esteri con Renzi e da settembre 2020 rettrice del Collegio d’Europa, l’Istituto di alta formazione in studi europei con sede a Bruges e a Varsavia e finanziato dall’Unione.

IlFattoQuotidiano