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lunedì 5 agosto 2024

XXIV DINASTIA.

 

Secondo Sesto Africano ed Eusebio di Cesarea il suo nome era Bocchoris ma nella sua terra, l'Egitto, era conosciuto come Wahkara Bakenrenet, il Faraone.
Non sembra avere regnato più di 5 o 6 anni al massimo ma nel VIII secolo a.C, in Egitto, data la situazione, regnare di più, sarebbe stato molto complicato.
Vada come vada sia Diodoro Siculo che Plutarco ci tramandano che era un Sovrano accorto e lungimirante in patria ma fuori era stretto tra due fuochi, a sud dai nubiani e a est gli assiri guidati da Sargon II, situazione dalla quale uscire indenne sarebbe stato un colpo di fortuna incredibile che a lui non toccò in quanto, sempre secondo Sesto Africano, fu catturato dopo uno scontro per essere poi bruciato vivo.
Per fartela breve è meglio andare al museo archeologico di Tarquinia e metterci comodamente a guardare questi due meravigliosi oggetti, una situla in faience del 700 a.C e la collana, sempre in faience, ornata da divinità egizie.




La faience era più o meno un impasto di terra variamente argilloso, ricoperto di smalto che per questo motivo gli egiziani del tempo lo chiamavano "la brillante".
Ebbene, questi due oggetti erano parte del corredo funerario di una nobildonna etrusca della Tarquinia del VII secolo a.C, un sepolcro che fu scavato senza alcun criterio scientifico alla fine del XIX secolo con il solo scopo di impossessarsi del ricco corredo al suo interno.
Comunque, secondo la descrizione che ne fece lo studioso W. Helbing, questa tomba rinvenuta nella Necropoli detta dei Monterozzi, era accessibile attraverso un dromos e una porta in origine chiusa da pesanti lastre di nenfro e presentava al suo interno un bancone scavato nel tufo posto lungo la parete di sinistra, sul quale era stato deposto il corpo della nobile e presentava un tetto a ogiva, una tipologia di sepoltura assai diffusa in quella parte della Etruria meridionale.
Oltre questi reperti c'erano altri vasi di tipo orientalizzante, vasi dipinti di tipo cumano-etrusco, oggetti in bronzo e in oro e un cartiglio con il nome in geroglifici del Faraone egiziano Bkrnf, Bakenrenef appunto, che i greci chiamavano Bokchoris e i romani semplicemente Bocchoris.
Questi meravigliosi oggetti, a prescindere da una possibile ma non certa mediazione sarda, testimoniano le relazioni commerciali tra l'Etruria e le regioni del mediterraneo orientale, documentate già tra la fine del IX secolo e gli inizi del VIII secolo a.C.
Scambi commerciali e culturali che ovviamente includevano anche questi meravigliosi "orientalia" tra i quali non può mancare la superba patera nella ultima foto che non esito ad aggiungere, in argento dorato, rinvenuta nella tomba Bernardini (Palestrina) risalente al 675 a.C, ora esposta al museo di villa Giulia a Roma.
Patera di cui parleremo in seguito
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