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sabato 12 settembre 2020

Va bene il diritto di cronaca, non quello di maleducazione. - Massimo Fini

Nei giorni scorsi, Beppe Grillo è stato coprotagonista di uno scontro con un giornalista della trasmissione Diritto e Rovescio, Rete4, Francesco Selvi. Le cose sono andate così. Grillo se ne stava spaparanzato sulla spiaggia di Marina di Bibbona dove ha una delle sue due normalissime case (l’altra è a Sant’Ilario sopra Genova), non le “tante ville” di cui parla Alessandro Sallusti, quelle ce le ha Berlusconi che solo in Sardegna ne possiede sette impestando quella che una volta era la splendida Gallura.

Dunque Selvi si avvicina a Grillo e gli chiede un’intervista. Fin qui tutto lecito. Solo che Selvi contemporaneamente accende il cellulare. Da questo momento l’intervista è già cominciata e qualsiasi cosa dica o faccia Grillo fa da già parte di un’intervista non autorizzata. Grillo reagisce alla Grillo, cerca di strappare il cellulare allo scorretto intervistatore, lo spinge e lo manda a ruzzolar giù per le terre. Certo avrebbe potuto comportarsi diversamente, come Enrico Cuccia, già ottantenne, che tampinato da un rompiscatole delle Iene per tutto il percorso che andava dalla sua abitazione agli uffici di Mediobanca, un chilometro circa, proseguì dritto, non accelerando né diminuendo la sua camminata, senza degnare l’importuno di una parola e nemmeno di uno sguardo. O come Indro Montanelli che, settantenne, assillato da un giornalista di questo genere, gli disse paro paro: “Non mi rompa i coglioni!”.

Io rimpiango i tempi in cui per incontrare una persona bisognava fargli avere prima il proprio biglietto da visita, come fece Nietzsche con Wagner e dando così inizio alla più feconda amicizia che il solitario filosofo tedesco abbia avuto. Del resto allora funzionava così. Per tutti. I giornalisti devono capire che, a parte situazioni limite, guerre, scontri di strada e simili, non hanno acquisito un particolare diritto alla maleducazione. E credo che la prima, vera, urgente e forse unica riforma da fare in Italia sia quella del ritorno alla buona educazione. Anche sul gossip politico e giudiziario cui si è ridotto il nostro giornalismo, ammesso che possa definirsi ancora tale, ci sarebbe poi molto da dire. L’insinuazione politico-giornalistica è diventata l’arma preferita da usare contro gli avversari. Nell’editoriale dedicato da Alessandro Sallusti all’episodio Grillo (Il Giornale, 9.9), che gira tutto intorno al fatto che il giornalista di Rete4 non è stato difeso dalla Federazione Nazionale della Stampa perché presunto di destra (il che non è nemmeno vero, la Fnsi si è dichiarata “indignata”) mentre se la stessa cosa fosse capitata a un giornalista cosiddetto di sinistra ci sarebbe stata un’insurrezione mediatica (ma non ti sei ancora accorto, Sandro, che Destra e Sinistra non esistono più, esistono semmai fazioni contrapposte?). Lo stesso direttore del Giornale si lamenta come sia “possibile che a oltre un anno dai fatti ancora la magistratura non abbia deciso se suo figlio (di Grillo, ndr) ha violentato o no una giovane ragazza finita nel suo letto?”. Sallusti deve essere diventato bipolare. Dov’è finito l’ipergarantista a 24 carati che non considera definitiva nemmeno una sentenza di condanna della Cassazione, naturalmente se riguarda Berlusconi, e vorrebbe già al gabbio il figlio di Grillo per il quale non si è ancora arrivati nemmeno a una decisione del Gip? Del resto è il concetto espresso da Madama Santanchè, un’altra del giro, per certi reati e soprattutto per certi presunti autori di questi reati: “In galera subito e buttare via la chiave”. Il processo? In questi casi è un optional. Sallusti, senza rendersene conto, è finito nella filiera iperforcaiola del “siamo tutti colpevoli fino a prova contraria” attribuita a Piercamillo Davigo. Non credo tu possa essere contento di questa comunanza, anche se molto presunta. Alessandro so che scrivi ciò che non pensi, ma pensa almeno a ciò che scrivi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/12/va-bene-il-diritto-di-cronaca-non-quello-di-maleducazione/5929046/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-12

giovedì 10 settembre 2020

La fogna web: non aprite quei tombini. - Antonio Padellaro

 Tombini come arieti per la spaccata, il video - Il Populista

L’altra sera nel suo tg, Enrico Mentana, dopo aver mandato il video di quel Di Folco che vomita insulti contro il povero Willy, si chiedeva come sia possibile che roba del genere continui a circolare sul web senza che nessuno intervenga. Qualche giorno prima, anche Carlo Verdone ha detto qualcosa che andava detto, a proposito dell’esasperazione del politically correct che – soprattutto nel mondo dell’arte – “è una patologia fortemente limitante della libertà d’espressione”.

Il rapporto tra le due affermazioni mi sembra chiaro. Per cui se Verdone mostra nel suo ultimo film il fondoschiena di sua figlia con gli slip, ecco i soliti critici occhiuti saltare su col ditino alzato. Una forma di censura, ci avverte, che in qualche modo può “incatenare” registi e sceneggiatori inducendoli all’autocensura (“avremo meno battute, non si potrà dire nulla, faremo meno ridere”). Mentre quell’altra feccia umana che si firma Gabriele Bianchi può tranquillamente congratularsi in Rete con gli assassini di Colleferro, tra gli applausi della fogna (“come godo che avete tolto di mezzo quello scimpanzé, siete degli eroi”). Una differenza di trattamento abbastanza evidente. Poiché i sacerdoti del politicamente corretto, esercitano una forma d’ipocrisia distruttiva, ricattatrice e dunque antieconomica e fuori mercato. Come del resto accade a ogni genere di spettacolo che giunga al pubblico stravolto, mutilato, castrato nella sua creatività.

Mentre i Di Folco & compari agiscono nel libero mercato globale dell’orrore, dove a prevalere è sempre la merce più infame e disgustosa. Tanto che spesso sembrano obbedire, come in certe pellicole porno, a copioni predefiniti dove l’accanimento razziale e l’oltraggio di genere (donne, gay) si accompagna al tipico insulto politico: “Buonisti di merda”. Più questi snuff movie appariranno osceni e disumani, e più clic faranno. E (non giriamoci intorno) più contatti generano mercato in Rete, e dunque più pubblicità, e dunque più quattrini (e grossi titoli-spot sui giornali).

È un particolare genere d’intrattenimento difficile da sanzionare. Uno, perché coperto quasi sempre dall’anonimato. Due, perché il sorcio che finisce in trappola provvede subito a piagnucolare sincero pentimento (o la superpanzana di qualcuno che gli ha smerdato lo smartphone a sua insaputa). Con un buon avvocato rischia al massimo una multa. Perciò (e con Mentana sfondo una porta aperta), la sola, efficace difesa contro i miasmi della cloaca web e degli odiatori di mestiere sono dei robusti tombini che non andrebbero mai sollevati. Mentre, caro Verdone, l’unico rimedio contro i bigotti della correttezza è farli incazzare ancora di più, con le tue strepitose e scorrettissime battute.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/10/la-fogna-web-non-aprite-quei-tombini/5926679/