Sembrerà strano, ma questa parola suscita in me bei ricordi. Ricordi dolci e segnanti, ricordi che, in qualche modo, hanno lasciato un segno nella mia vita, per cui, andare dal calzolaio per fare riparare i sopratacchi, era diventato, per me, un rito.
Andavo sempre dallo stesso calzolaio, un signore magro, età media, capelli bianchi. Si chiamava Angelo, ma io lo chiamavo Maestro.
Aspetto serio, grambiulone a protezione, flemmatico, ma preciso.
La sua bottega era una stanzetta che dava sulla strada, ma bastava alla bisogna: c'erano sedie per gli avventori, il banchetto da lavoro al centro.
E quando ci andavo, aspettavo, comodamente seduta, che lui mi riparasse i tacchi; preferivo aspettare volentieri perchè mi beavo ad assistere ed ascoltare tutto ciò che succedeva in quella bottega che, ad una certa ora, si animava di pensionati.
A turno qualcuno gli portava il caffè, tutti indossavano un berretto per ripararsi dal sole o dal freddo, alcuni restavano in piedi perchè di passaggio, altri occupavano le sedie che erano a disposizione.
E iniziava il salotto.
Si parlava di tutto, del governo, della gioventù, dei ricordi, non si litigava mai, si rideva spesso alle battute di qiualcuno di loro, ognuno rispettava le idee degli altri, tutti erano molto compiti e mai scurrili o volgari, almeno in mia presenza.
Io ascoltavo rapita, mi piaceva godere della loro saggezza, era diventato, per me, un momento magico al quale per nulla al mondo avrei rinunziato quando si presentava l'occasione.
Cettina.