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giovedì 12 ottobre 2023

Sapevate che l'intelligenza dei bambini dipende da quella della mamma? - Virginia Di Marco

 

Madri e Figli

La madre degli imbecilli è sempre incinta. Ma se i bambini nascono intelligenti il merito è materno: ora ci sono le prove. 

Non mi stupisce.

Del resto, io lo dico da sempre. E finalmente ora anche lo scienza lo conferma.

Diversi studi provano che, geneticamente, i bambini ereditano l’intelligenza da parte materna.

Un detto popolare assicura che la madre degli imbecilli è sempre incinta. Ma pure i figli intelligenti devono dire grazie alla loro mamma.   

Ce lo conferma, per esempio, anche questo articolo pubblicato sul blog scientifico Psychology Spot (con una lunga coda bibliografica che potete spulciare con calma).  

Ma se noi donne lo abbiamo sempre saputo, come fanno invece i ricercatori a provare che l’intelligenza si eredita da mammà?

L'intelligenza si eredita dalla madre

La risposta è nei “geni condizionati”.

In sostanza - e per non sbagliare qui cito direttamente, traducendolo, l’articolo che vi ho segnalato - si tratta di geni che hanno una sorta di etichetta biochimica che consente di tracciare le loro origini e che rivela anche se sono attivi o no all’interno delle cellule dei discendenti.

La cosa interessante è che alcuni di questi geni sono attivi solo se ereditati per via materna. Se lo stesso gene è ereditato dal padre, viene disattivato. Allo stesso modo, altri geni lavorano in senso opposto e vengono attivati solo se ereditati dal papà.

Ora: l’intelligenza è ereditaria e comunemente si credeva che fosse trasmessa da entrambi i genitori. Ma non è così: ci sono ormai parecchie ricerche che dimostrano che l’intelligenza è situata nel cromosoma X.

E il portatore del cromosoma X è - rullo di tamburi! - la mamma!

Alla faccia, viene da dire, del patriarcato e dei più odiosi (e purtroppo recidivi) stereotipi di genere.

L'intelligenza risiede nel cromosoma X

Da decenni ormai la ricerca si muove in questa direzione.

Robert Lehrke è il ricercatore che per primo ha teorizzato che l’intelligenza fosse un dono materno. 

Più recentemente, un altro studio (realizzato dall'Università di Ulm) ha studiato i geni coinvolti nei danni cerebrali e ha scoperto che la maggior parte di essi, in particolare quelli connessi con abilità cognitive, si trovano nel cromosoma X.  

Un altro studio tedesco ha dimostrato che il miglior indizio per predire il quoziente intellettivo di un bambino è il QI della madre.

Certo, l’ereditarietà non è l’unica componente per determinare l’intelligenza di un individuo.

Nello specifico, il bagaglio genetico pesa per circa il 50-60% (gli studi al momento non sono concordi sulla percentuale esatta). Il resto è determinato da cause di natura ambientale.

Dunque il QI che ci regala la mamma alla nascita è solo il punto di partenza.

Importante, molto importante. Ma non decisivo.

Ancora una volta, l’educazione è centrale.

Parafrasando il maestro dell’aforisma moldavo Efim Tarlapan, possiamo concludere che fare figli potenzialmente intelligenti è procreazione; ma educarli e crescerli realmente intelligenti è la vera creazione.  


https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2018/11/27/sapevate-che-l-intelligenza-dei-bambini-dipende-da-quella-della-#:~:text=Ora%3A%20l'intelligenza%20%C3%A8%20ereditaria,%2D%20la%20mamma!

venerdì 6 marzo 2020

"Il ceppo tedesco fratello maggiore di quello di Codogno". - Davide Milosa



Il virus - Come e dove è arrivato il Coronavirus in Europa: il viaggio dalla Cina in Italia, passando dalla Baviera.

La Germania oggi rappresenta la prima porta d’ingresso del virus SarsCov2 in Europa. Non solo, il ceppo isolato dal primo focolaio tedesco è in stretta correlazione con quello isolato nel Basso lodigiano. A questo va aggiunta una certezza: il focolaio lodigiano e quello veneto, dal punto di vista epidemiologico, sono parenti strettissimi. Iniziamo dalla Germania. Spiega il professor Massimo Galli a capo del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano: “Vi è una buona certezza che il virus isolato in Germania sia arrivato prima in Europa rispetto a quello che abbiamo trovato noi”.

Proviamo a capire. Mercoledì il gruppo di ricerca dell’Università Statale di Milano guidato da Galli comunica di aver trovato importanti affinità tra le sequenze del virus identificato nel Lodigiano e quelle messe in rete dai ricercatori tedeschi. Oltre a ciò viene spiegato che affinità si sono riscontrate anche in un ceppo finlandese e in alcuni dell’America latina. Tutti rappresentano un unico cluster. Ieri una lettera di medici tedeschi pubblicata sul New England Journal of Medicine rileva che in Baviera è stato individuato il primo paziente colpito da SarsCov2, il virus che produce la malattia denominata Covid-19. La notizia è di grande rilevanza perché la positività di un uomo tedesco di 33 anni risale al 28 gennaio scorso, una data che rischia di restare nella storia e che viene prima del 20 febbraio quando a Codogno si certifica il primo paziente italiano. L’uomo tedesco pochi giorni prima, tra il 21 e il 22 gennaio, partecipa a un meeting organizzato dalla sua azienda. Presente anche un donna di Shanghai che si rivelerà il paziente indice. È lei, secondo i ricercatori, a contagiare l’uomo. In quel momento la donna non ha sintomi, li mostrerà sull’aereo che rientra in Cina. Il 33enne nei giorni precedenti ha febbre e tosse. Contagerà altri tre colleghi. Il 28 si sottopone all’esame ma non ha più sintomi e nonostante questo risulterà positivo. Dal contagio all’esame passano pochi giorni e questa è stata la grande fortuna della Germania.
In Italia, invece, il virus ha circolato sotto traccia per diverse settimane. La vicenda tedesca aggiunge un dato: il virus si trasmette anche se è solo in fase di incubazione (la donna di Shanghai) e resiste durante la convalescenza (l’uomo tedesco). Ma ciò che conta soprattutto sono le affinità elettive tra il ceppo della nostra zona rossa e quello tedesco. Elemento decisivo per tracciare una mappa filogenetica che ci dica come si muove e come cambia SarsCov2. “Prima di tutto – spiega Galli – la sequenza isolata in Baviera è più vicina della nostra al nodo cinese che ha originato il virus”. Cosa che emerge anche dal grafico pubblicato sul sito Nextstrain gestito dal professor Trevor Bedford del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. Qui è rappresentato un grappolo di virus affini rispetto alla sequenza dei nucleotidi. Il braccio principale arriva da Wuhan, per poi dividersi subito in quello tedesco, a pioggia gli altri con date consequenziali. Il 28 gennaio in Germania, il 20 febbraio in Italia, il 25 febbraio in Finlandia, ancora in Germania e in Brasile dove un 61enne di San Paolo risulterà positivo dopo essere transitato nella nostra zona rossa. “Tutte queste sequenze – dice Galli – fanno cluster con le nostre italiane. Tra il virus isolato in Germania e quello della zona rossa vi è uno strettissimo rapporto di parentela, ma al momento non possiamo dire se il focolaio della zona rossa sia stato prodotto da quello tedesco, potrebbe esserlo ma allo stato non sappiamo in che modo”. Altro elemento in comune con l’Italia è la città di Shanghai. Da qui, il 21 gennaio, era rientrato il presunto paziente zero, poi risultato negativo al Covid-19. “Un dato colpisce – spiega la professoressa Maria Rita Gismondo che al Sacco dirige il laboratorio di mircobiologia, virologia e bioemergenze – se il virus è stato isolato il 28 febbraio come mai i tedeschi non lo hanno comunicato prima di ieri?”. Il focolaio in Baviera aggiorna la mappa filogenetica. “Quella italiana – spiega Gismondo – è ormai pronta”. A breve sapremo come il virus si è propagato da Codogno. Di certo risulta un collegamento epidemiologico e non più solo migratorio tra i focolai di Codogno e di Vo’ Euganeo. “Le ricerche – conclude la professoressa Gismondo – ci diranno se, come spiega uno studio americano, anche noi siamo in presenza di un virus sdoppiato in uno più lieve e in un altro più aggressivo, particolare che potrebbe essere rivelato dal fatto che oggi la malattia si divide in percorsi lievi e in altri molto gravi”.

https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/posts/3163871413623019?__tn__=K-R0.g

sabato 26 marzo 2016

Alla sbarra vigilessa "annulla multe". - Martino Villosio



"Dimenticati" nel cassetto i ricorsi del figlio e degli amici Decorsi 60 giorni la sanzione veniva automaticamente annullata.

Avrebbe fatto annullare decine di multe, «dimenticando» nel cassetto i ricorsi degli automobilisti senza trasmetterli alla prefettura come previsto dalla legge e facendo in questo modo decadere le sanzioni. 
Una distrazione sospetta, quella imputata a una vigilessa romana, visto che tra i «graziati», secondo la procura, ci sarebbe anche il figlio della donna oltre ad una pattuglia di suoi conoscenti. L’ultimo agguato al fegato dell’automobilista capitolino medio senza santi in paradiso, da tempo avvezzo a trasalire ed a sgranare il rosario ad ogni visita del postino dopo aver inondato più volte al mese di calde lacrime il parabrezza "battezzato" da vigili e ausiliari del traffico, si è consumato ieri in un’aula di piazzale Clodio. A processo davanti tribunale collegiale, accusata di abuso d’ufficio continuato, c’era una donna di 52 anni, istruttore di Polizia Municipale presso il XIII Gruppo Aurelio. 
Secondo quanto ricostruito nel capo di imputazione, nello svolgimento delle mansioni di responsabile dell’attività istruttoria delle pratiche d’ufficio svolte dal Reparto Elaborazione Sanzionatorio, avrebbe omesso di trasmettere al prefetto di Roma gli atti relativi a 29 ricorsi contro multe comminate tra il 2011 e il 2012. In questo modo avrebbe procurato intenzionalmente agli autori delle violazioni un «ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nel mancato pagamento della sanzione amministrativa in assenza di qualsivoglia valutazione sulla fondatezza dell’accertamento». Il tutto «in violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e trasparenza incombenti sul pubblico ufficiale».
Il Codice della Strada infatti, all’articolo 203, prevede che il responsabile del comando cui appartiene l’organo «accertatore» trasmetta al prefetto gli atti del ricorso ricevuto contro un verbale di multa entro 60 giorni dal deposito. Se questo termine perentorio non viene rispettato il ricorso, secondo la legge, è da considerarsi automaticamente accolto. Nel caso specifico, come detto, i ricorsi degli automobilisti non sarebbero neppure stati inviati in prefettura: una versione aggiornata dell’antica prassi del «verbale stracciato», italianissima cortesia riservata all’amico o al parente ormai divenuta impraticabile e facile da smascherare negli uffici pubblici.
Ieri in aula, davanti al pm Francesco Scavo, hanno sfilato come testimoni alcuni colleghi della vigilessa a processo. È stato proprio il pm a sottolineare come, nella lista dei ricorsi che sarebbero stati nascosti, ce ne sia anche uno relativo ad una multa presa dal figlio dell’imputata ed altri riferiti a sanzioni elevate a carico di alcuni conoscenti della donna. In base a quanto ricostruito ieri in aula, la vigilessa sarebbe stata smascherata per puro caso dagli stessi colleghi del suo reparto ad ottobre 2013. Un giorno in cui lei era assente dal lavoro, la procura di Roma chiamò nel suo ufficio per chiedere urgentemente la pratica di un accertamento demaniale. Un collega avrebbe allora contattato la donna al telefono, per sapere dove potesse trovarsi il fascicolo che stava seguendo proprio lei. La signora avrebbe risposto di guardare dappertutto, anche nella vaschetta con le cartelle di sua competenza sistemata - insieme a quelle degli altri vigili dell’ufficio - sopra una mensola. Proprio lì il suo collega avrebbe rinvenuto una busta con la scritta «ricorsi 2012»: all’interno c’erano le multe ormai da tempo scadute e mai trasmesse al prefetto. «Sono cose mie», avrebbe replicato la donna alla richiesta di chiarimenti sul contenuto del plico come ha raccontato ieri in aula il pubblico ufficiale autore della scoperta. Da quella risposta evasiva sarebbe quindi partita l’inchiesta coordinata proprio dall’ex comandante del XIII Gruppo Aurelio Davide Orlandi, anche lui ascoltato ieri dal pm Scavo in qualità di testimone di polizia giudiziaria.