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domenica 3 novembre 2019

Sacrifici umani nel mondo dei Maya: nuove scoperte dall'archeologia. - Nadia Vitali

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Accanto ad una piramide di Chichén Itzà, celebre sito Maya, sono stati ritrovati alcuni scheletri in una voragine: si tratta, probabilmente, dei resti di sacrifici umani.

Studi archeologici e storiografici hanno spesso sottolineato come presso le popolazioni precolombiane, in particolare quelle mesoamericane e sudamericane, fosse uso compiere dei sacrifici umani, per lo più di bambini: le ragioni ideologiche e religiose che spingevano queste genti verso un così macabro rituale non sono mai state chiarite del tutto, ma, verosimilmente, si suppone che lo scopo fosse quello di ingraziarsi il favore degli dei nei momenti di normalità come in quelli di difficoltà che, si immagina, un popolo la cui economia si basava principalmente sull'agricoltura, poteva attraversare.
La cultura Maya, che fiorì in un arco di tempo che oscilla, a seconda delle varie opinioni, tra il 1800 ed il 1000 a. C. nel Sud della penisola dello Yucatan tra Guatemala, Belize, El Salvador ed Honduras, non faceva eccezione su questa usanza: testimonianze artistiche come stele o vasi, ritraggono giovani fanciulli nell'atto di essere sacrificati. Le circostanze durante le quali questo rito aveva luogo dovevano essere particolari: per lo più si è ipotizzato che l'insediarsi di un nuovo sovrano oppure l'inizio del calendario, fossero date significative durante le quali si operava la terribile asportazione del cuore dai toraci di ragazzi o bambini.
L'ultimo ritrovamento che ci parla di questo antico popolo scomparso intorno al 900 d.C. per circostanze che, inevitabilmente, mai del tutto saranno chiarite, è avvenuto in un cenote, sorta di voragine molto profonda che contiene acqua dolce, caratteristica del Messico: i cenotes erano probabilmente considerati dai Maya dei varchi della Terra grazie ai quali umano e divino potevano entrare in contatto, come ha sottolineato Guillermo Anda, docente della Universidad Autonoma de Yucatàn, che ha diretto le ricerche durante le quali altre 33 grotte sono stati esplorate.

CenoteSagrado__Chichen_Itza_Messico

All'interno del cenote chiamato Holtun, che si trova nel sito archeologico, patrimonio dell'UNESCO, di Chichén Itzà, nei pressi del celebre tempio a gradoni consacrato alla divinità Kukulkàn, sono stati ritrovati i resti di sacrifici umani tributati al dio della pioggia Chaak: con tutta probabilità, all'epoca in cui risalgono questi rituali, dopo l'850 d. C., il livello dell'acqua nella grotta doveva essere più basso; circa venti metri sotto la superficie, infatti, un passaggio orizzontale nella parete della voragine celava questi segreti, il che fa pensare che, al tempo, l'acqua lì non arrivasse. Il sacrificio al dio, presumibilmente, doveva servire per scongiurare la siccità che, stando a quanto sostiene Anda, avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella scomparsa della civiltà Maya.

Chichen_Castillo

Nella grotta colma d'acqua sono stati ritrovati i resti di sei individui: quattro di questi erano adulti ma due bambini. Accanto ad essi vasi, perline, conchiglie, coltelli, ossa di animali quali cani e cervi: oggetti certamente connessi al terribile rituale svoltosi in quel luogo probabilmente reputato ideale per comunicare con il divino, forse offerte per lo stesso dio. Tracce di carbonella hanno fatto pensare ad un fuoco che avrebbe accompagnato il compimento delle operazioni; l'analisi dei resti ha consentito anche di verificare che, sebbene si trattasse di prigionieri di guerra -di norma questi erano le vittime immolate- essi non risultavano essere denutriti.
Non è la prima volta che scoperte del genere squarciano le nebbie del tempo su scenari tenebrosi e così lontani da noi: ma lo stupore per questa pratica così atroce resta invariato ogni volta che ci si imbatte in ritrovamenti che fanno luce su questa tipologia di comportamento rituale. Incomprensibile e tremendamente diverso, eppure frutto di uomini come noi. (fonte Nationalgeographic)

https://scienze.fanpage.it/sacrifici-umani-nel-mondo-dei-maya-nuove-scoperte-dall-archeologia/

venerdì 9 febbraio 2018

Ovociti umani nati in provetta pronti per la fecondazione. - Francesca Cerati

(Afp)

Per la prima volta ovociti umani sono stati coltivati in laboratorio dal primissimo stadio fino a essere pronti per la fecondazione. Un traguardo importante per una tecnica che fino a questo momento aveva avuto un’alta percentuale di insuccesso, nel senso che gli ovociti non arrivavano a maturazione.
Pubblicata sulla rivista Molecular Human Reproduction, la ricerca è stata condotta all'Università di Edimburgo e costituisce un grande passo in avanti verso possibili cure sia per la fertilità, ad esempio per le donne malate di cancro che vogliono salvaguardare la possibilità di avere figli, sia per la medicina rigenerativa.
Un risultato che è stato preceduto da altri studi importanti, come quello del team giapponese di Katsuhiko Hayashi della Kyushu University, che nel 2016 è riuscito per la prima volta a far crescere in laboratorio cellule uovo fertili di topo partendo da cellule staminali. Le uova hanno poi dato origine a cuccioli dopo essere state fecondate e impiantate in roditrici adottive. Il metodo - che produceva uova difettose e aveva una percentuale di successo inferiore all'1% - è stato decisivo per identificare i geni chiave coinvolti nello sviluppo e nella maturazione dell'uovo.
«Tuttavia, qualsiasi applicazione alle cellule umane è molto lontana» aveva commentato lo stesso Hayashi, a cui la prestigiosa rivista scientifica Nature aveva dato ampio risalto.
Invece, a soli due anni di distanza, l’Università di Edimburgo, che da anni porta avanti questo tipo di ricerca in collaborazione con l’Harvard Medical School di Boston, ha raggiunto l’obiettivo.
Un risultato «interessante e bello», reso possibile dalla lunga ricerca che ha portato a trovare il mix ideale di sostanze utili per far maturare gli ovociti: così il direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'università di Pavia, Carlo Alberto Redi, ha commentato l'esperimento che per la prima volta ha dimostrato la possibilità di coltivate in laboratorio ovociti umani.
«Adesso si aprono molte opportunità, che vanno dal laboratorio al letto del paziente», ha detto pensando alle donne infertili o che soffrono di menopausa precoce, o ancora alle donne colpite da un tumore che intendono preservare la fertilità dopo avere affrontato la chemioterapia, o ancora alle donne che decidono di posticipare il momento in cui avere figli.
Importanti, ha proseguito Redi, anche le ricadute nel campo della medicina riproduttiva e della ricerca. «Diventa possibile, ad esempio, ottenere in laboratorio grandi quantità di ovociti da utilizzare nella ricerca, cosa che attualmente pone seri problemi etici a causa delle dolorose stimolazioni cui debbono sottoporsi le donne o dell'eventuale commercio di ovociti».
Per Redi è particolarmente interessante che i ricercatori guidati dall'università di Edimburgo abbiamo trovato le condizioni ideali per il terreno di coltura capace di far sviluppare gli ovociti: «Una sorta di terreno nutriente per far crescere frammenti prelevati dalla parte più superficiale dell'ovaio. È ancora difficile dire se questi possano essere follicoli ovarici primordiali oppure cellule staminali perché in proposito c'è ancora grande disparità di vedute nel mondo della ricerca. Quello che è certo è che il terreno di coltura per ottenere gli ovociti umani funziona ed è probabile, ha aggiunto, che le agenzie regolatorie vorranno avere dettagli in modo da verificare eventuali problemi».