venerdì 3 dicembre 2010

I Gronchi rosa di Maroni.


di Saverio Lodato - 24 novembre 2010


Ministro Maroni, saremo sinceri. Ci aspettavamo che parlasse di Vittorio Mangano, e non lo ha fatto. Ci aspettavamo che pronunciasse il nome di Marcello Dell’Utri, ma se ne è guardato bene. Ci aspettavamo che dimostrasse coraggio politico, spendendosi in un giudizio su Cosentino e la «banda Campana» del Pdl, ma si è tenuto assai alla larga. Doveva evocare, anche en passant, perché chi vuole intendere intenda, il binomio mafia-politica. Macché. Niente.

Niente di niente. E ora cosa vuole sentirsi dire? Chegliele ha cantate chiare? Che ha ristabilito di fronte a milioni di sudditi l’autorità del «suo» ministero degli interni? Insomma, vuol sapere se ci è piaciuto il suo «presepe»? No, non ci è piaciuto.
Si va a «Vieni via con me» per leggere elenchi di valori, di idealità.
Questo lo hanno capito tutti gli italiani. Lei ha fatto di tutto per andare a leggere un elenco di «atti dovuti», un elenco di «quote millesimali», come quelle che il ragioniere mette insieme, e sommando le quali, si ottiene l’identità di un condominio.
Ecco, se ci consente la semplificazione: sommando gli arresti che Lei ha puntigliosamente ricordato, sottraendoli da quelli che devono essere ancora eseguiti, e dividendo per il numero degli abitanti italiani, avremo l'identità di quel gigantesco condominio criminale rappresentato dalle Mafie nel nostro Paese. Macchinoso come approccio al fenomeno, non crede?
Così ci siamo convinti che ad animarla sia più la passione del «collezionista » che quella del politico riformatore.
Le mancano ancora un paio di «Gronchi rosa» (come Matteo Messina Denaro e Michele Zagaria), ma ci ha informati che presto faranno parte della collezione. Bene. Siamo con Lei. Ma un’ultima osservazione: non ha mai citato il governo del quale fa parte. È una stranezza del suo «presepe» che non ci è sfuggita. L’unica omissione che abbiamo apprezzato, capendo perfettamente da quale imbarazzo era dettata.



Verdini: "Le prerogative di Napolitano? Politicamente ce ne freghiamo"




ultimo aggiornamento: 03 dicembre, ore 21:34

Roma - (Adnkronos) - Il coordinatore del Pdl replica alla nota del Quirinale: "Sappiamo benissimo, ma non ci piace per niente che il capo dello Stato possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni".

Roma, 3 dic. (Adnkronos) - Il capo dello Stato, in caso di crisi di Governo, ha le sue prerogative, ma anche i partiti hanno le loro. Lo ha detto il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, in un passaggio del suo intervento all'assemblea regionale del Pdl a Prato. ''In caso di caduta del governo, il Capo dello Stato ha le sue prerogative - ha affermato Verdini -. Lo sappiamo benissimo che funziona cosi', cio' che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, e' che il capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. Su questo si innesca una polemica perche' noi andiamo a toccare le prerogative del Capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha, ma ce ne freghiamo, cioe' politicamente riteniamo che non possa accadere questo'', perche' ''anche i partiti hanno le loro prerogative, cioe' mediare tra corpo elettorale e istituzioni''.

Verdini ha ricordato che ''dal 1994, da quando c'e' questo sistema, nessun Capo dello Stato si e' mai sognato di affidare il governo a qualcuno di diverso da chi aveva vinto le elezioni, fosse questi Prodi o Berlusconi. L'incarico lo ha dato a chi le elezioni le ha vinte: voglio vedere, come fa se cade il governo a dare l'incarico a chi le elzioni le ha perse?'', ha concluso il coordinatore nazionale del Pdl.




Rapporti Stato-Mafia, l’ex capo della Polizia De Gennaro querela Massimo Ciancimino.

Il figlio dell'ex sindaco di Palermo sulle stragi del 1992 ha indicato il nome dell'ex capo della polizia come personaggio "molto vicino" o "dell'ambiente" del "signor Franco-Carlo

“Ho dato incarico ai miei legali di sporgere formale denuncia di calunnia contro il Ciancimino“. Lo afferma, in una nota, il prefetto Gianni De Gennaro, a proposito delle dichiarazioni che avrebbe fatto Massimo Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco di Palermo che sta collaborando con i magistrati di Palermo e Caltanissetta nelle indagini sulla presunta trattativa fra Stato e mafia e sulle stragi del 1992 ha indicato il nome dell’ex capo della polizia come personaggio “molto vicino” o “dell’ambiente” del “signor Franco-Carlo”. De Gennaro sottolinea ancora: “Non mi lascero’ intimidire da quest’ennesimo attacco mafioso, così come non mi hanno mai fermato e intimidito i ripetuti attentati alla mia vita”.

Massimo Ciancimino sta raccontando ai magistrati i retroscena della trattativa tra Stato e mafia. Sarebbe stato proprio De Gennaro ad avallare il patto tra Cosa nostra e le istituzioni. Per anni, avrebbe protetto e garantito l’ex sindaco corleonese. Interrogato dai magistrati di Caltanissetta per specificare le sue affermazioni, rese di fronte a ufficiali di polizia giudiziaria, il superteste delle inchieste palermitane e nissene ha però fatto retromarcia. CIncimino attribuisce al padre, morto nel novembre 2002, informazioni, giudizi e valutazioni su De Gennaro. Punti di vista dell’ex politico Dc, insomma, da cui Ciancimino jr ha detto di prendere le distanze.

Nonostante il figlio di don Vito abbia sostenuto di essere stato equivocato e abbia precisato di avere saputo dal padre soltanto che De Gennaro sarebbe stato vicino al più anziano 007, i sostituti che lo interrogavano lo hanno incalzato sulla identità del signor Franco, a lungo da lui taciuta. Le risposte non sarebbero apparse convincenti e potrebbero ora costare a Ciancimino un’indagine per calunnia. I pm nisseni starebbero valutando l’ipotesi di iscriverlo nel registro degli indagati. La questione è stata al centro di una riunione congiunta tra le procure di Palermo, che pure indaga sulla trattativa e per cui Ciancimino è ormai un teste chiave in diverse inchieste, e Caltanissetta.

L’incontro tra i magistrati si è svolto alla Direzione Nazionale Antimafia. Secondo indiscrezioni, la dda palermitana avrebbe espresso perplessità sull’iscrizione di Ciancimino, sostenendo che si sarebbe limitato a riferire le parole del padre. Ciancimino, già condannato per il riciclaggio del tesoro dell’ex sindaco, è stato iscritto per concorso in associazione mafiosa, dai magistrati di Palermo mesi fa per il ruolo avuto nella trattativa. Lui stesso ha ammesso di avere, tra l’altro, fatto da ‘postino’ tra il padre e il boss Bernardo Provenzano.




Italia-Russia, Berlusconi incontra Medvedev e Putin.


Inizia a Sochi il VII vertice intergovernativo italo-russo. Incontri bilaterali tra i ministri degli interni, difesa e sviluppo economico

In occasione del VII vertice italo-russo a Soci, nei giorni della bufera delle rivelazioni di WikiLeaks, Berlusconi torna a incontrare Vladimir Putin, “il maschio dominante, alpha dog” come è stato chiamato il premier russo nei cablogrammi diretti a Washington. Oltre a Berlusconi e Frattini sulle montagne di Krasnaya Polyana (la località sciistica alle spalle di Sochi dove nel 2014 si disputeranno le olimpiadi invernali) si è traferito mezzo governo. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è ospite del presidente Dimitry Medvedev. Sul tavolo oltre i grandi dossier internazionali che saranno affrontati in un incontro bilaterale dal ministro degli Esteri Franco Frattini e il collega Serghei Lavrov, anche numerosi accordi economici tra società russe e italiana che vedono in prima fila aziende comeFinmeccanica e Poste Italiane. Ad aprire i lavori, l’incontro tra il ministro delle Attività produttivePaolo Romani e il ministro dell’Energia russo, Phmatko cui è seguito il colloquio con il responsabile delle comunicazioni di Mosca, Sciogolev, e quello con il ministro russo dell’Industria e commercio,Khristenko. Contemporaneamente, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è incontrato con il suo omologo Lavrov, mentre il responsabile dell’Interno, Roberto Maroni, ha avuto un bilaterale con il collega russo Nurgaliv. E ancora i bilaterali tra il responsabile della Difesa, Ignazio La Russa, con l’omologo moscovita Serdyukov, mentre il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, ha incontrato il direttore per il servizio del turismo russo Yarockin.

Incontro La Russa – Serdyukov: ”L’Italia darà vita a una joint venture per la fornitura di 2.500 blindati Lince (Iveco, gruppo Fiat,
ndr) da produrre in Russia al 50%”. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Ignazio La Russa al termine dell’incontro con il collega Anatoly Serdyukov, spiegando che l’accordo sarà definito nei prossimi giorni. La Russa ha chiarito che all’inizio del 2011 “una decina di Lince”, i blindati impiegati dal contingente italiano in Afghanistan, saranno dati in prova ai russi “affinché li possano testare”. Il ministro della Difesa ha chiarito di aver posto “posto dei paletti all’accordo, come ad esempio che siano commercializzabili solo nella Federazione russa”. La Russa ha anche spiegato che sono in corso trattative per fornire alle truppe russe “il blindato su ruote Centauro (prodotti da Oto Melara, gruppo Finmeccanica) armato di cannone (da 105 mm) e i Freccia”, che da qualche mese sono impegnati in Afghanistan dal contigente italiano. Ultimo aspetto affrontato nel colloquio, un accordo di scambio di addestramento: “Un gruppo di alpini verrà a fare addestramento in Russia e un nucleo di loro soldati verrà da noi”.

Accordo tra Poste Italiane e Russian Post: L’amministratore italiano di Poste Italiane, Massimo Sarmi, e il direttore generale di
Russian Post, Alexander Kiselev, hanno firmato alla presenza di Silvio Berlusconi e Dmitri Medvedev, un accordo commerciale quadro in base al quale il Gruppo Poste Italiane fornirà a Russian Post competenze e know how per la modernizzazione della rete dei 40 mila uffici postali, l’ottimizzazione della rete logistica e l’introduzione di servizi finanziari on line e da telefonia mobile. L’intesa è stata siglata in occasione del vertice bilaterale Italia-Russia in corso nella citta’ russa sulle rive del Mar Nero. “Questo accordo conferma l’intesa stabilita gia’ nel marzo scorso a Mosca e da’ il via alla fase operativa – ha commentato l’ad, Massimo Sarmi – Per Poste Italiane è un obiettivo particolarmente importante che suscita grande soddisfazione per la possibilità di contribuire al programma di ammodernamento della rete di uffici postali e dell’infrastruttura logistica di uno degli operatori postali più grandi del mondo, con la prospettiva di introdurre servizi finanziari, di pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale. “La cooperazione con Russian Post – ha poi sottolineato Sarmi – ci fa misurare con una realtà peculiare come quella russa e consolida il prestigio internazionale di Poste Italiane nel suo ruolo di partner strategico di Paesi europei e del bacino mediterraneo in forte fase di sviluppo economico”. L’accordo dispone la creazione di gruppi di lavoro che studieranno modalità, tecnologie e programmi di formazione per il personale da applicare nel Masterplan che indicherà le soluzioni strategiche per la modernizzazione complessiva del sistema logistico-postale russo e per il lancio graduale dei servizi innovativi Ict, finanziari, assicurativi e di E-commerce.

Sette nuove intese tra Italia e Russia: Nel corso del vertice italo- russo sono stati firmati sette nuove intese. Sette accordi che spaziano dalla difesa al settore dell’energia da quello bancario a quello postale e a sostegno delle piccole e medie imprese, all’intesa per la riammissione ad un partenariato bilaterale per la modernizzazione. Questi i contenuti delle intese siglate oggi: un accordo relativo al transito per via ferroviaria nella Federazione Russa di materiale e personale militare italiano diretto dell’Afghanistan; un protocollo di attuazione sulle modalità di attuazione dell’Accordo di riammissione tra la Comunità Europea e la Federazione Russa del 25 maggio 2006; una dichiarazione congiunta tra il ministro degli Affari Esteri ed il vice-presidente del governo e ministro delle finanze della Federazione Russa per la realizzazione del partenariato bilaterale per la modernizzazione; un accordo per la semplificazione delle norme di ingresso, soggiorno e uscita dei membri degli equipaggi di velivoli di compagnie aeree della Repubblica Italiana e della Federazione Russa; un’intesa di collaborazione nell’ambito dello sviluppo delle piccole e medie imprese tra il gruppo bancario italiano “UBI Banca” e la “Banca per lo sviluppo e per l’attività economica estera (Vneshekonombank); un accordo-quadro sulla collaborazione postale italo-russa (Poste Italiane e Elsag Datamat del Gruppo Finmeccanica); infine un memorandum di intenti sulla collaborazione nel campo dell’ energia elettrica tra Enel e la società per azioni Inter Rao.

Al termine dell’incontro si terrà una conferenza stampa congiunta tra Silvio Berlusconi e il presidente russo Dmitri Medvedev. Il presidente del Consiglio non si sottrarrà alle domande dei giornalisti sulla situazione politica italiana. Anzi, è lo stesso premier ad annunciare si prenderà un po’ di tempo per fare una conferenza stampa tutta dedicata all’Italia. Poco prima di dare il via al bilaterale italo-russo a Sochi, Berlusconi ha infatti annunciato, rivolgendosi all’ospite di casa e ai giornalisti italiani: “Faremo una conferenza stampa con il presidente Medvedev, poi gli chiederò un po’ di tempo, un quarto d’ora, per fare una conferenza stampa con i giornalisti italiani sui problemi interni italiani”. Il presidente russo, con i suoi giornalisti, invece scherza: “State tranquilli, io non faccio una conferenza stampa per i giornalisti russi che sono liberi di fare e andare dove vogliono”.



Castelli di paglia: “Gamma? Sembro io”


Un libro sul leghista "scelto" dalla 'ndrangheta. Il viceministro che fu condannato a rimborsare 33.100 euro per una consulenza "irrazionale e illegittima", dice: "Non c'entro". Retromarcia di Libero: prima titola contro Saviano, poi due suoi giornalisti confermano le sue tesi

Saviano ha rotto i Maroni”, titolava Libero appena tre settimane fa riportando le dichiarazioni dell’autore di Gomorra, colpevole di aver denunciato che “la ‘ndrangheta al nord interloquisce con la Lega”.

Adesso due giornalisti dello stesso quotidiano pubblicano un libro in cui, attraverso la testimonianza del pentito Giuseppe Di Bella, ricostruiscono l’ascesa al potere della criminalità organizzata in Lombardia. E raccontano come proprio la ‘ndrangheta nel 1990 abbia scelto i cavalli su cui scommettere tra gli emergenti politici del Carroccio, portandoli fino a “importanti incarichi di Governo”, scrivono gli autori di
Metastasi Claudio Antonelli e Gianluigi Nuzzi. Quest’ultimo ieri ha anticipato le critiche: “Non è colpa mia né di Liberose al Nord c’è la malavita”. Spiegando che la differenza è che “Metastasi è un’indagine compiuta in un anno di lavoro” mentre “Saviano ha sigillato un assioma televisivo”.

Sempre di fango si tratta, secondo gli esponenti del Carroccio. In particolare per il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli e Stefano Galli, capogruppo in regione Lombardia: “Tutte fandonie”.
I due si sono sentiti tirati in ballo: sono entrambi nati e politicamente cresciuti a Lecco. La città in cui, secondo quanto ricostruito nel libro, nel 1990 gli uomini del clan di Franco Coco Trovato scelsero un anonimo uomo dell’emergente e ancora sconosciuto Carroccio trasformandolo, negli anni e a sberle di voti, in un politico di rango governativo. “Coco Trovato – ricorda Di Bella – aveva scelto il suo cavallo: è Gamma. Lo dice a tutti. Votare Lega, votare Gamma”. Gli autori di Metastasi nascondono il nome del politico con questo pseudonimo: ‘Gamma’, “nome in codice di soggetto che potrebbe essere sottoposto a indagini – scrivono gli autori – Gamma è una figura che ha ricoperto importanti incarichi di governo”. Non a caso la prima copia del libro è stata consegnata al procuratore Giancarlo Capaldo, capo della Procura di Roma, che ieri ha annunciato l’apertura di un fascicolo.

Se il racconto troverà riscontri, la Lega celodurista della caccia al “terrone mafioso” ne uscirebbe con le ossa rotte. In particolare Castelli. Che da anni racconta la sua città come una zona sana. “Nel 1993 il Comune sconfisse la famiglia Trovato”, ha detto ieri e, intervistato da Enrico Mentana al tg La7, ha invitato Nuzzi “a fare il nome di questo politico”, riconoscendo che “l’identikit si adatta perfettamente a me”. E gli anni coincidono: nel 1990 alle regionali la Lega registra il primo boom (18,9%) e nel 1992 Castelli è eletto per la prima volta alla Camera. “Ma io con Coco Trovato non ho mai parlato”. Nel 2006 “ho ricevuto una lettera con 29 proiettili” ha ricordato, sottolineando che agli amici si inviano altri messaggi. E di amici, l’ingegnere di Lecco, ne sa qualcosa.

Le consulenze a tempo pieno
Da ministro della Giustizia nel secondo governo Berlusconi distribuì talmente tante consulenze, ritenute di dubbia utilità, da finire indagato da procura e Corte dei Conti accusato di un danno erariali di circa un milione di euro. Secondo il procuratore Guido Patti, il ministro Castelli avrebbe creato “la figura del consulente personale a tempo pieno”.
Il Senato e il Tribunale dei ministri negarono l’autorizzazione a procedere, la Corte dei Conti, nell’aprile 2009, lo ha condannato al rimborso di 33.100 euro a titolo di risarcimento erariale, definendo “irrazionale e illegittima” una delle consulenze: quella affidata alla società Global Brain. Società di Alberto Uva, lo stesso finito pochi giorni fa nel mirino della procura milanese per corruzione nella vicenda Teleospedale.

Mazzette in salsa lombarda
Una storia di mazzette lombarde in salsa leghista-ciellina, denunciata da Galli, capogruppo del Carroccio in regione. A lui, Uva ha offerto una tangente da 15mila euro in vista di una gara d’appalto per l’assegnazione della gestione del sistema tv da installare negli ospedali lombardi. Galli si è rivolto prima ai magistrati, poi al
Corriere della Sera: “Io certe persone le denuncio, altri danno loro le consulenze”.
Anche Giuseppe Magni, amico e braccio destro di Castelli al ministero, è finito indagati dalla procura di Roma: è stato filmato di nascosto negli uffici dell’imprenditore romano Angelo Capriotti a parlare di appalti ed “esigenze” che, secondo i pm, altro non erano che tangenti.

È poi toccato ad un altro uomo di fiducia di Castelli: l’avvocato Antonello Martinez sorpreso, rivelò Marco Lillo su
L’Espresso, a chiedere soldi agli imprenditori del settore carcerario in cambio di una spintarella per gli appalti. In ballo c’erano i 25 nuovi carceri che il Guardasigilli voleva costruire. Tutte vicende legate al periodo in cui è stato ministro, venti anni dopo quel 1990 quando la ‘ndrangheta scelse di sostenere Gamma e portarlo fino al governo.

Da
Il Fatto Quotidiano del 3 dicembre 2010


LEGHISTI CONTRO LEGHISTI -

LEGHISTI CONTRO LEGHISTI


di Gianni Barbacetto

Qui al Nord è scoppiato lo strano e imbarazzante caso dei leghisti che denunciano leghisti. “Noi siamo il partito degli onesti”, aveva risposto il ministro dell'Interno Roberto Maroni a Roberto Saviano, che si era permesso di ricordare in diretta tv che un leghista pavese era in contatto con uomini della 'ndrangheta.

Ora però un altro esponente del Carroccio, il capogruppo nel consiglio regionale della Lombardia Stefano Galli, ha scoperchiato una brutta storia in cui, se lui è il “leghista buono”, altri rivestono gli scomodi panni del “leghista cattivo”.

La vicenda, già raccontata su queste pagine, è quella diTeleospedale: un sistema tv da installare negli atrii, nei corridoi, nelle sale d'aspetto degli ospedali lombardi. Notizie, programmi, informazione e spot pubblicitari, che pagano tutto. Nei giorni scorsi sono scattate le perquisizioni che hanno svelato che su Teleospedale è in corso un'inchiesta per corruzione e turbativa d'asta. Sì, perché qualcuno era disposto a pagare, pur di vincere la gara (di cui abbiamo raccontato le stranezze proprio in questa rubrica, già nel novembre 2009). Lo ha dichiarato a polizia e magistrati lo stesso Galli, fiero di essere un leghista onesto, che vive del suo stipendio, “pagato con i soldi delle tasse dei cittadini”. Gli avevano offerto 15 mila euro, tanto per cominciare. E lui, invece di metterseli in tasca, era corso a sporgere denuncia.

Ma chi sono i “cattivi”, in questa storia di corruzione tentata (nel suo caso) e forse riuscita (in altri casi)? Il conte Alberto Uva, l'imprenditore che ha offerto a Galli i 15 mila verdoni, forse non ha la tessera del Carroccio, ma di certo è interno al mondo leghista, visto che la sua Global Brain aveva ricevuto da Roberto Castelli, allora ministro della Giustizia, un incarico per stabilire l'efficienza e la produttività degli uffici giudiziari, per stilare cioè le cosiddette “pagelle ai magistrati”. Un incarico affidato senza gara e così fuori dalle procedure, che alla fine la Corte dei conti aveva condannato Castelli a risarcire all'erario 50 mila euro.

Se Uva da questa storia esce con una bella indagine per tentata corruzione e turbativa d'asta, anche l'ex ministro Castelli non ci fa una gran figura: “Io certe persone le denuncio, altri danno a loro le consulenze”, ha buttato lì Galli, intervistato da Luigi Ferrarella sul Corriere. Non occorre essere dei premi Nobel per capire che “altri” vuol dire nientemeno che Roberto Castelli.

Altro leghista dentro questa storia è Simone Rasetti, capo dell'ufficio stampa dell'assessore regionale lombardo alla Sanità, Luciano Bresciani (anch'egli del Carroccio). Uva, respinto da Galli, ci ha riprovato con Rasetti. Questi ha intascato i verdoni promessi? O ha resistito alla tentazione? Non lo sappiamo. Ma di certo non ha denunciato il diavolo tentatore, a differenza di Galli. Ora sarà il pubblico ministeroFabio De Pasquale a dipanare la matassa del caso giudiziario.

Dal punto di vista politico, però, è già fin d'ora chiaro che nel “partito degli onesti” di Maroni ci sono anche quelli che parlano con la 'ndrangheta, quelli che cedono alle tentazioni e quelli che, invece di denunciare i tentatori, li nominano consulenti ministeriali.


http://ilgiornalieri.blogspot.com/2010/12/leghisti-contro-leghisti.html



giovedì 2 dicembre 2010

Il pentito e la Lega, Castelli: “Basta fango”



In un libro sulla 'ndrangheta il ruolo di "Gamma", figura con importanti incarichi di governo

La Lega non sostiene la ’ndrangheta. È la‘ndrangheta che sostiene la Lega. O almeno alcuni dei suoi uomini di spicco. Stando ad alcune anticipazioni pubblicate ieri dal Corriere della Sera eLibero, nel libro Metastasi (edizioni Chiarelettere) il pentito Giuseppe Di Bella ricostruisce come, dal 1990, il clan di Franco Coco Trovato (ergastolano al 41 bis) a Lecco scelse di sostenere un dirigente del Carroccio portandolo, a colpi di voti, fino a importanti incarichi di governo. Un politico che nel libro viene chiamato “gamma”, per coprirne l’identità in vista di possibili indagini.

E il 1990 è l’anno in cui la Lega registra il suo primo boom in Lombardia: 1 milione 183 mila voti, il 18,9% delle preferenze alle regionali. Un anno chiave, dunque. Immediata la reazione di Roberto Castelli: “Di Bella è uno dei tanti mistificatori che purtroppo abbondano nel mondo dei pentiti”.

Il senatore del Carroccio ha deciso di intervenire in difesa del suo partito. “Leggo su alcuni quotidiani – ha scritto ieri a metà pomeriggio sul suo profilo Facebook e immediatamente ripreso dalle agenzie di stampa – che sarebbe saltato fuori il solito pentito che parla di un esponente leghista che avrebbe fatto accordi con il clan Coco Trovato a Lecco nel 1990. In quegli anni soltanto la Lega combatteva la mafia”, sostiene Castelli. “È troppo comodo lanciare accuse e insinuazioni a cui non si può ribattere, con l’evidente tentativo di fermare l’avanzata della Lega in Lombardia”, aggiunge. “Invito questo ‘signor pentito’ a fare nomi e cognomi. I riscontri diranno se ha detto la verità o se è uno dei tanti mistificatori che purtroppo abbondano nel mondo dei pentiti. Da un lato ci sono le affermazioni di un mafioso, dall’altro la storia della Lega che è sotto gli occhi di tutti”.

Castelli la realtà di Lecco la conosce fin troppo bene. Qui è nato nel 1946, qui è cresciuto politicamente nel Carroccio. Qui è stato eletto per la prima volta alla Camera nel 1992. E da allora non è mai uscito dai Palazzi, riconfermandosi a ogni elezione tra i più votati. E’ stato ministro della Giustizia nel secondo e terzo governo Berlusconi, oggi è viceministro ai trasporti e alle infrastrutture. Importanti incarichi di governo svolti sempre con la benedizione del “capo” Umberto Bossi. Tanto che il senatùr lo vuole insediare alla presidenza della Regione Lombardia, patria del Carroccio. Ma è anche il territorio in cui la ‘ndrangheta ha allungato le mani sui grandi affari, dove si è insidiata e insediata nella gestione delle estorsioni, dell’usura, del traffico di droga.

Una realtà che Di Bella fotografa nel libro con dovizia di particolari. Racconta dell’ascesa al potere di Coco Trovato. Ricostruisce almeno quattro omicidi irrisolti e racconta episodi ormai finiti nel dimenticatoio dei “casi stravaganti”. Come il tentativo di trafugare le ceneri di Gianni Versace la notte di San Silvestro. “La ‘ndrangheta – riporta il
Corriere della Sera – ci aveva dato un anticipo di 150 milioni di lire e ci aveva ordinato di rubare l’urna con le ceneri dello stilista”. La parte più rilevante del libro, stando alle anticipazioni, rimane quella dedicata ai rapporti con la politica. Con la Lega, di nuovo tirata in ballo. Con ancora gli echi della polemica scaturita dalle dichiarazioni di Roberto Saviano. Quella frase, “l’organizzazione mafiosa al nord interloquisce con la Lega”, che ha scaturito la reazione scomposta del ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Frase che il libro ripete, entrando nello specifico: città di Lecco, anno 1990, “gamma” grazie ai voti della ‘ndrangheta arriva a importanti incarichi di governo.