Perché proporre una modifica della Costituzione che sancisca il diritto di accedere a Internet? E’ davvero necessario muoversi in questa direzione? E’ una astuta operazione di marketing sollecitata da Wired? E’ una mossa inutile, poiché già le norme costituzionali vigenti comprendono questa ipotesi, come fa l’art. 21 parlando del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione? E’ una mossa inutile, perché già l’art. 53 del Codice delle comunicazioni elettroniche comprende il servizio universale? E’ una proposta riduttiva, considerando solo il digital divide? E’ una iniziativa pericolosa, perché mette le mani proprio su quella prima parte della Costituzione che si vuole difendere da ogni attacco?
Domande tutte legittime, e che aiutano a chiarire meglio il senso dell’iniziativa. Ricordo anzitutto che il tema è ormai al centro di una attenzione davvero planetaria. Diversi paesi hanno già dato riconosciuto il diritto di accedere a Internet come diritto fondamentale della persona con una varietà di strumenti - costituzioni (Estonia, Grecia, Ecuador), decisioni di organi costituzionali (Conseil Constitutionnel, Francia), legislazione ordinaria (Finlandia) -; il piano Obama contiene una significativa reinterpretazione del servizio universale; l’Unione europea e il Consiglio d’Europa si sono già espressi in questo senso; proprio in questo momento se ne discute intensamente in rete. Si potrebbe continuare, ma queste citazioni bastano per smentire la tesi che l’iniziativa italiana sia solo una operazione di facciata o di marketing. E’, invece, la via per connettere la discussione italiana con quella globale.
Il fatto, poi, che in Italia si possa già fare riferimento a norme costituzionali o ordinarie non è considerazione di per sè risolutiva. Al contrario, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a continue incursioni che considerano Internet come un territorio dove si possano mettere impunemente le mani, nella sostanza negando proprio che si tratti di materia già accompagnata da una adeguata copertura costituzionale. Se la proposta di un articolo aggiuntivo spingerà ad una reinterpretazione dell’art. 21 e ad una estensione della garanzia costituzionale, non sarà un risultato da poco.
Toccare la Costituzione? Bisogna intendersi. Quando si è modificato l’art. 51, per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini, nessuno ha manifestato preoccupazioni, perché in questo modo si sviluppava la logica propria della prima parte della Costituzione. Esattamente il contrario delle pericolose iniziative che vorrebbero cancellare il riferimento al lavoro dall’art. 1, liberare il mercato dall’obbligo di rispettare sicurezza, libertà, dignità, e simili regressioni culturali e civili. La proposta di un art. 21-bis, invece, va proprio nella direzione di ribadire e espandere i principi costituzionali riguardanti l’eguaglianza e la libera costruzione della personalità. Non a caso alcune espressioni vengono dritte dall’art. 3.
Non solo una proposta sul digital divide, dunque. Anzi, l’apertura verso un diritto ad Internet rafforza indirettamente, ma in modo evidente, il principio di neutralità della rete e la considerazione della conoscenza in rete come bene comune, al quale deve essere garantito l’accesso. Per questo è necessario affermare una responsabilità pubblica nel garantire quella che deve ormai essere considerata una precondizione della cittadinanza, dunque della stessa democrazia. E, in questo modo, si fa emergere anche l’inammissibilità di iniziative censorie.
Proprio per indirizzare la discussione pubblica in questa direzione è necessario mettere sul tavolo carte adeguate. Solo se cresce la consapevolezza che siamo di fronte ad un diritto fondamentale della persona è possibile contrastare le logiche securitarie e mercantili che restringono il diritto a Internet. I decreti Pisanu e Romani, la pretesa dell’Agicom di regolare in via amministrativa e restrittiva l’essenziale questione del diritto d’autore hanno a loro fondamento una cultura che ritiene che le materie legate a Internet non siano accompagnate da garanzie adeguate, smentendo così nei fatti la tesi che le norme già esistenti offrano tutte le necessarie tutele. Un dialogo tra le norme esistenti e una loro formale estensione al mondo della rete farebbe avanzare nel suo insieme tutto il fronte dei diritti.
Quel che serve, allora, è una modifica dell’agenda politica in questa fondamentale materia. La proposta di una innovazione costituzionale va in questa direzione. E non costituisce una rinuncia alla più generale prospettiva di un Internet Bill of Rights, di una Costituzione per Internet. Chi ha seguito questa discussione, chi ha acquisito la consapevolezza che Internet promuove una logica costituzionale nuova, sa che si è entrati in una dimensione dove si intrecciano soggetti, livelli e tempi diversi. La garanzia dei diritti in rete non nasce né da un solo luogo, né da una sola iniziativa. E’, e soprattutto sarà, l’esito di un processo continuo, forse ininterrotto, alimentato da molteplici attori, con modalità diverse anche se convergenti verso lo stesso obiettivo. Un modo per essere coerenti con la natura della rete, e esaltarne la ricchezza.
"Condividiamo la riflessione e l'iniziativa di Stefano Rodotà ed è per questo che a partire dalla giornata di oggi cominceremo una raccolta di firme sul nostro giornale on line a sostegno della proposta di integrazione dell'articolo 21 della Costituzione perchè siamo convinti che in un Paese tra l'altro inquinato dal conflitto di interesse la libertà della rete, alla pari di quella degli altri media deve essere un principio garantito costituzionalmente". Lo affermano Stefano Corradino e Giuseppe Giulietti, direttore e portavoce di Articolo21.
La libertà di stampa dopo wikileaks - di Stefano Corradino*
http://www.articolo21.org/2183/notizia/un-articolo21bis-per-internet-.html