sabato 4 dicembre 2010

Un Articolo21-bis per Internet. - di Stefano Rodotà.




Perché proporre una modifica della Costituzione che sancisca il diritto di accedere a Internet? E’ davvero necessario muoversi in questa direzione? E’ una astuta operazione di marketing sollecitata da Wired? E’ una mossa inutile, poiché già le norme costituzionali vigenti comprendono questa ipotesi, come fa l’art. 21 parlando del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione? E’ una mossa inutile, perché già l’art. 53 del Codice delle comunicazioni elettroniche comprende il servizio universale? E’ una proposta riduttiva, considerando solo il digital divide? E’ una iniziativa pericolosa, perché mette le mani proprio su quella prima parte della Costituzione che si vuole difendere da ogni attacco?

Domande tutte legittime, e che aiutano a chiarire meglio il senso dell’iniziativa. Ricordo anzitutto che il tema è ormai al centro di una attenzione davvero planetaria. Diversi paesi hanno già dato riconosciuto il diritto di accedere a Internet come diritto fondamentale della persona con una varietà di strumenti - costituzioni (Estonia, Grecia, Ecuador), decisioni di organi costituzionali (Conseil Constitutionnel, Francia), legislazione ordinaria (Finlandia) -; il piano Obama contiene una significativa reinterpretazione del servizio universale; l’Unione europea e il Consiglio d’Europa si sono già espressi in questo senso; proprio in questo momento se ne discute intensamente in rete. Si potrebbe continuare, ma queste citazioni bastano per smentire la tesi che l’iniziativa italiana sia solo una operazione di facciata o di marketing. E’, invece, la via per connettere la discussione italiana con quella globale.
Il fatto, poi, che in Italia si possa già fare riferimento a norme costituzionali o ordinarie non è considerazione di per sè risolutiva. Al contrario, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a continue incursioni che considerano Internet come un territorio dove si possano mettere impunemente le mani, nella sostanza negando proprio che si tratti di materia già accompagnata da una adeguata copertura costituzionale. Se la proposta di un articolo aggiuntivo spingerà ad una reinterpretazione dell’art. 21 e ad una estensione della garanzia costituzionale, non sarà un risultato da poco.
Toccare la Costituzione? Bisogna intendersi. Quando si è modificato l’art. 51, per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini, nessuno ha manifestato preoccupazioni, perché in questo modo si sviluppava la logica propria della prima parte della Costituzione. Esattamente il contrario delle pericolose iniziative che vorrebbero cancellare il riferimento al lavoro dall’art. 1, liberare il mercato dall’obbligo di rispettare sicurezza, libertà, dignità, e simili regressioni culturali e civili. La proposta di un art. 21-bis, invece, va proprio nella direzione di ribadire e espandere i principi costituzionali riguardanti l’eguaglianza e la libera costruzione della personalità. Non a caso alcune espressioni vengono dritte dall’art. 3.
Non solo una proposta sul digital divide, dunque. Anzi, l’apertura verso un diritto ad Internet rafforza indirettamente, ma in modo evidente, il principio di neutralità della rete e la considerazione della conoscenza in rete come bene comune, al quale deve essere garantito l’accesso. Per questo è necessario affermare una responsabilità pubblica nel garantire quella che deve ormai essere considerata una precondizione della cittadinanza, dunque della stessa democrazia. E, in questo modo, si fa emergere anche l’inammissibilità di iniziative censorie.
Proprio per indirizzare la discussione pubblica in questa direzione è necessario mettere sul tavolo carte adeguate. Solo se cresce la consapevolezza che siamo di fronte ad un diritto fondamentale della persona è possibile contrastare le logiche securitarie e mercantili che restringono il diritto a Internet. I decreti Pisanu e Romani, la pretesa dell’Agicom di regolare in via amministrativa e restrittiva l’essenziale questione del diritto d’autore hanno a loro fondamento una cultura che ritiene che le materie legate a Internet non siano accompagnate da garanzie adeguate, smentendo così nei fatti la tesi che le norme già esistenti offrano tutte le necessarie tutele. Un dialogo tra le norme esistenti e una loro formale estensione al mondo della rete farebbe avanzare nel suo insieme tutto il fronte dei diritti.
Quel che serve, allora, è una modifica dell’agenda politica in questa fondamentale materia. La proposta di una innovazione costituzionale va in questa direzione. E non costituisce una rinuncia alla più generale prospettiva di un Internet Bill of Rights, di una Costituzione per Internet. Chi ha seguito questa discussione, chi ha acquisito la consapevolezza che Internet promuove una logica costituzionale nuova, sa che si è entrati in una dimensione dove si intrecciano soggetti, livelli e tempi diversi. La garanzia dei diritti in rete non nasce né da un solo luogo, né da una sola iniziativa. E’, e soprattutto sarà, l’esito di un processo continuo, forse ininterrotto, alimentato da molteplici attori, con modalità diverse anche se convergenti verso lo stesso obiettivo. Un modo per essere coerenti con la natura della rete, e esaltarne la ricchezza.

"Condividiamo la riflessione e l'iniziativa di Stefano Rodotà ed è per questo che a partire dalla giornata di oggi cominceremo una raccolta di firme sul nostro giornale on line a sostegno della proposta di integrazione dell'articolo 21 della Costituzione perchè siamo convinti che in un Paese tra l'altro inquinato dal conflitto di interesse la libertà della rete, alla pari di quella degli altri media deve essere un principio garantito costituzionalmente". Lo affermano Stefano Corradino e Giuseppe Giulietti, direttore e portavoce di Articolo21.

La libertà di stampa dopo wikileaks - di Stefano Corradino*

http://www.articolo21.org/2183/notizia/un-articolo21bis-per-internet-.html


Governo, Verdini: “Delle prerogative del Capo dello Stato ce ne freghiamo”


Bocchino: "Confermato disprezzo del Pdl di ogni regola". Poi il coordinatore smentisce: "Intendevo politicamente, non volevo mancare di rispetto"

L’ex repubblicano Denis Verdini per rispondere al Capo dello Stato rispolvera il fascistissimo motto “Me ne frego”. Il coordinatore del Pdl, infatti, ha così ribattuto a Giorgio Napolitano che, dopo una giornata trascorsa ad assistere dal Colle a un botta e riposta a distanza tra Fini e Berlusconi sugli scenari del dopo 14 dicembre, si è visto costretto a intervenire: “La polemica non oscuri le prerogative del capo dello Stato”. E Verdini ha commentato: “Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo”. Mai prima d’ora la maggioranza aveva ribattutto con toni così duri al Quirinale. La settimana di sospensione dei lavori del Parlamento si annuncia carica di nervosismo e scontri frontali. Contro tutto e tutti, Napolitano compreso.

Verdini dunque ha solo aperto le danze. Dal palco di un comizio a favore del Governo a Prato è sbottato, fra gli applausi dei presenti: “Noi sappiamo che in caso di caduta del Governo il Capo dello Stato ha le sue prerogative”, ha detto. “Lo sappiamo benissimo che funziona così. Ciò che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, è che il Capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. E su questo si innesca una polemica perché noi andiamo a toccare le prerogative del capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative. Ricordate che dal 1994 da quando c’è questo sistema, nessun Capo dello Stato si è mai sognato di affidare il Governo a qualcuno di diverso da chi aveva vinto le elezioni, fosse questi Prodi o Berlusconi. L’incarico lo ha dato a chi le elezioni le ha vinte. Voglio vedere: come fa se cade il Governo a dare l’incarico a chi le elezioni le ha perse?”.

Napolitano si era visto costretto ad intervenire a seguito di alcune dichiarazioni di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, nel pomeriggio, ribattendo a Berlusconi che aveva detto che il terzo Polo non esiste, ha sottolineato che “governare non vuol dire comandare”, concludendo con una frase sibillina: “Il Capo dello Stato sa cosa fare”. Napolitano si è limitato a ricordare il rispetto per le prerogative che la Costituzione attribuisce al Colle, quindi rivolgendosi al leader di Fli più che al Governo. Ma Verdini è partito all’attacco. “Noi ce ne freghiamo”.

Immediate le reazioni. Per Italo Bocchino, capogruppo alla Camera di Fli, “la dichiarazione di Verdini conferma l’assoluto disprezzo del Pdl per ogni regola, ed è ancor più grave perchè è relativa alle prerogative che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato”. Aggiunge Silvano Moffa di Fli: “In un momento così delicato della vita politica del Paese, è assurdo che esponenti politici perdano il senso delle istituzioni dimenticando il ruolo fondamentale rappresentato dal Capo dello Stato, il quale non può essere esposto a offese gratuite, nè condizionato da interessi di parte”. Per Leoluca Orlando, portavoce dell’Italia dei Valori, “da Verdini arriva uno schiaffo alla Carta e un vocabolario nonché un atteggiamento di stampo fascista. Verdini – aggiunge – è l’emblema di questa classe politica arrogante e indegna: se ne vadano tutti a casa”.

Dal Partito Democratico arriva la nota del segretario, Pierluigi Bersani. “Le parole di Verdini sono vergognose e di una gravità inaudita. La smentita è peggio delle affermazioni precedenti. La squadra di Berlusconi sta perdendo la testa. L’Italia deve uscire al più presto da questa situazione”. Ed Enrico Letta ha aggiunto: “Il Pdl smentisca senza se e senza ma le parole di Verdini, che costituiscono una grave rottura dell’equilibrio istituzionale in un momento così delicato, e tenga presente che la situazione è ancora nei binari istituzionali solo grazie all’azione del presidente Napolitano. E che questa azione, sempre svolta nell’interesse del Paese, sarà determinante per la gestione della crisi che la testardaggine di Berlusconi renderà inevitabile dopo il 14 dicembre”. E la smentita è arrivata direttamente da Verdini.

La nota arriva dopo le 22. “Poiché assistiamo al solito gioco di strumentalizzare e sintetizzare fino all’estremo parole pronunciate all’interno di un lungo e articolato discorso, estrapolandone solo alcune fino al punto da distorcerne il senso, intendo chiarire quanto segue a beneficio dei giornalisti e di chi, come il solerte Bocchino, ha già cominciato a stracciarsi le vesti: non ho mai né pensato, né a maggior ragione detto che noi ce ne freghiamo delle prerogative del capo dello Stato”, scrive Denis Verdini. “Ho spiegato che ce ne ‘freghiamo politicamentè, nel senso che se la Costituzione riconosce al Presidente della Repubblica il diritto di seguire il percorso che ritiene più giusto, altrettanto la Carta suprema riconosce ai partiti, che nello specifico hanno il diritto di chiedere, anche a gran voce, di non escludere da un eventuale governo chi ha stravinto le elezioni. Ciò ho detto e ribadisco – conclude – senza mai aver avuto l’intenzione di mancare di rispetto al capo dello Stato nè di disconoscerne le sue prerogative”.



venerdì 3 dicembre 2010

I Gronchi rosa di Maroni.


di Saverio Lodato - 24 novembre 2010


Ministro Maroni, saremo sinceri. Ci aspettavamo che parlasse di Vittorio Mangano, e non lo ha fatto. Ci aspettavamo che pronunciasse il nome di Marcello Dell’Utri, ma se ne è guardato bene. Ci aspettavamo che dimostrasse coraggio politico, spendendosi in un giudizio su Cosentino e la «banda Campana» del Pdl, ma si è tenuto assai alla larga. Doveva evocare, anche en passant, perché chi vuole intendere intenda, il binomio mafia-politica. Macché. Niente.

Niente di niente. E ora cosa vuole sentirsi dire? Chegliele ha cantate chiare? Che ha ristabilito di fronte a milioni di sudditi l’autorità del «suo» ministero degli interni? Insomma, vuol sapere se ci è piaciuto il suo «presepe»? No, non ci è piaciuto.
Si va a «Vieni via con me» per leggere elenchi di valori, di idealità.
Questo lo hanno capito tutti gli italiani. Lei ha fatto di tutto per andare a leggere un elenco di «atti dovuti», un elenco di «quote millesimali», come quelle che il ragioniere mette insieme, e sommando le quali, si ottiene l’identità di un condominio.
Ecco, se ci consente la semplificazione: sommando gli arresti che Lei ha puntigliosamente ricordato, sottraendoli da quelli che devono essere ancora eseguiti, e dividendo per il numero degli abitanti italiani, avremo l'identità di quel gigantesco condominio criminale rappresentato dalle Mafie nel nostro Paese. Macchinoso come approccio al fenomeno, non crede?
Così ci siamo convinti che ad animarla sia più la passione del «collezionista » che quella del politico riformatore.
Le mancano ancora un paio di «Gronchi rosa» (come Matteo Messina Denaro e Michele Zagaria), ma ci ha informati che presto faranno parte della collezione. Bene. Siamo con Lei. Ma un’ultima osservazione: non ha mai citato il governo del quale fa parte. È una stranezza del suo «presepe» che non ci è sfuggita. L’unica omissione che abbiamo apprezzato, capendo perfettamente da quale imbarazzo era dettata.



Verdini: "Le prerogative di Napolitano? Politicamente ce ne freghiamo"




ultimo aggiornamento: 03 dicembre, ore 21:34

Roma - (Adnkronos) - Il coordinatore del Pdl replica alla nota del Quirinale: "Sappiamo benissimo, ma non ci piace per niente che il capo dello Stato possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni".

Roma, 3 dic. (Adnkronos) - Il capo dello Stato, in caso di crisi di Governo, ha le sue prerogative, ma anche i partiti hanno le loro. Lo ha detto il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, in un passaggio del suo intervento all'assemblea regionale del Pdl a Prato. ''In caso di caduta del governo, il Capo dello Stato ha le sue prerogative - ha affermato Verdini -. Lo sappiamo benissimo che funziona cosi', cio' che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, e' che il capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. Su questo si innesca una polemica perche' noi andiamo a toccare le prerogative del Capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha, ma ce ne freghiamo, cioe' politicamente riteniamo che non possa accadere questo'', perche' ''anche i partiti hanno le loro prerogative, cioe' mediare tra corpo elettorale e istituzioni''.

Verdini ha ricordato che ''dal 1994, da quando c'e' questo sistema, nessun Capo dello Stato si e' mai sognato di affidare il governo a qualcuno di diverso da chi aveva vinto le elezioni, fosse questi Prodi o Berlusconi. L'incarico lo ha dato a chi le elezioni le ha vinte: voglio vedere, come fa se cade il governo a dare l'incarico a chi le elzioni le ha perse?'', ha concluso il coordinatore nazionale del Pdl.




Rapporti Stato-Mafia, l’ex capo della Polizia De Gennaro querela Massimo Ciancimino.

Il figlio dell'ex sindaco di Palermo sulle stragi del 1992 ha indicato il nome dell'ex capo della polizia come personaggio "molto vicino" o "dell'ambiente" del "signor Franco-Carlo

“Ho dato incarico ai miei legali di sporgere formale denuncia di calunnia contro il Ciancimino“. Lo afferma, in una nota, il prefetto Gianni De Gennaro, a proposito delle dichiarazioni che avrebbe fatto Massimo Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco di Palermo che sta collaborando con i magistrati di Palermo e Caltanissetta nelle indagini sulla presunta trattativa fra Stato e mafia e sulle stragi del 1992 ha indicato il nome dell’ex capo della polizia come personaggio “molto vicino” o “dell’ambiente” del “signor Franco-Carlo”. De Gennaro sottolinea ancora: “Non mi lascero’ intimidire da quest’ennesimo attacco mafioso, così come non mi hanno mai fermato e intimidito i ripetuti attentati alla mia vita”.

Massimo Ciancimino sta raccontando ai magistrati i retroscena della trattativa tra Stato e mafia. Sarebbe stato proprio De Gennaro ad avallare il patto tra Cosa nostra e le istituzioni. Per anni, avrebbe protetto e garantito l’ex sindaco corleonese. Interrogato dai magistrati di Caltanissetta per specificare le sue affermazioni, rese di fronte a ufficiali di polizia giudiziaria, il superteste delle inchieste palermitane e nissene ha però fatto retromarcia. CIncimino attribuisce al padre, morto nel novembre 2002, informazioni, giudizi e valutazioni su De Gennaro. Punti di vista dell’ex politico Dc, insomma, da cui Ciancimino jr ha detto di prendere le distanze.

Nonostante il figlio di don Vito abbia sostenuto di essere stato equivocato e abbia precisato di avere saputo dal padre soltanto che De Gennaro sarebbe stato vicino al più anziano 007, i sostituti che lo interrogavano lo hanno incalzato sulla identità del signor Franco, a lungo da lui taciuta. Le risposte non sarebbero apparse convincenti e potrebbero ora costare a Ciancimino un’indagine per calunnia. I pm nisseni starebbero valutando l’ipotesi di iscriverlo nel registro degli indagati. La questione è stata al centro di una riunione congiunta tra le procure di Palermo, che pure indaga sulla trattativa e per cui Ciancimino è ormai un teste chiave in diverse inchieste, e Caltanissetta.

L’incontro tra i magistrati si è svolto alla Direzione Nazionale Antimafia. Secondo indiscrezioni, la dda palermitana avrebbe espresso perplessità sull’iscrizione di Ciancimino, sostenendo che si sarebbe limitato a riferire le parole del padre. Ciancimino, già condannato per il riciclaggio del tesoro dell’ex sindaco, è stato iscritto per concorso in associazione mafiosa, dai magistrati di Palermo mesi fa per il ruolo avuto nella trattativa. Lui stesso ha ammesso di avere, tra l’altro, fatto da ‘postino’ tra il padre e il boss Bernardo Provenzano.




Italia-Russia, Berlusconi incontra Medvedev e Putin.


Inizia a Sochi il VII vertice intergovernativo italo-russo. Incontri bilaterali tra i ministri degli interni, difesa e sviluppo economico

In occasione del VII vertice italo-russo a Soci, nei giorni della bufera delle rivelazioni di WikiLeaks, Berlusconi torna a incontrare Vladimir Putin, “il maschio dominante, alpha dog” come è stato chiamato il premier russo nei cablogrammi diretti a Washington. Oltre a Berlusconi e Frattini sulle montagne di Krasnaya Polyana (la località sciistica alle spalle di Sochi dove nel 2014 si disputeranno le olimpiadi invernali) si è traferito mezzo governo. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è ospite del presidente Dimitry Medvedev. Sul tavolo oltre i grandi dossier internazionali che saranno affrontati in un incontro bilaterale dal ministro degli Esteri Franco Frattini e il collega Serghei Lavrov, anche numerosi accordi economici tra società russe e italiana che vedono in prima fila aziende comeFinmeccanica e Poste Italiane. Ad aprire i lavori, l’incontro tra il ministro delle Attività produttivePaolo Romani e il ministro dell’Energia russo, Phmatko cui è seguito il colloquio con il responsabile delle comunicazioni di Mosca, Sciogolev, e quello con il ministro russo dell’Industria e commercio,Khristenko. Contemporaneamente, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è incontrato con il suo omologo Lavrov, mentre il responsabile dell’Interno, Roberto Maroni, ha avuto un bilaterale con il collega russo Nurgaliv. E ancora i bilaterali tra il responsabile della Difesa, Ignazio La Russa, con l’omologo moscovita Serdyukov, mentre il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, ha incontrato il direttore per il servizio del turismo russo Yarockin.

Incontro La Russa – Serdyukov: ”L’Italia darà vita a una joint venture per la fornitura di 2.500 blindati Lince (Iveco, gruppo Fiat,
ndr) da produrre in Russia al 50%”. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Ignazio La Russa al termine dell’incontro con il collega Anatoly Serdyukov, spiegando che l’accordo sarà definito nei prossimi giorni. La Russa ha chiarito che all’inizio del 2011 “una decina di Lince”, i blindati impiegati dal contingente italiano in Afghanistan, saranno dati in prova ai russi “affinché li possano testare”. Il ministro della Difesa ha chiarito di aver posto “posto dei paletti all’accordo, come ad esempio che siano commercializzabili solo nella Federazione russa”. La Russa ha anche spiegato che sono in corso trattative per fornire alle truppe russe “il blindato su ruote Centauro (prodotti da Oto Melara, gruppo Finmeccanica) armato di cannone (da 105 mm) e i Freccia”, che da qualche mese sono impegnati in Afghanistan dal contigente italiano. Ultimo aspetto affrontato nel colloquio, un accordo di scambio di addestramento: “Un gruppo di alpini verrà a fare addestramento in Russia e un nucleo di loro soldati verrà da noi”.

Accordo tra Poste Italiane e Russian Post: L’amministratore italiano di Poste Italiane, Massimo Sarmi, e il direttore generale di
Russian Post, Alexander Kiselev, hanno firmato alla presenza di Silvio Berlusconi e Dmitri Medvedev, un accordo commerciale quadro in base al quale il Gruppo Poste Italiane fornirà a Russian Post competenze e know how per la modernizzazione della rete dei 40 mila uffici postali, l’ottimizzazione della rete logistica e l’introduzione di servizi finanziari on line e da telefonia mobile. L’intesa è stata siglata in occasione del vertice bilaterale Italia-Russia in corso nella citta’ russa sulle rive del Mar Nero. “Questo accordo conferma l’intesa stabilita gia’ nel marzo scorso a Mosca e da’ il via alla fase operativa – ha commentato l’ad, Massimo Sarmi – Per Poste Italiane è un obiettivo particolarmente importante che suscita grande soddisfazione per la possibilità di contribuire al programma di ammodernamento della rete di uffici postali e dell’infrastruttura logistica di uno degli operatori postali più grandi del mondo, con la prospettiva di introdurre servizi finanziari, di pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale. “La cooperazione con Russian Post – ha poi sottolineato Sarmi – ci fa misurare con una realtà peculiare come quella russa e consolida il prestigio internazionale di Poste Italiane nel suo ruolo di partner strategico di Paesi europei e del bacino mediterraneo in forte fase di sviluppo economico”. L’accordo dispone la creazione di gruppi di lavoro che studieranno modalità, tecnologie e programmi di formazione per il personale da applicare nel Masterplan che indicherà le soluzioni strategiche per la modernizzazione complessiva del sistema logistico-postale russo e per il lancio graduale dei servizi innovativi Ict, finanziari, assicurativi e di E-commerce.

Sette nuove intese tra Italia e Russia: Nel corso del vertice italo- russo sono stati firmati sette nuove intese. Sette accordi che spaziano dalla difesa al settore dell’energia da quello bancario a quello postale e a sostegno delle piccole e medie imprese, all’intesa per la riammissione ad un partenariato bilaterale per la modernizzazione. Questi i contenuti delle intese siglate oggi: un accordo relativo al transito per via ferroviaria nella Federazione Russa di materiale e personale militare italiano diretto dell’Afghanistan; un protocollo di attuazione sulle modalità di attuazione dell’Accordo di riammissione tra la Comunità Europea e la Federazione Russa del 25 maggio 2006; una dichiarazione congiunta tra il ministro degli Affari Esteri ed il vice-presidente del governo e ministro delle finanze della Federazione Russa per la realizzazione del partenariato bilaterale per la modernizzazione; un accordo per la semplificazione delle norme di ingresso, soggiorno e uscita dei membri degli equipaggi di velivoli di compagnie aeree della Repubblica Italiana e della Federazione Russa; un’intesa di collaborazione nell’ambito dello sviluppo delle piccole e medie imprese tra il gruppo bancario italiano “UBI Banca” e la “Banca per lo sviluppo e per l’attività economica estera (Vneshekonombank); un accordo-quadro sulla collaborazione postale italo-russa (Poste Italiane e Elsag Datamat del Gruppo Finmeccanica); infine un memorandum di intenti sulla collaborazione nel campo dell’ energia elettrica tra Enel e la società per azioni Inter Rao.

Al termine dell’incontro si terrà una conferenza stampa congiunta tra Silvio Berlusconi e il presidente russo Dmitri Medvedev. Il presidente del Consiglio non si sottrarrà alle domande dei giornalisti sulla situazione politica italiana. Anzi, è lo stesso premier ad annunciare si prenderà un po’ di tempo per fare una conferenza stampa tutta dedicata all’Italia. Poco prima di dare il via al bilaterale italo-russo a Sochi, Berlusconi ha infatti annunciato, rivolgendosi all’ospite di casa e ai giornalisti italiani: “Faremo una conferenza stampa con il presidente Medvedev, poi gli chiederò un po’ di tempo, un quarto d’ora, per fare una conferenza stampa con i giornalisti italiani sui problemi interni italiani”. Il presidente russo, con i suoi giornalisti, invece scherza: “State tranquilli, io non faccio una conferenza stampa per i giornalisti russi che sono liberi di fare e andare dove vogliono”.



Castelli di paglia: “Gamma? Sembro io”


Un libro sul leghista "scelto" dalla 'ndrangheta. Il viceministro che fu condannato a rimborsare 33.100 euro per una consulenza "irrazionale e illegittima", dice: "Non c'entro". Retromarcia di Libero: prima titola contro Saviano, poi due suoi giornalisti confermano le sue tesi

Saviano ha rotto i Maroni”, titolava Libero appena tre settimane fa riportando le dichiarazioni dell’autore di Gomorra, colpevole di aver denunciato che “la ‘ndrangheta al nord interloquisce con la Lega”.

Adesso due giornalisti dello stesso quotidiano pubblicano un libro in cui, attraverso la testimonianza del pentito Giuseppe Di Bella, ricostruiscono l’ascesa al potere della criminalità organizzata in Lombardia. E raccontano come proprio la ‘ndrangheta nel 1990 abbia scelto i cavalli su cui scommettere tra gli emergenti politici del Carroccio, portandoli fino a “importanti incarichi di Governo”, scrivono gli autori di
Metastasi Claudio Antonelli e Gianluigi Nuzzi. Quest’ultimo ieri ha anticipato le critiche: “Non è colpa mia né di Liberose al Nord c’è la malavita”. Spiegando che la differenza è che “Metastasi è un’indagine compiuta in un anno di lavoro” mentre “Saviano ha sigillato un assioma televisivo”.

Sempre di fango si tratta, secondo gli esponenti del Carroccio. In particolare per il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli e Stefano Galli, capogruppo in regione Lombardia: “Tutte fandonie”.
I due si sono sentiti tirati in ballo: sono entrambi nati e politicamente cresciuti a Lecco. La città in cui, secondo quanto ricostruito nel libro, nel 1990 gli uomini del clan di Franco Coco Trovato scelsero un anonimo uomo dell’emergente e ancora sconosciuto Carroccio trasformandolo, negli anni e a sberle di voti, in un politico di rango governativo. “Coco Trovato – ricorda Di Bella – aveva scelto il suo cavallo: è Gamma. Lo dice a tutti. Votare Lega, votare Gamma”. Gli autori di Metastasi nascondono il nome del politico con questo pseudonimo: ‘Gamma’, “nome in codice di soggetto che potrebbe essere sottoposto a indagini – scrivono gli autori – Gamma è una figura che ha ricoperto importanti incarichi di governo”. Non a caso la prima copia del libro è stata consegnata al procuratore Giancarlo Capaldo, capo della Procura di Roma, che ieri ha annunciato l’apertura di un fascicolo.

Se il racconto troverà riscontri, la Lega celodurista della caccia al “terrone mafioso” ne uscirebbe con le ossa rotte. In particolare Castelli. Che da anni racconta la sua città come una zona sana. “Nel 1993 il Comune sconfisse la famiglia Trovato”, ha detto ieri e, intervistato da Enrico Mentana al tg La7, ha invitato Nuzzi “a fare il nome di questo politico”, riconoscendo che “l’identikit si adatta perfettamente a me”. E gli anni coincidono: nel 1990 alle regionali la Lega registra il primo boom (18,9%) e nel 1992 Castelli è eletto per la prima volta alla Camera. “Ma io con Coco Trovato non ho mai parlato”. Nel 2006 “ho ricevuto una lettera con 29 proiettili” ha ricordato, sottolineando che agli amici si inviano altri messaggi. E di amici, l’ingegnere di Lecco, ne sa qualcosa.

Le consulenze a tempo pieno
Da ministro della Giustizia nel secondo governo Berlusconi distribuì talmente tante consulenze, ritenute di dubbia utilità, da finire indagato da procura e Corte dei Conti accusato di un danno erariali di circa un milione di euro. Secondo il procuratore Guido Patti, il ministro Castelli avrebbe creato “la figura del consulente personale a tempo pieno”.
Il Senato e il Tribunale dei ministri negarono l’autorizzazione a procedere, la Corte dei Conti, nell’aprile 2009, lo ha condannato al rimborso di 33.100 euro a titolo di risarcimento erariale, definendo “irrazionale e illegittima” una delle consulenze: quella affidata alla società Global Brain. Società di Alberto Uva, lo stesso finito pochi giorni fa nel mirino della procura milanese per corruzione nella vicenda Teleospedale.

Mazzette in salsa lombarda
Una storia di mazzette lombarde in salsa leghista-ciellina, denunciata da Galli, capogruppo del Carroccio in regione. A lui, Uva ha offerto una tangente da 15mila euro in vista di una gara d’appalto per l’assegnazione della gestione del sistema tv da installare negli ospedali lombardi. Galli si è rivolto prima ai magistrati, poi al
Corriere della Sera: “Io certe persone le denuncio, altri danno loro le consulenze”.
Anche Giuseppe Magni, amico e braccio destro di Castelli al ministero, è finito indagati dalla procura di Roma: è stato filmato di nascosto negli uffici dell’imprenditore romano Angelo Capriotti a parlare di appalti ed “esigenze” che, secondo i pm, altro non erano che tangenti.

È poi toccato ad un altro uomo di fiducia di Castelli: l’avvocato Antonello Martinez sorpreso, rivelò Marco Lillo su
L’Espresso, a chiedere soldi agli imprenditori del settore carcerario in cambio di una spintarella per gli appalti. In ballo c’erano i 25 nuovi carceri che il Guardasigilli voleva costruire. Tutte vicende legate al periodo in cui è stato ministro, venti anni dopo quel 1990 quando la ‘ndrangheta scelse di sostenere Gamma e portarlo fino al governo.

Da
Il Fatto Quotidiano del 3 dicembre 2010