mercoledì 9 febbraio 2011

L’incredibile caso dell’onorevole fantasma.



gaglione

Silvia Cerami per L’espresso on line

Raggiungerlo al telefono è un’impresa: «Mi scusi sono impegnato, mi richiami tra un’ora, tra due, fra tre». Alla fine risponde il suo assistente. Non quello parlamentare, che all’ufficio della Camera in pochi hanno visto, ma quello della clinica: «Il dottore è molto impegnato, non può proprio rispondere».

Antonio Gaglione, deputato brindisino, eletto nel Pd, transitato nel Gruppo Misto e poi passato con Noi Sud non si può nemmeno definire un voltagabbana, visto che lui non vota né contro né a favore del governo. Semplicemente, a Roma non ci va. Fa visite cardiologiche private a Latiano, in provincia di Brindisi, oppure va in clinica, alla Villa Bianca di Bari, a operare.

Fatto sta che ha appena raggiunto il record assoluto di fancazzismo politico nella storia della Repubblica: oltre il 92 per cento di assenze. Alla modica cifra di 15 mila euro mensili. Oltre al suo stipendio, ci sarebbe da contare quello del portaborse, che non ha assolutamente nulla da fare: altri 4.000 euro al mese, ovviamente a carico della collettività. Ma poco importa, lui si considera «un ottimo politico».


In campagna elettorale Gaglione andava dicendo: «Voglio un partito aperto, che guardi all’esterno, un partito estroverso. Fatto di persone che al mattino pensino a quali sono i problemi del nostro paese e dedichino il tempo che hanno a loro disposizione, ci sono tante cose da fare. Lancio questo appello a tutte le persone di buona volontà». Lui di buona volontà non ne ha avuta moltissima, evidentemente: nessun intervento nelle discussioni in aula o in commissione, nessuna missione, nessuna proposta di legge come primo firmatario (cioè scritta da lui).

Era assente perfino al voto per l’autorizzazione a procedere contro Silvio Berlusconi, per la sfiducia al governo, per la legge di stabilità, per la manovra finanziaria, per lo scudo fiscale. L’ultima volta che si è fatto vedere per un voto chiave era l’estate del 2008: forse si trovava a Roma in vacanza. O più probabilmente per un convegno: a quelli non manca mai, basta cliccare il suo nome su Google per scoprirlo.

A proposito, lo scorso 14 dicembre, quando ogni voto era determinante per la fiducia, improvvisamente Gaglione si materializzò a Montecitorio. Tutti a chiedersi se avrebbe votato sì o no al governo, ma inutilmente: al momento della chiama lui era già fuori. Aveva fatto solo una capatina per salutare e prendere la posta, visto che era già a Roma. Per altri motivi ovviamente: l’avevano appena eletto consigliere nazionale nell’autorevole Società Italiana di Cardiologia.

Tra le sue ultime dichiarazioni, resta memorabile questa, rilasciata quando aveva già raggiunto il primo posto tra gli assenteisti: «Stare in Parlamento è una perdita di tempo e una violenza contro la persona». E poi: «E’ così frustrante fare queste maratone alla Camera». E ancora: «Sono stato poco presente perché l’apporto del singolo parlamentare è diventato marginale».

Poco altro, perché per l’onorevole è una perdita di tempo anche rispondere alle domande dei cronisti: «Che tanto poi i giornali si occupano più di donne che di politica vera. Gli italiani vogliono i fatti». Magari vorrebbero anche vedere lavorare i loro rappresentanti, ma il dottore è molto impegnato.

Da Meris per Giorgio. - Piovono rane - Alessandro Gilioli.i


Ricevo via mail e volentieri pubblico questa lettera che la signora Meris Monari, presente domenica scorsa ad Arcore, ha scritto al presidente Napolitano.

Caro Presidente Napolitano,

mi chiamo Meris Monari, ho 55 anni e ho deciso di scriverLe questa mia per dirLe che io, alla manifestazione di ieri 6 febbraio 2011, ero presente.

Vede Presidente, mi dispiace per come questa manifestazione è stata presentata dalla stampa, sia dai giornali ma soprattutto dai telegiornali: come la manifestazione di un gruppo di delinquenti che si è presentato alla villa di Arcore del Presidente Berlusconi per fare guerriglia con la Polizia.

Avrei voluto che venisse raccontato che le persone presenti erano uomini, donne, ragazzi e ragazze, pensionati, disoccupati e cassa integrati, che hanno speso il loro tempo e il loro denaro per testimoniare il loro dissenso nei confronti di un Presidente del Consiglio che non ci rappresenta e non ci rispetta.

Non ci rappresenta perché da un Presidente del Consiglio ti aspetti che rispetti la Costituzione, che non attacchi tutti i giorni gli altri Organi Istituzionali e che non offenda i cittadini che non la pensano come lui. Noi siamo scesi in piazza semplicemente per chiedere il RISPETTO.

Se mai coloro che hanno scritto sulla manifestazione di ieri fossero stati presenti, avrebbero raccontato di una piazza piena di cittadini – io non sono brava a quantificare i numeri, forse qualche migliaio di persone – che allegramente hanno cantato, ballato, protestato, letto le loro lettere scritte con tanta fatica, che hanno chiesto scusa per la loro ignoranza nello scrivere.

Le assicuro che non mi sono sentita una DELINQUENTE, io mi sentivo una cittadina arrabbiata che chiedeva solamente il rispetto della NOSTRA CARA COSTITUZIONE ed il rispetto per quello che sono.

Ogni giorno da 35 anni mi alzo e vado a lavorare e quando sento parlare delle buste piene di soldi guadagnati allegramente provo profondo disgusto, quando penso che tante persone occupano, senza alcun merito, poltrone retribuite profumatamente, non solo mi indigno, molto di più, mi arrabbio. Se penso che anche solo un centesimo delle mie sudatissime tasse passa nelle mani di persone non meritevoli mi sento veramente disgustata.

Sicuramente gli scontri ci sono stati, ma non per colpa nostra. Noi ce ne stavamo gia andando via e mai, mai e poi mai ci saremmo permessi di fronteggiarci con la Polizia.

Noi, Caro Presidente, prima di tornare a casa abbiamo anche raccolto l’immondizia che era per terra, ci eravamo portati i sacchetti per non lasciare sporcizia nella Citta di Arcore.

Capisco che per dovere Istituzionale Lei abbia chiesto informazioni al Ministro Maroni ed abbia stigmatizzato questi scontri, ma le Istituzioni dovrebbero imparare anche ad ascoltare e parlare con i Cittadini Onesti e a capire esattamente come si sono svolti i fatti. Ad ogni telegiornale viene fatto passare il messaggio che queste manifestazioni siano «intollerabili». Sinceramente io giudico che siano ben altri i comportamenti intollerabili e per quanto mi riguarda, da cittadina onesta e che paga le tasse, continuerà a manifestare perché sia rispettata la COSTITUZIONE ITALIANA.

Le faccio solo una domanda: ma quale futuro e quali insegnamenti stiamo dando ai nostri figli?

Le porgo i miei più cordiali auguri di buona salute

MERIS MONARI



Mora e la droga. “Sono contrario”. Ma nel 1990 fu condannato a tre anni per spaccio.



La storia segreta dell'ex parrucchiere di Bagnolo Po emerge dalla sentenza del tribunale di Verona. Oltre vent'anni fa l'impresario tv fu coinvolto in un giro di cocaina spacciata a cantanti famosi e calciatori.

Lui la droga dice di detestarla. Fa di più e precisa: “Se so che qualcuna delle mie star tocca anche solo una canna, la caccio via. L’ ho già fatto con tre persone. Niente nomi, ma quando ho saputo che facevano certe cose, gli ho detto arrivederci e grazie”. Fa niente poi se una ragazza della sua scuderia ammette: “Ho consumato cocaina all’interno del bagno del privè dell’Hollywood”. Francesca Lodo lo mette a verbale nell’ambito dell’inchiesta milanese di Vallettopoli. Lele Mora però tira dritto. Sull’argomento non transige. “Io sono contrario, l’ho sempre detto, e sempre lo ripeterò”. Oggi, poi, che la cocaina si insinua pericolosamente nel caso Ruby, l’ex parrucchiere di Bagnolo Po e grande amico di Silvio Berlusconi, tiene la linea. “Ad Arcore – racconta – l’unica droga è il divertimento”. Quindi va sereno all’incasso della fiducia illimitata da parte del Cavaliere che addirittura gli presta oltre un milione di euro per far fronte ai debiti della sua Lm Management. Qualcosa, però, non torna. La soubrette Sara Tommasi racconta, infatti, di strane sostanze mixate nei cocktail. “Non sai mai cosa Lele ti mette nel bicchiere”. L’ex partecipante all’Isola dei famosi lo racconta al telefono, aggiungendo particolari a una delle feste organizzate proprio da Mora.

Ombre e sospetti arrivano da ancora più lontano. In questo caso niente bunga bunga o cene ad Arcore. Ma una storia vecchia di oltre vent’anni. Non c’è villa San Martino, ma la Verona di fine anni Ottanta. Quella dei successi calcistici (uno scudetto nel 1984) e dei grandi campioni. Come l’argentino Caniggia. Superstar internazionale alla corte di Osvaldo Bagnoli, mister vecchio stampo, milanese, scorbutico, intransigente. Qualità che producono un’austerità da spogliatoio (Bagnoli diffiderà i suoi calciatori dal frequentare Mora) a cui fa da contraltare una vita mondana spinta all’eccesso. E all’ombra dell’Arena il regista della notte è sempre lui: Dario Mora in arte Lele. Il suo negozio di parruchiere diventa presto il ritrovo di vip, calciatori e belle ragazze. “Un’ attività gaudente – scrivono i giudici - i cui ingredienti tuttavia non erano soltanto le feste e le ragazze facili, ma anche la droga”. Cocaina soprattutto. Un brutto giro sul quale inciampa il futuro impresario televisivo e che gli costerà una condanna a tre anni poi scontata in Appello a un anno e sei mesi. Il tutto riassunto in un capo d’imputazione che pesa come un macigno. Oggi più di ieri. Leggiamo allora la sentenza del tribunale di Verona datata 30 marzo 1990 che Mora condivide con Pietro Bologna, trafficante siciliano (è nato a Capaci il 20 novembre 1953) sposato con Gabriella Mora, sorella di Lele. I due “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso hanno più volte acquistato e detenuto e venduto a terzi non modiche quantità di sostanza stupefacente”. Reato commesso a Verona nel mese di dicembre del 1988 e nei primi giorni del 1989.

Il copione prevede protagonisti e comparse: c’è Lele Mora e il trafficante siciliano, calciatori, belle ragazze, cantanti di successo. Non c’è la politica. Ma è solo questione di tempo. Arriverà qualche anno dopo, quando Mora rimarrà folgorato sulla via di Arcore. Nel frattempo il 18 gennaio 1989 “i Carabinieri di Verona segnalavano che, nel corso di una serie di intercettazioni si evidenziava un ampio quanta consistente giro attinente allo spaccio di stupefacenti”. Nel loro italiano indurito i carabinieri citano tra le varie persone intercettate Pietro Bologna, Dario Mora, sua sorella, e il calciatore Paul Claudio Canniggia.

Questo il primo atto che disegna il quadro. Le intercettazioni chiariscono e aggiungono particolari decisivi. Sono decine le telefonate che vengono annotate dai carabinieri. Altrettanti i brogliacci dove viene scritto il nome di Lele Mora. Il 21 dicembre 1988 Lele chiama di mattina presto il cognato trafficante. “Un certo Lele chiede a Bologna se ha niente. Bologna risponde che non ha niente, facendo cosi bestemmiare il Lele che afferma che non si può andare avanti cosi. Bologna spiega che sta attendendo una telefonata e che nonostante non prenda mai niente per telefono sta aspettando quei venti”.

In quel periodo il telefono di Pietro Bologna scotta e non poco. Una settimana prima delle telefonata di Mora, il trafficante parla con Caniggia. “Quest’ultimo si lamenta dicendo di stare male. Bologna attribuisce il malore al fatto che il vino si era alterato stando fuori dal frigo e si offre di portare altre due bottiglie di vino”. Quindi Bologna “ribadisce che non bisogna bere del vino rimasto fuori dal frigo. I due restano d’accordo per vedersi l’indomani, verso mezzogiorno, quando Bologna porterà delle altre bottiglie di vino”. I carabinieri registrano. Scrivono vino, ma sanno che si tratta di droga. Un salto logico ben spiegato dai giudici per i quali “si comprende agevolmente che quel qualcosa di cui i tre sono spesso alla ricerca, non può essere palesato chiaramente”. Da qui parole come dischi, automobili, cioccolatini utilizzate “con assoluta incongruità”.

Le intercettazioni, poi, chiariscono il ruolo di Mora nel traffico di droga. Lui è l’intermediario, ma soprattutto “protagonista di un’intensa attività mondana: si trova in rinomati e lussuosi locali cittadini nelle ore della notte, organizza feste, frequenta famosi personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo”. Conclusione: “Muovendosi in questo ambiente si preoccupa di procurare dei piccoli piaceri ai suoi amici e per questo ricorre all’aiuto del cognato”. Non è un caso, allora, che Caniggia e Bologna, parlando di comparvendita di droga si danno appuntamento “alla festa che Mora ha organizzato al ristorante Cambusa”.

Oggi come ieri, Mora si dà molto da fare. La sua filosofia in fondo è sempre la stessa: “Le persone – ha raccontato pochi giorni fa al giornalista Gianluigi Parragone – che mi stanno vicine devono stare bene ed essere serene”. E così’ la notte dell’ultimo dell’anno del 1988 “Patty Pravo parla con lo stesso Dario Mora, il quale le dice di poter disporre di un po’ di E e un po’ di A”. Quindi “le promette che si darà da fare per trovare dei cioccolatini, perché neanche il Bologna li ha reperiti”. Di nuovo quel linguaggio criptico, sul quale, in questo caso, farà luce lo stesso impresario dei vip ammettendo che quella frase serviva a nascondere una richiesta di hashish, fattagli dalla famosa cantante”. E di fumo, l’ex parrucchiere ne parla anche con Gabriella Mora. Il 2 gennaio 1989 le chiede “se può procurare del fumo per fare uno spinello”. In questa vicenda il rapporto tra i due appare chiaro. Lui “le impartisce precise indicazioni sui luoghi dove il Bologna deve recarsi”. Questo è successo. Ma oggi Lele Mora ribadisce che lui con la droga non c’entra nulla.


sabato 5 febbraio 2011

Federalismo municipale: più tasse per tutti. - di Stefano Feltri


Ecco che cosa accadrà quando sarà legge, tra buchi nei bilanci e sconti ai più ricchi

Adesso potrebbe essere questione di un mese. Se tutto andasse nel modo più favorevole al governo, cioè se non ci fossero ulteriori intoppi, il decreto legislativo sul federalismo municipale potrebbe anche essere approvato in via definitiva dall’esecutivo in poco più di trenta giorni. È questo il tempo previsto dalla legge delega 42 del 2009 per un dibattito parlamentare necessario nel caso in cui il governo voglia comunque approvare un decreto su cui gli organi parlamentari abbiano dato un parere negativo. Che è quello che è successo due giorni fa nella Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale (composta da 15 deputati e 15 senatori).

Anche nell’ipotesi che questo pezzo di federalismo, che riguarda le imposte gestite dai Comuni, diventi operativo, non ci sarà alcuna rivoluzione autonomista, non sarà la svolta promessa dalla Lega Nord ai suoi elettori, o lo strumento per raddrizzare “l’albero storto della finanza pubblica” annunciato dal ministro Giulio Tremonti. Semplicemente un altro po’ del carico fiscale si sposterà dai titolari di rendite (immobiliari) al lavoro dipendente, con grandi incertezze per i conti dello Stato e dei Comuni stessi. Abbiamo chiesto al professor Alberto Zanardi, ordinario di Scienza delle finanze all’Università di Bologna, di spiegare cosa cambierà in concreto per i contribuenti e per i Comuni con le principali novità del federalismo municipale. Qui sotto le sue risposte.

Cedolare secca: risparmi per privilegiati
Riguarda la tassazione del reddito derivante da un immobile affittato. Per il contribuente il passaggio dall’Irpef alla cedolare secca con aliquota del 19 o 21 è opzionale, si può scegliere la soluzione. Lo sconto potenziale sulle imposte dovute è più rilevante per i contribuenti con un più alto reddito complessivo ed è indifferente per i redditi più bassi, che continueranno a scegliere l’Irpef. I comuni oggi ricevono circa 11 miliardi di trasferimenti. Ora al posto dei trasferimenti ci sono tributi devoluti e compartecipazioni. Tra questi la cedolare. Ma nella valutazione della ragioneria questa garantisce parità di gettito soltanto se emerge molto reddito ora sommerso. C’è quindi un problema di incertezza.

Addizionali Irpef: colpiti sempre i dipendenti
Per i Comuni si ritorna alla normalità: si passa dal blocco della possibilità di variazione delle aliquote Irpef a restituire le leve fiscali ai sindaci per aumentare, se ne hanno bisogno, il gettito. Ma se c’è una riduzione delle dotazioni dello Stato ai Comuni ci sarà una tendenza a usare questa leva, massimo per lo 0,4 per cento (con aumenti massimi dello 0,2 per cento annuo). Per i cittadini c’è il rischio di un aumento del peso di un tributo come l’Irpef che di fatto colpisce quasi solo dipendenti e pensionati. Sarebbe stato meglio riattivare l’Ici, per ripartire il peso tra lavoratori e percettori di rendite.

Scopo e turismo: 5 euro a notte e più infrastrutture
L’imposta di soggiorno e quella di scopo sono un’altra leva data ai Comuni, ma ancora non sono specificati i dettagli sul loro funzionamento. L’imposta di soggiorno attribuita ai Comuni capoluogo e a quelli turistici viene caricata sul prezzo di ogni notte di soggiorno, fino a un massimo di cinque euro. Il gettito che deriva dall’imposta deve essere utilizzato per finanziare spese collegate ai Beni culturali e questo è utile, perché i turisti producono reddito ma comportano costi. La tassa di scopo esisteva già, ma viene ampliata. Si tassano i cittadini spiegando che l’imposta serve per costruire un ponte, un’infrastruttura. Si allarga la tipologia di opere pubbliche finanziabili ma mancano ancora i dettagli.

Imposta municipale: più tasse per i commercianti
L’Imu (Imposta municipale unica) scatta dal 2014. Per i Comuni c’è l’incertezza che la nuova imposta garantisca lo stesso gettito delle imposte che accorpa. Cioè, all’85 per cento, l’Ici sulle seconde case e gli immobili commerciali. Cambia l’aliquota, stabilita allo 0,76 per cento, al di sopra del livello attuale che in media è lo 0,5 per cento. La ragione per cui aumenta è che su una parte dei redditi immobiliari gravano delle imposte dirette come l’Irpef. Si trasforma un’imposta sui redditi in una patrimoniale. Questa aliquota, secondo la relazione tecnica, dovrebbe generare parità di gettito. Per i Comuni comporta un limite all’intervento sulle aliquote, quindi minore autonomia. Per le imprese non si realizza la cancellazione dell’Irpef: continuano a pagarlo per gli immobili che usano per il loro lavoro. C’è quindi uno spostamento del carico fiscale a sfavore dei lavoratori autonomi, delle imprese e delle società di capitale che percepiscono redditi fondiari.

Fondo perequazione: chi ha avuto, ha avuto
È il vero elemento mancante del sistema. Dovrebbe sopperire alla diversa distribuzione delle imposte tra i diversi comuni, in modo da garantire ai Comuni di finanziare i fabbisogni standard delle loro funzioni. Cioè per i servizi fondamentali come gli asili nido, i trasporti pubblici locali, l’assistenza agli anziani. Ci saranno Comuni molto dotati perché hanno molte seconde case immobili commerciali, altri che non hanno questa fortuna. I Comuni dove ci sono tante prime case, sulle quali non si paga alcuna imposta, avranno relativamente poche entrate. Ci si aspettava un decreto legislativo che specificasse le fonti di finanziamento e le modalità di riparto di questo fondo a cominciare dalle direttive della legge delega. Invece non è specificato come si finanzia e come usa le risorse. Il problema è stato semplicemente rimandato, pericolosamente, visto che siamo vicini alla scadenza della delega (a maggio). Quindi non si sa quali saranno le risorse complessive a disposizione dei Comuni.