giovedì 17 settembre 2015

IL MESSAGGIO DELL’IMPERATRICE. - ROBERTA DE MONTICELLI

Il messaggio dell’imperatrice


“La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”, ha scritto Corrado Alvaro. Non sono d’accordo. Non è la più grande. Ancora più grande fonte di disperazione è il dubbio che nessuna istituzione, nessuna legittima autorità, nessuna giurisdizione custodisca le norme dell’onestà, difendendoci dalle loro violazioni ma soprattutto, all’occorrenza, giudicandole. Distinguendo ciò che è onesto da ciò che non lo è – che sia punibile o no. Che si sia cancellata la grammatica e la logica del parlare onesto, cioè chiaro e distinto, dalla mente di tutte le maestre di scuola. Che non ci siano più affatto giudici, né a Berlino né a Roma. Che niente e nessuno custodisca il patto fondamentale che ci lega gli uni agli altri in una società attraverso l’assunzione dei nostri doveri e dei nostri diritti, il patto fondamentale di cittadinanza. Insomma, la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che l’impero della legge sia crollato da un pezzo, e per questo il messaggio dell’imperatrice non ci è mai arrivato. Questo dubbio sta diventando certezza nell’Italia di oggi.
Forse era questo che intendeva Corrado Alvaro? Ma le parole sono importanti. Vivere onestamente è certamente inutile in moltissimi casi, anzi positivamente svantaggioso per l’onesto. Ma questa non è una buona ragione per rinunciare ad esserlo, dal momento che è ingiusto, cioè lesivo di ciò che è dovuto agli altri. Anzi: la speranza è salva ogni volta che è salva la legge, cioè la sua idealità: l’ideale non è il reale, e ogni violazione della norma, se è riconosciuta come tale, nutre la nostra riserva di idealità, cioè di speranza nella possibilità di una società più giusta. Ma ogni volta che la norma, metro di misura di ciò che è disonesto, si adatta al fare disonesto, un po’ dell’idea di giustizia si cancella dalla nostra coscienza, la nostra riserva di idealità si riduce, e la nostra speranza cala. Se l’autorizzazione a una modica quantità di frode fiscale diventa legge. Se un candidato ineleggibile a norma di legge esercita il potere con il beneplacito dell’autorità designata a far rispettare la legge. Se un decreto legislativo sulla certezza del diritto (!!) consente, purché rientri il capitale, “di mantenere la fedina penale immacolata, anche in presenza di ipotesi di reato comparabili a ricettazione e frode fiscale, con pene intorno ai 10 anni” (“Corriere della Sera”, 29 agosto 2015). Se un Presidente del consiglio irride a un’Istituzione della Repubblica, chiamata a tutelare il patrimonio artistico e paesaggistico, le Sovrintendenze. Se esprime disprezzo nei confronti dei cittadini che esercitano il loro dovere di critici nei confronti di chiunque sostituisca il proprio arbitrio al governo della legge, perché “bloccano il Paese”. In tutti questi casi e innumerevoli altri un pezzo della riserva di idealità su cui si regge il rule of law è consumato, e una congrua porzione di speranza, erosa.
Ebbene: con le riforme costituzionali in corso un enorme, ulteriore pezzo di idealità viene sacrificato a vantaggio della realtà, o della Realpolitik, o del “non ci faremo fermare da nessuno”, comunque vogliate chiamare l’espressione dell’arbitrio dell’uomo, anzi dei molti piccoli uomini interessati ai loro particolari vantaggi, invece che al bene pubblico. Attraverso una riforma del Senato che riduce a un “camerino” di interessi locali quella che la Costituzione italiana pensava come la Camera Alta (il suo Presidente è attualmente colui che esercita le funzioni di Presidente della Repubblica “in ogni caso in cui egli non possa adempierle”, Art. 86). Ma che, in combinazione con la legge elettorale approvata, riduce in modo drastico tanto la rappresentatività del Parlamento quanto la sua autonomia nei confronti dell’esecutivo, ed erode ulteriormente il fragile fondamento istituzionale della democrazia – la divisione dei poteri, il check and balance. Perché attraverso i meccanismi di elezione del Presidente della Repubblica e la riduzione di indipendenza della Corte Costituzionale rimette nelle mani dei piccoli arbitri dei piccoli uomini di fatto al potere la quasi totalità della decisione su ciò che “deve” essere. No, non ripeteremo con parole vaghe le obiezioni fulminanti e inascoltate che i migliori rappresentanti del Diritto e della sua scienza hanno rivolto al testo della riforma governativa, dove la forma è sostanza, e la forma, ahimé, è “sgrammaticata”. Ci limiteremo a concludere questa riflessione, che speriamo condivisibile dal maggior numero di cittadini.
E’ la giustizia, non l’utilità la misura della nostra disperazione. Meglio di Corrado Alvaro lo dice Kant: quando l’idea di giustizia ha finito di scomparire dalle nostre coscienze, non vale più nulla la vita di nessun uomo, su questa terra. Come appare, a chi la vive, una vita senza valore?
Guardatevi intorno o dentro. È uno stato depressivo, uno stato di assenza di speranza che, più che disperazione, si potrebbe chiamare indifferenza o apatia. Viene dall’erosione o dalla distruzione di alcuni dei più importanti beni della vita associata, come ad esempio la fiducia nelle istituzioni, la stima e il rispetto per chi esercita funzioni pubbliche, la certezza del diritto, il diffuso senso della legalità, l’esperienza dell’esistenza di un nesso fra competenze e funzioni, capacità e promozioni, crimine e pena. E, bene che li riassume tutti, il rispetto per l’Imperatrice, l’Idea o lo Spirito delle leggi – l’idealità di una Costituzione. Oggi chiamano tutti questi aspetti fiduciari della vita associata “capitale sociale”: ma si tratta delle condizioni perché sia riconosciuto il valore della vita di ognuno. La nostra Costituzione lo chiama “dignità sociale” (Art. 3).
Ma quando questo riconoscimento manca perché i legami fiduciari si spezzano, logorati dall’abuso di illegalità impunita, corruzione e menzogna, la “fede pubblica” – come la chiamava Leopardi – cala a zero, e con essa la partecipazione non solo alla vita civile e politica, ma infine alla cooperazione materiale e morale. E’ forse allora che le nazioni sono pronte a fallire, le civiltà a crollare. Perché una democrazia non è soltanto una forma di governo politico, è una civiltà fondata in ragione – la ragione pratica – e non in religione. La sfiducia nella ragione pratica è la fine della democrazia.

L’UMILIAZIONE DEL PARLAMENTO. - GUSTAVO ZAGREBELSKY

L’umiliazione del Parlamento

(Il Presidente emerito della Corte costituzionale e Presidente onorario di Libertà e Giustizia Gustavo Zagrebelsky rivolge un appello ai legislatori alla vigilia dell’ultima lettura della riforma costituzionale promossa dal governo. Sostengono l’appello il Presidente Alberto Vannucci, la ex Presidente Sandra Bonsanti  tutto il Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia.)
Il funzionamento della democrazia è cosa difficile, stretto tra l’inconcludenza e la forza. Chi crede che si tratti di una battaglia che si combatte una volta ogni cinque anni in occasione delle elezioni politiche e che, nell’intervallo, tutto ti è concesso perché sei il “Vincitore”, si sbaglia di grosso ed è destinato a essere travolto, prima o poi, dal suo orgoglio, o dalla sua ingenuità, mal posti.
La prima vittima dell’illusione trionfalistica è il Parlamento. Se pensiamo che si tratti soltanto di garantire l’azione di chi “ha vinto le elezioni”, il Parlamento deve essere il supporto ubbidiente di costui o di costoro: deve essere un organo esecutore della volontà del governo. Altrimenti, è non solo inutile, ma anche controproducente.
Le riforme in campo, infatti, sono tutte orientate all’umiliazione del Parlamento, nella sua prima funzione, la funzione rappresentativa. Che cosa significano le leggi elettorali, che prevedono la scelta dei candidati attraverso le “liste bloccate” stilate direttamente dai capi dei partiti o attraverso la farsa delle cosiddette “primarie”, se non l’umiliazione di quella funzione nazionale: trionfo dello spirito gregario o del mercato dei voti. Il prodotto degradato, se non avariato, è davanti agli occhi di tutti. Così, mentre dalle istituzioni ci si aspetterebbe ch’esse tirassero fuori da chi le occupa il meglio di loro stessi, o almeno non il peggio, di fatto avviene il contrario. Queste istituzioni inducono alla piaggeria, alla sottomissione, all’assenza di idee, alla disponibilità nei confronti dei potenti, alla vigliaccheria interessata o alla propria carriera o all’autorizzazione ad avere mano libera nei propri affari sul territorio di riferimento. Per essere eletti, queste sono le doti funzionali al partito nel quale ti arruoli. Non devi pensare di poter “fare politica”. Non è più il tempo: il tempo è esecutivo!
Una prova evidente, e umiliante, dell’inanità parlamentare è la vicenda che ha agitato la vita politica negli ultimi due anni: la degradazione del Senato in Camera secondaria che dovrebbe avvenire col consenso dei Senatori. Si dice loro: siete un costo, cui non corrisponde nessun beneficio; siete un appesantimento dei processi decisionali, cui corrisponde non il miglioramento, ma il peggioramento della qualità della legislazione. Sì, risponde il Senato: è così. Finora siamo stati dei parassiti inutili e dannosi e siamo grati a chi ce ne ha resi consapevoli! Sopprimeteci!
Vediamo più da vicino questo caso da manuale di morte pietosa o suicidio assistito nella vita costituzionale.
A un osservatore non superficiale che non si fermi alla retorica esecutiva e “governabilitativa”, cioè ai costi (“Senato gratis”, è stato detto) e alla velocità (una deliberazione per ogni legge, invece di due), l’esistenza di una “seconda Camera” risulta bene fondata su “ragioni conservative”. Non conservative rispetto al passato, come fu al tempo delle Monarchie rappresentative, quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze anarcoidi e dissipatrici della Camera elettiva, propensa a causa della sua stessa natura a sperperare denaro e tradizioni per accattivarsi gli elettori. Allora ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, di fronte alla catastrofe della società dello spreco, si tratterebbe dell’opposto, cioè di ragioni conservative di risorse e opportunità per il futuro, a garanzia delle generazioni a venire.
Il Senato come concepito nella riforma moltiplica la dissipazione. Se ne vuole fare un’incongrua proiezione amministrativistica di secondo grado di enti locali, a loro volta affamati di risorse pubbliche. A questa prospettiva “amministrativistica” se ne sarebbe potuta opporre una “costituzionalistica”. Nei Senati storici, le ragioni conservative corrispondevano alla nomina regia e alla durata vitalizia della carica: due soluzioni, oggi, evidentemente improponibili, ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola tassativa della non rieleggibilità, come garanzia d’indipendenza da interessi particolari contingenti. A ciò si sarebbero potuti accompagnare requisiti d’esperienzacompetenza e moralità particolarmente rigorosi, contenuti in regole di incandidabilità, incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti. Fantasie. I riformatori costituzionali pensano ad altro: a eliminare un contrappeso politico, ad accelerare i tempi. Non riuscendo a eliminare, puramente e semplicemente, un organo, che così come è si ritiene inutile, anzi dannoso, si sono persi in un marchingegno la cui assurda complicazione strutturale – le modalità di estrazione dei nuovi “senatori” dalle assemblee locali – e procedimentale – i rapporti con l’altra Camera – verrà alla luce quando se ne dovesse sperimentare il funzionamento.

FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE. - Lorenza Carlassare

FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE

E’ il momento di far sentire di nuovo, forte, la nostra voce. Il tempo, poi, non c’è più.
Difficile contare sui media : salvo poche eccezioni, l’adesione opaca al governo e ad ogni sua iniziativa è costante. Un diffuso senso di impotenza induce a vivere il presente così come arriva, accettandolo. In questo clima, i timori espressi da molti per democrazia e costituzionalismo – vanto delle ‘democrazie occidentali’ fino alla caduta del muro di Berlino – sono ormai visti con fastidio estremo, disturbi molesti sul cammino altrimenti felice del Presidente del Consiglio e dei suoi fedeli .
Per esorcizzare i gravissimi problemi aperti dalle molteplici riforme che toccano tutti i settori della nostra vita, per tacitare ogni richiesta di riflessione e confronto e soprattutto svilire chi osa parlarne, vengono acriticamente ripetute frasi banali : “turbolenze della minoranza” sono definite dal TG 3 le sofferte obiezioni dei cittadini e le richieste di dialogo in Parlamento mentre Italia Oggi considera “ la governabilità del paese, mai come oggi messa sotto scacco da combattive minoranze reazionarie”. Ecco : c’è sempre la ‘reazione’ in agguato, e ora siamo noi!
Sono esempi recenti, ma non certo i soli. Eppure i contenuti delle leggi di riforma ( costituzionali e non ) e il modo stesso della loro approvazione, che esclude ogni effettiva apertura, urlano il loro contrasto con i sistemi della democrazia.
Dopo che al meeting di CL “Matteo Renzi ha confessato pubblicamente di essere la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi” , Paolo Flores d’Arcais invita a riflettere sul perché “le straordinarie energie che l’antiberlusconismo aveva saputo suscitare nella società civile non abbiano trovato adeguata espressione politica”. Un interrogativo che inquieta visto che non si tratta solo di parole: “dalla giustizia all’informazione, dal lavoro alla riforma istituzionale, non c’è un solo elemento della lobotomizzazione della democrazia tentata da Berlusconi che Renzi non stia realizzando”. E, aggiungerei, la scuola.
Cosa sta succedendo?
Ripetere nel dettaglio cose già troppo ripetute sembra ormai inutile . Utile é, piuttosto, sintetizzare con le parole di Hans Kelsen, un grande giurista del secolo scorso, ciò cui dobbiamo con fermezza opporci: nulla “giustifica la sostituzione della definizione di democrazia come governo del popolo con una definizione dalla quale il popolo, come potere attivo, sia eliminato o sia mantenuto soltanto come fattore passivo in quanto è richiesta da parte sua l’approvazione di un leader, comunque espressa”. E’ proprio questo, nella sostanza, il senso del processo in corso. Ridurre il popolo senza voce o lasciargli la voce solo per acclamare.

I casi della vita. La buona scuola.



La fortuna è cieca ...ma la parentela ci vede benissimo.

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martedì 15 settembre 2015

Pd-Articolo 4, i legami tra i Sudano e la Oikos dei Proto «La discarica di Tiritì prende la tessera dei democratici». - Salvo Catalano




CRONACA – A Misterbianco quasi tutto il gruppo dirigente del Pd va verso le dimissioni. A Motta Sant'Anastasia quasi. Sono i due Comuni in cui il matrimonio con il partito di Luca Sammartino e Valeria Sudano non va giù. Questione di valori. E di persone. «È inconcepibile per chi ha fatto della battaglia alla discarica una ragione di vita».

Se c'è un luogo dove il matrimonio tra Pd e Articolo 4 non unisce ma lascia ferite sanguinanti è Motta Sant'Anastasia. La scorsa primavera per giorni i deputati Valeria Sudano Luca Sammartino si sono fermati nella cittadina del Catanese, per sostenere il loro candidato sindaco, Anastasio Carrà, poi risultato vincitore per una manciata di voti. Un impegno notevole per una cittadina diventata di strategica importanza per la presenza della discarica Tiritì-Valanghe d'inverno. Impianto di proprietà della famiglia Proto, storicamente vicina proprio ai Sudano. Finora Pd e Articolo 4 si sono trovati sulle due parti opposte della barricate. Valori antitetici che ora si chiede di far convivere in un unico contenitore. Differenze da sacrificare sull'altare della capitalizzazione dei voti.
«Per chi come me ha fatto della battaglia alla discarica Tiritì una ragione di vita,è inconcepibile che Articolo 4 prenda la tessera del Pd, è come se fosse la stessa discarica a tesserarsi nel mio ormai ex partito». Massimo La Piana, militante democratico di Misterbianco e candidato a sindaco (sconfitto) del Pd alle ultime elezioni comunali, mastica amaro mentre annuncia le proprie dimissioni dal partito. Ieri nella cittadina del Catanese si è svolta una riunione per decidere cosa fare dopo il matrimonio, sancito dalla direzione regionale, con Articolo 4. «La stragrande maggioranza del gruppo dirigente si dimetterà», annuncia La Piana. A Motta Sant'Anastasia, paese che con Misterbianco condivide la battaglia contro l'impianto, i malumori sono gli stessi, mentre le decisioni al momento si limitano alla stesura di un documento che invita il Pd regionale a tornare sui suoi passi. Seguiranno chiarimenti con la segreteria provinciale. Ma se queste mosse non avranno l'effetto sperato, anche in questo caso si profila l'ipotesi di dimissioni di massa
I militanti democratici di Misterbianco e Motta non saranno gli unici a consegnare le tessere. La protesta dal basso si allarga, soprattutto nell'ala che fa riferimento a Pippo CivatiIn più di 600 tra amministratori, dirigenti locali e semplici militanti hanno sottoscritto una lettera scritta da Valentina Spata, a capo dell'area siciliana che fa riferimento a Civati. Si pone in attesa il sindaco di Misterbianco, Nino Di Guardo, anche lui del Pd. «Confido nella saggezza del mio partito e do per scontato che la nostra politica sulla discarica non cambierà. In caso contrario - continua - se dovesse cedere a eventuali ricatti, non sarebbe più il mio partito. Resta il fatto che l'adesione al Partito Democratico di esponenti politici come Sammartino e Sudano, non è affatto una bella notizia. È noto, infatti, il sostegno che gli stessi hanno profuso per mantenere in vita la discarica di Motta Sant'Anastasia». 
Un nome su tutti non va giù ai militanti antidiscarica: Valeria Sudano, deputata regionale di Articolo 4, tra i principali artefici insieme a Luca Sammartino dell'ingresso nel Pd, ma soprattutto nipote dell'ex senatore Mimmo Sudano. La famiglia Sudano è legata a doppio filo ai Proto, titolari della ditta Oikos, a sua volta proprietaria dell'impianto. Il capostipite, Domenico Proto, è sotto processo a Palermo, proprio per le vicende legate alla discarica. «I legami tra le due famiglie sono storici, il Pd ha deciso di assumere una precisa identità nella quale non possiamo riconoscerci», afferma La Piana. Il cugino di Valeria Sudano, Salvatore detto Chicco, figlio dell'ex senatore di Forza Italia Mimmo Sudano, è uno degli avvocati della Oikos. La sede della ditta si trova nello stesso appartamento dello studio legale di Sudano. Il suo nome compare (da non indagato) negli atti del processo Terra Mia, alle prime battute a Palermo. Tra i rinviati a giudizio ci sono il numero uno della Oikos, Domenico Proto Gianfranco Cannova (dipendente dell'assessorato regionale Territorio e ambiente) che avrebbe rilasciato autorizzazioni alle attività di diversi impianti senza i relativi controlli, accettando denaro, regali e viaggi, agevolando gli iter per gli impianti amici. 
È proprio Chicco Sudano, per conto della Oikos, come scrive il gip nell'ordinanza per l'applicazione delle misure cautelari in carcere, a pagare due soggiorni presso l'Hotel Baia Verde di Aci Castello a Cannova. «La disinvolta confidenza tra i due indagati (Cannova e Proto ndr) - scrive ancora il Gip - è avvalorata dagli altri elementi in atti a partire dai contatti intrattenuti dal Cannova anche con l’avvocato Sudano Salvatore (Chicco), il quale ha anche inviato una sua memoria intercettata con e-mail. Un documento di notevole rilevanza dal momento che contiene, in pratica, la risposta che il Cannova a nome dell’ufficio che rappresentava quale funzionario dell’assessorato al Territorio, avrebbe dovuto fornire alla richiesta della Provincia Regionale di Catania di parere sulla chiusura della discarica di contrada Valanghe d’Inverno e sull’annullamento del decreto Aia già emesso». Danilo Festa, esponente del Pd di Motta, ricorda come, quando nel 2013 i comitati sono stati ascoltati alla commissione Rifiuti e ambiente dell'Ars, «Valeria Sudano si mostrò ostile verso le criticità da noi spiegate e quando arrivò Mimmo Proto si abbracciarono calorosamente».
Di certo se qualcosa nella politica del Pd rispetto alla discarica Tiritì cambierà si vedrà a breve. «Entro Pasqua l'impianto verrà chiuso, sono questi i tempi previsti e che vogliamo fare rispettare», spiega il sindaco Di Guardo. «A novembre - aggiunge Festa - dissero che, in base al programma di chiusura fissato della Oikos che prevede il riempimento della struttura, a marzo avrebbero chiuso. Poi si passerà alla fase di bonifica che sarà sempre a carico della Oikos. Vedremo se quanto promesso sarà effettivamente rispettato».

Dall'inchiesta tv alla Procura. I "cambiacasacca" dell'Ars. - Accursio Sabella

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Ieri le telecamere di Presa diretta hanno raccontato i "nuovi acquisti" del Pd siciliano. Mentre la Procura, dopo un esposto del Movimento cinque stelle, ha aperto un fascicolo su possibili "favori" del governo ai deputati pronti a passare in maggioranza. Al di là delle indagini, il Parlamento siciliano è l'immagine del trasformismo. Tutte le storie.
PALERMO - L'inchiesta televisiva. E quella della Procura. Il vortice dei cambi di casacca e i dubbi sugli incarichi del governo. La Sicilia è terra di trasformismo, di geometrie politiche che piegano le leggi stesse della geometria, di impasti originalissimi e impensabili.

Su Rai Tre, ieri sera, è andata in scena la rappresentazione plastica della rottamazione siciliana. Tramutatasi in inciucio, calcolo, persino paradosso. Il Pd accoglie tutti. Come fosse la Democrazia cristiana, commentano in tanti, facendo persino torto, forse, al partito di De Gasperi. I renziani prendono tutto. E la trasformazione genetica del partito è eticamente giustificata dai numeri. Cioè dai voti. Non è importante, in fondo, da dove vengano. Da quali storie. Da quali tradizioni.

Ma insieme all'inchiesta giornalistica, ecco profilarsi un'altra indagine, dai contorni ancora non del tutto definiti. Una indagine senza indagati, insomma. Che nasce, però, dalle parole di un deputato regionale, Pippo Sorbello (al momento “in panchina” in seguito all'ennesima pronuncia dei giudici sul ricorso del primo dei non eletti nell'Udc, Edi Bandiera) durante la seduta d'Aula del 4 aprile scorso. Secondo Sorbello, i cambi di casacca all'Ars altro non sarebbero che un metodo scientifico per ottenere in cambio dal governo incarichi per “parenti, amici e amici degli amici”. Frase “raccolta” dai parlamentari grillini che hanno presentato un esposto in Procura. “Pochi giorni dopo – racconta il capogruppo grillino Giorgio Ciaccio – sono stato convocato dalla Digos. Hanno avuto mandato dalla Procura di Palermo di approfondire quell'esposto”. In pratica, un fascicolo è stato aperto. Si vedrà.

Al di là delle responsabilità penali eventualmente da verificare, a unire le due inchieste è il riferimento ai “saltafosso” dell'Assemblea regionale. Tanti. Così tanti da rendere complicata persino la ricostruzione dei loro movimenti. Movimenti in qualche modo favoriti dalla nascita in seno a Sala d'Ercole di gruppi che non esistevano al momento delle elezioni: da Articolo 4 al Pdr, per giungere a Sicilia democratica.

Chi salta dentro il Pd

Ieri, le telecamere di Presa diretta hanno puntato i propri obiettivi verso il Partito democratico. Il “nuovo” Pd, quello che ha cambiato verso con Renzi. Quello, per intenderci, che avrebbe dovuto rottamare e ha preferito, alla fine, rivolgersi all'usato sicuro. Scegliendo, ad esempio, la “Leopolda sicula” voluta da Davide Faraone per dare il benvenuto al partito agli ex di Articolo 4. Si tratta, lo ricordiamo, di Luca Sammartino eletto tra le fila dell'Udc, di Valeria Sudano nipote di Mimmo Sudano big democristiano a Catania e soprattutto eletta col Cantiere popolare dei cuffariani di Saverio Romano. Democristiano si definisce Nello Dipasquale che fu sindaco a Ragusa col Pdl, negli anni in cui il Pd “gli faceva schifo”. L'altro Pd, ovviamente, perché adesso quel partito ha “cambiato verso”, nella direzione di Dipasquale, pronto a cambiare casacca dopo essere stato eletto nel Megafono di Rosario Crocetta ed esser transitato nel gruppo “Territorio”. Alice Anselmo, invece, è riuscita a cambiare cinque gruppi in meno di tre anni dopo essere stata eletta nel listino di Rosario Crocetta. Nell'ordine: Megafono, Territorio, Drs, Udc e appunto Pd. Pippo Nicotra, invece, è stato eletto con l'Udc, poi ha deciso di seguire Lino Leanza in Articolo 4, infine ecco l'approdo a quel Pd che oggi, ha ammesso ai cronisti di Raitre, “somiglia tanto alla Dc”. Il trapanese Paolo Ruggirello viene da una esperienza con l'Mpa di Lombardo e persino da un breve innamoramento per il “nuovo Berlusconi”, quel Luca Samorì che fondò il Mir: i Moderati in rivoluzione. Un paradosso già in partenza, quella forza politica dei moderati rivoluzionari, ma in un certo senso anche un segno premonitore. Il moderato Ruggirello, che verrà eletto addirittura con la Lista Musumeci, quella che faceva capo allo sfidante di Crocetta, giungerà al Pd, dopo aver già sposato la rivoluzione crocettiana col passaggio ad Articolo 4.

I nuovi aspiranti renziani

Ma il Pd della rottamazione trasformista non è riuscito ovviamente ad accaparrarsi l'esclusiva dei cambiacasacca. Dovunque ti volti, vedi deputati seduti su uno scranno dal colore diverso da quello originario. Una mano di vernice e voilà, chi è di destra diventa di sinistra. I moderati diventano “compagni”. È quello che sta accadendo al'interno di due movimenti che – tra polemiche interne e speranze – hanno già deciso di sposare la causa renziana. Movimenti che abbiamo già descritto in un articolo di qualche giorno fa, citato proprio ieri sera dai giornalisti di Presa Diretta. Ci limitiamo a ricordare qui il contenuto di quel servizio. Secondo il capogruppo di Sicilia democratica Totò Lentini, nei giorni della festa dell'Unità, il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini, in occasione della sua partecipazione alla kermesse palermitana, darà la sua “benedizione politica” (e quindi quella del Pd) alla federazione tra il Pdr di Totò Cardinale e, appunto, il movimento che rappresenta uno dei due tronconi in cui si è spezzato Articolo 4. Ma chi fa parte, oggi, di questi gruppi? A chi insomma, il Pd “metterà il bollino” (per usare le parole dello stesso Lentini) di nuovi renziani? C'è intanto lo stesso Lentini, eletto con l'Udc dopo un passato nell'Mpa di Lombardo e transitato da Articolo 4, c'è la vicecapogruppo Luisa Lantieri eletta addirittura con Grande Sud il movimento dell'ex plenipotenziario di Forza Italia in Sicilia Gianfranco Micciché, c'è un cuffariano storico come l'agrigentino Totò Cascio non a caso eletto col Cantiere popolare di Romano e transitato da Articolo 4, c'è Giamabattista Coltraro eletto col Megafono prima di lasciarlo in polemica con Crocetta e infine ecco Pippo Currenti. E qui dobbiamo fermarci un attimo. Il deputato messinese infatti, giunto alla terza legislatura, è riuscito a farsi eleggere più o meno da tutti i partiti di centrodestra che in questi anni hanno “comandato” in Sicilia. La prima elezione è tra le fila di Alleanza Nazionale, la seconda col Pdl, la terza con la Lista Musumeci. In mezzo, una militanza con Futuro e Libertà, il movimento politico fondato, senza troppo successo, da Gianfranco Fini. Se passi al Pdr di Cardinale, poi, puoi imbatterti in Michele Cimino, un berlusconiano della prima ora non a caso finito dentro la prima giunta di Raffaele Lombardo insieme agli ex compagni dell'Udc di Cuffaro, dei berluscones, dei miccicheiani. Con Grande Sud in effetti Cimino verrà eletto a Sala d'Ercole, per poi prenderne le distanze e transitare ai Drs (poi Pdr) di Cardinale appunto. Dove milita un altro ex miccicheiano come Edi Tamajo. Salvo Lo Giudice decise di cambiare casacca prima ancora dell'inizio della partita: pochi giorni dopo le elezioni aveva già deciso di lasciare la Lista Musumeci e passare al movimento “Territorio” di Dipasquale, poi l'approdo appunto al Pdr. Lo stesso capogruppo Beppe Picciolo, che eppure ha un trascorso col Pd, è stato eletto con l'Mpa di Raffaele Lombardo, a sostegno del candidato governatore Gianfranco Micciché.

Dal grillino pentito al deputato "contromano"

Una valzer infinito. Che ha finito per coinvolgere persino il Movimento cinque stelle. Antonio Venturino, una volta messosi in tasca l'elezione a vicepresidente dell'Ars, ha deciso di lasciare i pentastellati, scoprendosi “socialista”. Oggi fa parte di un gruppo “composito” insieme al Megafono di Crocetta. Il Nuovo centrodestra di Alfano, nato ovviamente in seguito alla scissione del Pdl, ha accolto Giovanni Lo Sciuto, eletto tra le fila dell'Mpa di Lombardo. In Forza Italia, invece, finirà l'esperto deputato Riccardo Savona, giunto alla quarta legislatura di fila. Per lui, inizialmente eletto tra le fila di Grande Sud (nonostante avesse lanciato un proprio movimento alleatosi, senza conquistare seggi, col Fli di Fini), il passaggio al Pdr di Totò Cardinale. Per lui si deve parlare di una trasmigrazione “contromano”. Uno dei pochi, insomma, a passare dalla maggioranza all'opposizione. E il motivo è legato a un intervento di Crocetta a una convention del Pdr: il governatore di fatto cacciò Savona prendendo spunto da una vecchia inchiesta sull'Eolico nella quale si era fatto riferimento ai rapporti del deputato con un imprenditore compromesso. E se il “cambio di casacca” di Santi Formica, eletto col Pdl e passato alla Lista Musumeci, è solo tecnico (utile per garantire, numericamente, la sopravvivenza del gruppo parlamentare), paradossale è il cambio di casacca più prestigioso. Quello del governatore. Crocetta, in seguito a feroci polemiche nel Pd, ha lasciato il gruppo Megafono passando a quello dei democratici. E così, a Sala d'Ercole, per mesi potevi imbatterti in una “Lista Crocetta”. Ma senza Crocetta.