martedì 6 ottobre 2015

Un uomo solo al comando. Del nulla. Un eroe italiano di cui nessuno vuol parlare. - Sergio Di Cori Modigliani



La più potente, poderosa e importante battaglia politica per garantire la libera informazione in Italia e la possibilità di aumentare la diffusione della cultura nel nostro paese si è appena conclusa, qualche ora fa.
La sua vicenda è andata dipanandosi sotto gli occhi di tutti.
Nella più totale indifferenza da parte di ogni soggetto politico presente in Parlamento e, aggiungiamoci pure, nella più totale indifferenza anche da parte di movimenti e associazioni, al di fuori del Parlamento, che ritengono di avere a cuore il destino culturale di questa scombiccherata nazione.
La battaglia non ha avuto oppositori, e quindi non si potrebbe neppure sostenere che è stata una “battaglia vinta”. Peggio. E’ stata una battaglia nella quale chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo dell’antagonista -e quindi i movimenti di opposizione di questo paese- sono finiti, per propria scelta, nella categoria di “coloro che scelgono di non voler combattere le battaglie che contano”.
C’è stata, e c’è tuttora, una persona soltanto che ha detto no. Un’unica azienda. Un unico marchio. Un unico individuo.
Si chiama Roberto Calasso. La sua è un’azienda editoriale. Il suo marchio è Adelphi.
Vediamo di che cosa si tratta.
Questa mattina, alle 9.30, in violazione delle regole del buon senso e forse anche delle regole vigenti, è nata la Mondazzoli, la più forte e robusta azienda editoriale che produce libri in questo paese. La Mondadori, infatti, ha ufficialmente acquistato la Rizzoli libri per la cifra di 125,7 milioni di euro, nonostante l’offerta della Mondadori fosse stata di 138 milioni e la Rizzoli avesse accettato. Grazie a questo accordo, la Mondazzoli da oggi controlla il 40,4% del mercato. Se a questo si assommano gli interessi incrociati societari dello stesso gruppo in altri settori mediatici (radio, televisioni private in chiaro, satellitari e pay, video-giochi, smartphone applications, quotidiani cartacei, settimanali, mensili, periodici) la Mondazzoli raggiunge il controllo complessivo di circa l’84% dell’intera produzione nazionale operativa sul territorio della Rpubblica Italiana. Al massimo entro pochi mesi, le piccole realtà operative in Italia verranno spazzate via senza pietà. Si tratta del più grande monopolio nel campo della cultura e in quel segmento editoriale, mai esistito in una nazione occidentale da quando Gutenberg ha inventato la stampa.
Tutto è nato nel febbraio del 2015, otto mesi fa.
La Rizzoli libri, infatti, (il presidente è Paolo Mieli, esponente di punta del centro-sinistra) in seguito al disastroso bilancio del 2014 aveva deciso di vendere la propria quota azionaria. Non ha neppure fatto in tempo a comunicare la decisione che si è presentata come unico acquirente la Mondadori, chiedendo un diritto in esclusiva facendo una offerta. Per rispettare le leggi vigenti, sottoposte al controllo della Consob, è stato esteso al massimo livello possibile il giorno della scadenza definitiva, oltre la quale veniva annullata la possibilità dell’accordo: mercoledì 30 Settembre 2015. Presumo che il motivo che giustificava gli otto mesi di tempo era la preoccupazione che l’Authority  responsabile di controllare ogni azione societaria, nel nome dell’anti-trust, avrebbe potuto mettere i bastoni tra le ruote. Bastava una interrogazione parlamentare, un gruppo politico italiano che avesse preteso un dibattito in aula, denunciando “la violazione di ogni regolamentazione atta ad impedire che nel mercato libero prevalgano i cartelli consociativi a danno della competizione e che si costituiscano e si costruiscano dei  monopoli unici….ecc”. Se qualcuno, alla Camera dei Deputati avesse fatto questo, in qualche modo l’opinione pubblica si sarebbe allertata, se ne sarebbe parlato, ci sarebbero state discussioni, posizioni diverse, dibattiti, polemiche, e i diversi soggetti in campo sarebbero diventati pubblici, scoprendo ciascuno le proprie carte. Evidentemente l’ordine da parte dei due contraenti è stato quello di mantenere il più basso profilo possibile e fare in modo che nessuno ne parlasse. L’intera stampa finanziata e sostenuta dal centro-destra ha eseguito l’ordine in maniera compatta: è un affare fondamentale per Silvio Berlusconi, è stato detto con una certa chiarezza, e meno se ne parla meglio è. L’intera stampa finanziata e sostenuta dal centro-sinistra ha eseguito l’ordine in maniera compatta: è un affare fondamentale per Paolo Mieli e Carlo de Benedetti, è stato detto con altrettanta chiarezza, e meno se ne parla meglio è. Gli altri, cioè M5s, Sel, e addentellati vari: neppure una parola al riguardo, mai. Vien da chiedersi che cosa ci stiano a fare in Parlamento. O meglio, a non fare. Una volta tanto non me la prendo con la cupola mediatica: il loro atteggiamento è comprensibile in una nazione distopica, cinica, opportunistica e completamente priva di possanza etica come l’Italia. In un modo o nell’altro dipendono economicamente quasi tutti o da Berlusconi o da de Benedetti/Mieli oppure dal PD/Forza Italia; il loro comportamento si adegua al principio carrieristico e se gli editori chiedono silenzio, ebbene, che silenzio sia. Ma l’opposizione, o presunta tale?
Così è andata.
Sarebbe bastato poco, davvero molto poco. Perchè l’accordo viola ogni legge antitrust, ma l’authority che ne regola il funzionamento è un organismo che segue i trend; nel nostro Paese è notoriamente soggetto agli umori delle piazze, reali o virtuali che siano. Davanti a una levata di scudi non avrebbero potuto non intervenire. Lo farà al posto loro l’Europa alla fine del 2016 quando l’intera documentazione sarà stata rubricata, archiviata, formalizzata, e il commissario di Bruxelles la denuncerà. Nel frattempo Mondadori e Rizzoli, insieme, avranno la possibilità di pagare i loro debiti. O meglio, saremo noi a pagarli, come al solito, grazie alla malleveria dei due grandi partiti che andranno in soccorso della Mondazzoli con la consueta didascalia “difendiamo l’Italia che lavora” infilandola dentro la prossima legge di stabilità. Entrambe decotte, senza un progetto industriale, senza un visione culturale, senza mercato, hanno accumulato debiti su debiti seguitando a pubblicare una caterva di libri (che nessuno legge) scritti per lo più da professionisti della cupola mediatica, per lo più con copertura politica, in un giro vizioso perverso che ha strozzato e sta strozzando ogni forma di libertà d’espressione.
Da noi, funziona così.
Si è manifestata un’unica contestazione forte, fin dall’inizio, quella del signor Calasso. Gli autori, gli scrittori, romanzieri, narratori, saggisti che siano, tenuti fuori dal mercato perché pensanti e produttori di contenuti non monetizzabili non si lamentino. Sono, ahinoi, in ottima compagnia. La massa ignora chi sia il signor Calasso. Nel campo editoriale italiano, e non solo, è (giustamente) considerato il più poderoso e colto intellettuale-imprenditore ancora attivo. E’ molto noto, e negli ambienti di chi conosce l’editoria del nostro paese è molto famoso, direi addirittura un mito. Ebbene, lui ha detto no e in otto mesi di solitaria battaglia, lui che -in teoria, ma soltanto in teoria- avrebbe potuto avere a disposizione ogni tipo di platea mediatica, non mi pare che sia riuscito a ottenere neppure una intervistina, un invito a un talk show, la possibilità di spiegare agli italiani che cosa stava accadendo. Per coloro che non sanno chi sia, suggerisco (così, tanto per comprendere il tipo di persona) di visualizzarlo nel personaggio interpretato da Kevin Kostner nel celebre film “Balla con i lupi”. Roberto Calasso è un imprenditore-editore che da solo ha scelto di andare verso la frontiera. Nel 2006, dieci anni fa, quando la Rizzoli manovrava per mangiarsi (come ha fatto) gli altri editori, da Fabbri a Bompiani, da Archinto a Marsilio, si è rivolta alla Adelphi con molto realismo, spiegando che non sarebbe stato in grado di sopravvivere se non all’interno di un solido gruppo antagonista alla Mondadori. Iniziarono una trattativa. Forse Roberto Calasso conosceva i propri polli e sapeva già dove la cosiddetta sinistra intendesse andare a parare e così accettò ponendo due condizioni: 
1) accettava cedendo però soltanto il 45% delle sue azioni, lui avrebbe mantenuto la maggioranza; 
2) chiese di immettere una clausola che gli consentiva un diritto di scelta nel caso, un giorno, la Rizzoli decidesse di vendere (o svendere, come in questo caso) la sezione libri a un soggetto terzo, pretendendo la libertà di essere in disaccordo e quindi chiamandosi fuori, ritornando a essere totalmente indipendente senza pagare alcuna penale. Glielo concessero. 
E così, a febbraio del 2015, quando la Mondadori avanza l’offerta e Paolo Mieli dice sì sì sì, arriva il secco no di Calasso. Lì nascono problemi seri. Perchè il catalogo della Adelphi è talmente ricco e polposo che gli investitori internazionali cominciano a manifestare perplessità. E così si rimanda di mese in mese. Ma non riescono a convincerlo. E intanto la massa debitoria di Rizzoli e Mondadori aumenta a dismisura. E così, il 30 settembre la trattativa salta per “mancanza di ottemperanza nel rispetto dei tempi prestabiliti, come da Legge, e come la normativa Consob prevede”. Ma siamo in Italia, paese dove le regole sono diverse a seconda del peso politico dei contraenti. Escono (venerdì scorso) due articoli: un dispaccio dell’agenzia Reuters e un articolo su Milano Finanza. Li pubblico entrambi qui di seguito. Sono articoli molto molto tecnici, che descrivono l’accordo come se si trattasse di due aziende che vendono sapone in polvere o tondelli di ferro, senza minimanente far riferimento all’impatto devastante che la nascita della Mondazzoli avrà sulla vita culturale italiana: l’appiattirà, la cancellerà, spingendola al ribasso verso una marketizzazione priva di valori contenutistici.
Ecco i due articoli apparsi lo scorso giovedì:
Il momentaneo rinvio della vendita di Rcs  Libri a Mondadori  non impedirà la conclusione dell’operazione, troppo importante per entrambi i gruppi. Il deal, il cui valore complessivo dovrebbe essere di 135 milioni di euro, secondo gli analisti di Mediobanca  Securities, sarà finalizzato al più tardi nei prossimi giorni.  Soprattutto perché il gruppo di via Rizzoli non ha tempo da perdere a causa dell’aumento di capitale da almeno 200 milioni di euro a cui andrebbe in contro qualora sfumasse l’operazione. “Il ritardo sembra principalmente legato alle preoccupazioni legate all’Antitrust (che potrebbe prendersi 90 giorni o più per definire il da farsi, ndr) e alla definizione del perimetro di consolidamento”, spiegano gli esperti della banca d’affari. Il problema dell’Antitrust, infatti, riguarda la tempistica necessaria per la delibera sul deal. Con l’acquisizione di Rcs Libri, Mondadori  acquisirebbe il 40% del mercato, manovra che potrebbe spingere l’Authority a imporre al gruppo di Segrate la cessione di alcuni marchi e case editrici. Inoltre, poiché è di dominio pubblico la pressione delle banche su Rcs Mondadori  avrebbe richiesto uno sconto sul prezzo di vendita. “E’ una storia infinita, se si considera che la prima offerta non vincolante è stata presentata a febbraio di quest’anno”, commentano gli analisti, “tuttavia, continuiamo a credere che un accordo sarà raggiunto. Il deal è estremamente importante per entrambe i due gruppi”, ribadiscono alla banca d’affari. “Rcs  avrà la possibilità di ridurre visibilmente il suo debito: una riduzione di più di 100 milioni di euro, cifra che si confronta con una capitalizzazione di mercato di 450 milioni di euro, subendo però un impatto molto limitato a livello di free cash flow. Inoltre”, proseguono gli analisti, “il gruppo potrà concentrarsi sul nuovo piano strategico, che mira ad accelerare sui segmenti del digitale, dello sport e delle news”………Dall’altro lato, Mondadori  potrebbe creare una discreta quantità di valore dall’operazione. “La società ha l’obiettivo di guadagnare 15 milioni l’anno nel corso dei prossimi tre anni, ovvero una cifra compresa tra 60 e 80 milioni di euro, che rappresenta il 30% circa della capitalizzazione di mercato della società”, concludono gli esperti che, in attesa del lieto fine delle trattative, ribadiscono la raccomandazione outperform su entrambi i titoli con un target price di 1,44 euro per Rcs  e di 1,34 euro per Mondadori ……..Ma a Piazza Affari il titolo Rcs  crolla dell’8,11% a quota 0,8215 euro in scia alla notizia della momentanea battuta d’arresto delle trattative. Scambia, invece, sulla parità Mondadori  a quota 0,94 euro: ieri la società ha concluso la cessione a Mediaset  dell’80% di R101 e ha venduto ad Harlequin la sua parte nella joint venture comune per un incasso complessivo paria a 45,1 milioni.…..

Rcs perde fino a 9%, Mondadori stabile dopo nuovo rinvio su Libri

agenzia di stampa Reuters. Pubblicato Giovedì 1 ottobre 2015 alle ore 12:28
MILANO (Reuters) – Tonfo in borsa per Rcs mentre non si muove quasi Mondadori dopo il nuovo rinvio della vendita di Rcs Libri che, se saltasse, renderebbe più concreto il rischio di un aumento di capitale per il gruppo di via Rizzoli. La notizia ha sorpreso il mercato che si aspettava la chiusura dell’operazione ieri, ossia entro il termine dell’esclusiva già più volte prorogata. “La negoziazione si sta mostrando più complessa del previsto”, commenta Equita in una nota. Molti i broker che restano convinti che l’operazione comunque si farà. Secondo alcune fonti la trattativa si è arenata sulla questione della valutazione del rischio Antitrust. Intorno alle 11,45 Rcs cede l’8,8% a 0,815 euro con volumi già tre volte superiori alla media di un’intera seduta. Mondadori cede lo 0,21% a 0,938 euro mentre il mercato sale dello 0,6%. Se fallissero le trattative per Rcs tornerebbe il rischio di esercizio della delega per un aumento di capitale da 190 milioni, osserva un analista scettico sulla possibilità che altre cessioni si chiudano entro la fine dell’anno. Una vendita, scrive Equita, permetterebbe invece un miglioramento del debito di Rcs (visto sotto le 3 volte l’Ebitda stimato per il 2016) e di evitare così l’aumento di capitale dopo la rinegoziazione dei covenant con le banche.
 
Oggi, invece, esce sulla prima pagina del quotidiano Il Tempo, che rappresenta a Roma gli il centro-destra, con un titolo che la dice tutta: “L’affare è fatto!“.
Eccolo qui di seguito.
Rcs ha ceduto a Mondadori la sua area Libri per 127,5 milioni di euro. L’operazione è stata approvata nella giornata di oggi dal consiglio di amministrazione. Le trattative tra le due società erano cominciate a metà febbraio, quando Mondadori fece la prima offerta non vincolante per l’area Libri del gruppo Rizzoli.
Adelphi è stata esclusa dalla cessione: il 58% della casa editrice che fa capo a Rcs sarà infatti ceduto al socio Roberto Calasso. Nasce un ‘gigante’ della letteratura, con quasi il 40% del mercato. Con la firma del contratto di acquisto di Rcs Libri, Mondadori porta sotto il suo controllo oltre a Rizzoli una serie di marchi storici dell’editoria italiana. Per questo l’operazione, da cui è stata esclusa Adelphi, dovrà avere il via libera dell’Antitrust. Da Bompiani a Einaudi ad Archinto, ecco le case editrici coinvolte.
Soddisfatta Marina Berlusconi, presidente della Arnoldo Mondadori editore: “È un’operazione di cui siamo particolarmente orgogliosi. Un rilevante investimento, da parte di una grande azienda italiana, in un settore nobile e speciale come quello del libro”, ha dichiarato. “La Mondadori, di cui la mia famiglia è l’editore da ormai 25 anni, torna a crescere e compie un passo cruciale verso una sempre maggiore solidità. Ma quello annunciato ieri sera è anche un investimento sul futuro del nostro Paese e sulla qualità di questo futuro. Le dinamiche del settore spingono in tutto il mondo gli editori ad unire le forze. Un processo che in Italia, dove gli operatori hanno dimensioni molto più piccole rispetto a quelli degli altri principali Paesi, risulta ancora più necessario. L’acquisizione della Rcs Libri va in questa direzione. (…) E soprattutto siamo determinati a mettere tutto l’impegno necessario per tutelare e valorizzare quel sistema di eccellenze editoriali e culturali di cui la Mondadori si trova al centro. MONDADORI Il gruppo retto da Marina Berlusconi già guida il mercato dell’editoria, con una quota a valore del 26,5%, secondo dati Nielsen aggiornati al 2014. Ecco i suoi marchi. 
Edizioni Mondadori: il primo libro pubblicato risale al 1912. Oggi copre tutti i segmenti di mercato ed è il maggiore editore di libri in Italia, con una quota del 12,3%.
Einaudi: fondata a Torino nel 1933, fu acquisita da Mondadori nel 1994. Nel gruppo è la casa editrice caratterizzata da impegno culturale e da cura della qualità.
Piemme: fondata nel 1982, è entrata nel gruppo Mondadori nel 2003. Pubblica principalmente libri per ragazzi, oltre ad avere una forte produzione nel settore religioso.
Sperling&Kupfer: fondata nel 1899, è tra le piu’ antiche case editrici milanesi. Fu acquisita al 100% da Mondadori nel 1995. Oggi pubblica narrativa, prevalentemente destinata al pubblico femminile, anche con il marchio Frassinelli.
Electa: è dal 1945 il marchio dei libri d’arte. 
RCS LIBRI Fa capo per il 99,99% a Rcs Mediagroup ed è il secondo editore in Italia, dietro a Mondadori, con una quota di mercato pari al 12,1% nel 2014. Ecco i suoi marchi.
Rizzoli: è la casa editrice più generalista del gruppo, fondata nel 1927.
Bur: è il marchio dei tascabili della Rizzoli. Pubblica classici della letteratura a basso prezzo.
Bompiani: fondata da Valentino Bompiani nel 1929, è oggi diretta da Elisabetta Sgarbi ed edita principalmente volumi di narrativa e saggistica.
Fabbri editori: fondata nel 1947, è la casa editrice dei libri per ragazzi e per l’apprendimento, spesso venduti in edicola.
Marsilio: fondata a Padova nel 1961, ha pubblicato negli anni oltre 7.000 titoli in tutti gli ambiti. Dal 2000 Rcs ne detiene il 51% circa e salira’ al 95% prima della chiusura della vendita. Al suo interno c’e’, dal 2010, anche Sonzogno, la piu’ antica casa editrice coinvolta nell’operazione: ha 150 anni e si rivolge principalmente a un pubblico femminile.
Archinto: fondata nel 1985, passa al gruppo Rcs nel 2003. È la casa editrice degli epistolari.
 
Chiunque covasse speranze pensando a un Renzi rottamatore e/o riformatore, se le scordi; chiunque pensasse che in Italia esiste una solida opposizione politica (M5s, Sel e affini) agli accordi feudali di consociativismo medioevale tra la destra e la sinistra, se lo scordi.
Pagheremo tra un anno la pesante penale europea e passerà tutto in cavalleria.
In realtà si tratta della fine annunciata della libertà intellettuale in Italia, e il messaggio politico è molto chiaro, netto, distinto: decidiamo noi che cosa farvi leggere, come, e dove.
Non stupiamoci se chiudono le librerie, i piccoli editori seri falliscono, e -come sostengono i dati statistici- la Repubblica Italiana segna il più avvilente e triste record dal 1946 a oggi: è il paese in tutto l’occidente in cui si legge di meno, e nei primi sei mesi del 2015 gli indici di lettura denunciano un crollo verticale.
Siamo ormai considerati un paese di analfabeti funzionali.
Lunga vita a Roberto Calasso. 
P.S.
Qui di seguito, vi posto una scheda sintetica che ritengo attendibile sulla casa editrice Adelphi, pubblicata a febbraio del 2015 sul sito “direfarescrivere.it“.

Adelphi: sinonimo di letteratura colta e di qualità
per un’editoria intesa come espressione artistica
Cinquant’anni di storia della casa editrice milanese dal profilo unico
che combina con grazia tradizione e originalità, eleganza e sobrietà

di M. Vitalba Giudice
Adelphi viene fondata nel 1962 dal critico letterario Luciano Foà e dall’imprenditore Roberto Olivetti. Tuttavia, all’interno della casa editrice milanese, gioca un ruolo di fondamentale importanza anche Roberto “Bobi” Bazlen, che concorre a definire l’identità di Adelphi e a sviluppare una linea editoriale originale e unica nel panorama italiano. L’intellettuale triestino riesce ad apportare un significativo contributo non solo grazie alle esperienze maturate come traduttore negli anni Quaranta, ma anche grazie alle numerose relazioni intrattenute con letterati del tempo quali ad esempio Montale, Landolfi e Savino.
Nel progetto della nascente casa editrice viene, inoltre, riservato uno spazio a Giorgio Colli e Mazzino Montinari, il cui apporto risulta interessante grazie anche a un’edizione critica e alla traduzione delle opere di Friedrich Nietzsche. Tra i primi giovani collaboratori esterni figurano il futuro direttore editoriale Roberto Calasso, Claudio Rugafiori, Piero Bertolucci, che diventerà responsabile della produzione, e Nino Cappelletti, che dirigerà l’ufficio tecnico-grafico.
Il simbolo della casa editrice è un antico pittogramma cinese: «Il nostro marchio riproduce un disegno inciso su un antico bronzo cinese. In basso c’è una falce di luna e sopra due figure umane, una un po’ più grossa, a testa in giù, e l’altra a testa in su. Queste due figure sulla luna nuova vogliono significare morte e resurrezione, morte e rinascita». La contrapposizione vita-morte proposta da Adelphi assume diversi significati simbolici, soprattutto se accostata al nome della casa editrice, che deriva dal greco (ἀδελφοί) e significa “fratelli”.Le principali collane
Nel 1963 viene inaugurata la collana d’esordio Classici, raccolta tradizionale ma accompagnata da una raffinata analisi critica, stesa con grande cura editoriale e redazionale. I primi quattro titoli pubblicati sono Opere di Georg Büchner, Tutte le novelle di Gottfried Keller, La vita e le avventure di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, Fede e bellezza di Niccolò Tommaseo.
Il carattere innovativo di Adelphi appare evidente soprattutto negli anni successivi: nel 1964 nasce la collana Saggi e nel 1965 viene inaugurata la collana Biblioteca Adelphi. Quest’ultima, tra le più prestigiose e longeve raccolte della casa editrice, contiene testi eterogenei e oggi è la collana guida di Adelphi; la sua veste grafica è molto semplice e, come recita il risvolto, ospita «Una serie di libri unici scelti secondo un unico criterio: la profondità dell’esperienza da cui nascono e di cui sono viva testimonianza. Libri di oggi e di ieri – romanzi, saggi, autobiografie, opere teatrali – esperienze della realtà o dell’immaginazione, del mondo degli affetti e del pensiero».
Sempre nel 1965 Adelphi acquisisce il marchio e il catalogo della Frassinelli, di cui vengono riproposte varie opere tra le quali Dedalus di James Joyce e Moby Dick di Herman Melville tradotte da Pavese. Tuttavia, il successo maggiore arriva con il romanzo di Hermann Hesse, Siddharta, nella versione di Massimo Mila che, acquistato con il catalogo Frassinelli pubblicato nel 1973, venderà circa 500.000 copie in un decennio.Il successo di Adelphi
Il vero periodo di espansione per Adelphi arriva nel 1971: grazie a un nuovo assetto societario, la casa editrice milanese può finalmente contare su un budget più solido e ampliare così la propria produzione, che passa dai circa dieci titoli annuali degli anni Sessanta ai quasi quaranta degli anni Settanta. Sempre nel 1971 la carica di direttore editoriale viene assunta da Roberto Calasso, che negli anni, grazie alle proprie capacità, riuscirà a ritagliare per Adelphi un importante ruolo nel panorama italiano, sviluppando un’editoria intesa come vera e propria forma d’arte. Per Calasso i testi scelti per essere stampati sono «come anelli di un’unica catena, o segmenti di un serpente di libri, o frammenti di un singolo libro formato da tutti i libri pubblicati da quell’editore».
La crisi di mercato degli anni Ottanta interessa solo parzialmente Adelphi, che nel tempo si è maggiormente concentrata sulla narrativa straniera. Nel 1985, la casa editrice milanese riesce ad affermarsi con la pubblicazione del romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Milan Kundera, titolo d’esordio della collana Fabula e definito dalla critica come un vero e proprio fenomeno culturale, di mercato e di costume. Il boom iniziale delle vendite è da rintracciare anche nella pubblicità che Roberto D’Agostino fa nel programma televisivo Quelli della notte, che diviene una trasmissione di successo per un pubblico medio-alto. La raccolta Fabula ospiterà inoltre autori quali, ad esempio, Patrick McGrath, Cathleen Shine, Ann-Marie MacDonald, rispondendo alla domanda di una narrativa semplice, lontana da sperimentalismi forzati e dagli eccessi, che tuttavia non rinuncia a una produzione di qualità.
Nel 1985 Adelphi aumenta progressivamente la presenza di autori italiani nel proprio catalogo, grazie all’acquisizione delle opere di Giorgio Manganelli (1985), Leonardo Sciascia e Anna Maria Ortese (dal 1986), Tommaso Landolfi (dal 1992), Alberto Arbasino (dal 1993), e poi Ennio Flaiano e Goffredo Parise.
Dal 1989 in poi raddoppia i titoli annualmente prodotti, grazie anche al successo della collana Tascabili Adelphi.
Come suggerisce il giornalista Gian Carlo Ferretti, il successo della casa editrice Adelphi è soprattutto da rintracciare nella «capacità di mantenere un’immagine coerente con la propria storia editoriale pur attraverso i cambiamenti delle diverse epoche e di diventare nell’immaginario del lettore colto il nuovo archetipo del libro di cultura: fenomeno culturale e di costume insieme, favorito anche dalla grande visibilità su quotidiani di orientamento politico-culturale opposto».
M. Vitalba Giudice(direfarescrivere, anno XI, n. 110, febbraio 2015)

lunedì 5 ottobre 2015

Siria, "11 milioni per il riscatto di Greta e Vanessa"

Siria, "11 milioni per il riscatto di Greta e Vanessa"

Fonti giudiziarie ad Aleppo affermano che per le due volontarie italiane rapite lo scorso anno venne pagata una somma divisa fra vari signori della guerra locali. Uno di loro è finito sotto processo. La Farnesina nega, ma le opposizioni vanno all'attacco di Gentiloni.

Per il rilascio di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria lo scorso anno, sarebbe stato pagato un riscatto di circa 11 mln di euro. Lo dicono fonti giudiziarie di Aleppo, secondo cui una delle persone coinvolte nel negoziato è stata condannata per essersi intascata circa metà del riscatto. Il "tribunale islamico" del Movimento Nureddin Zenki, una delle milizie già indicata come coinvolta nel sequestro, ha condannato Hussam Atrash, descritto come uno dei signori della guerra locali, capo del gruppo Ansar al Islam.  L'agenzia ANSA ha ricevuto una copia digitale del testo della condanna emessa il 2 ottobre scorso dal tribunale Qasimiya del movimento Zenki nella provincia di Atareb. Secondo la condanna, Atrash, basato ad Abzimo, la località dove scomparvero Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, si è intascato 5 dei 12 milioni e mezzo di dollari, equivalenti a poco più di 11 milioni di euro. I restanti 7 milioni e mezzo - affermano fonti di Atareb interpellate dall'ANSA telefonicamente - sono stati divisi tra i restanti signori della guerra locali.

Subito dopo la liberazione delle due ragazze, a gennaio, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva definito "priva di fondamento" la notizia già circolata circa il pagamento di una somma ingente alle milizie locali. In un'interrogazione parlamentare, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (FI) chiede al governo "se ha versato soldi e finanziato i fondamentalisti islamici. Mi chiedo poi quali misure abbia assunto per impedire che si verifichino altri casi come quello delle due ragazze bresciane, partite con una missione i cui contorni restano sostanzialmente sconosciuti e di cui non abbiamo finora ancora compreso la portata. Ovviamente mi auguro ci sia una smentita. In caso contrario il messaggio sarebbe devastante".

Ma le opposizioni tornano all'attacco e chiedono le dimissioni del ministro. Da M5s e Lega arrivano le critiche più dure: "È evidente che Gentiloni ha ormai perso credibilità: faccia mea culpa e rassegni le dimissioni" dichiarano, in una nota congiunta, parlamentari pentastellati della Commissione esteri e del Copasir.


http://www.repubblica.it/esteri/2015/10/05/news/siria_11_milioni_per_il_riscatto_di_greta_e_vanessa-124388969/

Air France: rivolta dei dipendenti, manager scappa a torso nudo.

Air France: strappati gli abiti, manager in fuga © AP

Air France: strappati gli abiti, manager in fugaRIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA/AP


La foto fa il giro del web.


Rivolta dei dipendenti Air France: in un centinaio sono entrati nella sede della compagnia, urlando slogan contro i dirigenti. Il capo risorse umane, Xavier Broseta, si è visto costretto a scappare a torso nudo, con la camicia strappata. Secondo il sindacato CGT citato dal Figaro, l'uomo - la cui foto a torso nudo impazza sul web - ha dovuto scalare "delle barriere per salvarsi".


La riunione del comitato centrale d'impresa di Air France, che deve decidere quanti posti di lavoro saranno tagliati nel prossimo piano di rilancio, è stata interrotta da "diverse centinaia" di dipendenti in protesta, che sono entrati nella sede urlando slogan contro i dirigenti. Lo riportano fonti sindacali, citate dai media francesi. Il meeting, precisa la società, riprenderà alle 14.30.

INDIGENI RIFIUTANO UN MILIARDO DI DOLLARI DAL GIGANTE PETROLIFERO PER UN NUOVO GASDOTTO IN CANADA. - Francesca Mancuso

gasdottoindigeni

Una storia da leggere con calma, staccandosi per un momento dagli impegni del quotidiano. Una testimonianza di amore incondizionato e di attaccamento per Madre Terra. Voliamo virtualmente al confine tra Canada e Alaska, dove vivono gli indigeni Lax Kw’alaams: nelle loro terre verrà costruito l'impianto per la produzione di gas naturale liquefatto Pacific Northwest. È stato offerto loro un mega risarcimento di un miliardo di dollari da parte della società petrolifera Petronas, ma i Lax Kw’alaams hanno rifiutato.
L'offerta comprendeva esattamente un miliardo cash in 40 anni e altri 108 milioni in terre, pari a 320mila dollari per ogni indigeno. Un NO che suona ancora più forte se si pensa che è il simbolo della Natura contro i veleni umani, dell'amore per la terra contro quello delle multinazionali per il denaro.
Bastano le parole del grande capo Stewart Phillip a far capire come il denaro sia nulla se rapportato al valore degli ecosistemi naturali, di cui gli indigeni si porgono a tutela:
I nostri anziani ci ricordano che il denaro è come la polvere che viene soffiata via velocemente dal vento, mentre la terra è per sempre” ha detto al quotidiano canadese The Globe and Mail.
Facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia che si snoda attorno al progetto del gruppo Pacific Northwest Lng (Pnw Lng), un piano che prevede un investimento da 11,4 miliardi di dollari per la realizzazione di una struttura dedicata alla trasformazione del gas naturale in gas naturale liquido e poi al trasporto in Asia via mare lungo un gasdotto di 950 chilometri. Non è un errore: quasi 1000 km.
La struttura partirebbe dall'isola Lelu e dal Flora Bank, un banco di sabbia che la marea a volta nasconde sull'estuario del fiume Skeena. E qui si aggancia la vicenda dei Lax Kw’alaams che rivendicano queste aree come indigene. Il fiume Skeena è l'antichissima casa di questa comunità formata da 3.600 persone, che hanno accesso esclusivo alle risorse naturali.
firstnation
Spiegano gli indigeni che il significato della foce del fiume Skeena non può essere sottovalutato e che i Kw'alaams Lax sono vincolati dalla legge tradizionale che coinvolge anche le altre comunità a proteggere le risorse naturali per le generazioni future.
In base alla legge canadese, Petronas, proprietario di maggioranza del gruppo Pacific Northwest Lng, doveva avviare le consultazioni con la comunità indigena. Così ha fatto. Ma i Lax Kw’alaams hanno rifiutato all'unanimità l'enorme risarcimento offerto, rivendicando il diritto sancito dall’articolo 10 della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite. E in un comunicato spiegano:
“ Speriamo che il pubblico riconosca il consenso unanime della comunità (dove l'unanimità è l'eccezione) nei confronti di un progetto in cui alla comunità stessa è fatta un'offerta al di sopra di un miliardo di dollari. Non è un problema di soldi ma una questione ambientale e culturale”.
Per il progetto, gli indigeni saranno esclusi dall’isola Lelu, da cui ricavano tradizionalmente piante e medicine tradizionali. Non si tratta solo di diritti delle popolazioni indigene ma di un'intera comunità che non vuole sacrificare i propri luoghi per gli interessi delle multinazionali. La consultazione per il progetto è stata rivolta a cinque gruppi indigeni ma solo i Lax Kw’alaams hanno rifiutato ogni compromesso pur essendosi detti aperti al dialogo e al confronto.
Peccato però che intanto il governo provinciale abbia rinnovato il proprio impegno nel progetto, firmando un accordo con Pacific Northwest Lng per uno dei 19 progetti nella Columbia Britannica. L'ultima parola spetta ora alla Canadian Environmental Assessment Agency, che si pronuncerà in autunno.

domenica 4 ottobre 2015

Afghanistan: bombe Usa su ospedale Kunduz. Per Msf almeno 20 morti. Pentagono: "Indagine insieme a Kabul".

© EPA


Il bombardamento sull'ospedale afghano sarebbe stato lanciato per errore.


Médecins sans Frontières (Msf) si è ritirata da Kunduz, la città afghana dove ieri l'ospedale è stato distrutto da un raid aereo, condotto dagli Usa secondo Msf, con almeno 19 morti e decine tra feriti e dispersi. Kate Stegeman, portavoce di Msf, ha precisato che parte del personale sta lavorando in altre strutture della città.
ll presidente Usa, Barack Obama, esprime cordoglio per i medici e i civili rimasti uccisi nel "tragico incidente" all'ospedale Msf a Kunduz, ma precisa di voler aspettare i risultati dell'inchiesta del Pentagono "prima di esprimere qualsiasi giudizio". E' quanto si legge in una nota della Casa Bianca.
"Il ministero della Difesa ha lanciato un'inchiesta completa e aspetteremo i risultati prima di dare un giudizio definitivo sulle circostanze di questa tragedia", ha detto Obama. "Ho chiesto al dipartimento di tenermi al corrente delle indagini e mi aspetto un resoconto completo dei fatti e delle circostanze. Michelle e io preghiamo per tutti i civili colpiti da questo incidente, le loro famiglie e le persone care", prosegue il presidente. Obama ha quindi ribadito che "continueremo a lavorare a stretto contatto con il presidente Ghani, il governo afgano e i nostri partner internazionali per sostenere le forze di difesa nazionale afghane che lavorano per garantire la sicurezza al loro Paese".
Bombe americane colpiscono l'ospedale di Medici senza Frontiere (Msf) a Kunduz, in Afghanistan, città sotto il controllo dei talebani e da giorni teatro di scontri con le forze di sicurezza governative: almeno 20 morti il bilancio provvisorio, secondo quanto detto al Guardian online fonti di Msf. I feriti sono numerosi e il bilancio è destinato a salire. Il bombardamento è proseguito per mezz'ora dalla segnalazione alle forze armate Usa e afgane, denuncia Msf su Twitter, aggiungendo che "tutte le parti in conflitto, incluse Kabul e Washington, conoscevano le coordinate delle nostre strutture già da mesi".
Le forze americane, tramite il portavoce delle forze Usa in Afghanistan, colonnello Brian Tribus, hanno detto che l'operazione "potrebbe avere causato danni collaterali ad una struttura medica della città". "Indaghiamo sull'incidente", ha aggiunto. "Le forze Usa hanno condotto un raid aereo sulla città di Kunduz alle 2,15 locali, contro individui che minacciavano le forze".
Mentre Kabul sostiene che nell'ospedale "si nascondevano 10-15 terroristi", tutti "uccisi, ma fra le vittime ci sono stati anche dottori". Circa 80 membri dello staff dell'ospedale, fra cui 15 stranieri, sono stati portati in salvo.
Pentagono, indagine completa insieme a Kabul - "Stiamo cercando di determinare cosa sia successo esattamente e voglio esprimere il mio cordoglio alle persone colpite". Così, il segretario alla Difesa Usa, Ash Carter, dopo i raid aerei Usa che hanno colpito l'ospedale Msf a Kunduz, in Afghanistan, provocando almeno 20 morti. "Un'indagine completa sui tragici fatti è in corso in coordinamento con il governo afghano", ha aggiunto.
Ue deplora morti - "Sono profondamente scioccato nell'apprendere della morte di almeno nove membri dello staff di Msf nel bombardamento" di un ospedale a Kunduz. Così il Commissario Ue per l'Aiuto umanitario e la gestione delle crisi Christos Stylianides in una nota con cui la Commissione Ue "deplora le morti", porgendo "sincere condoglianze".
I talebani hanno condannato "il selvaggio attacco" in cui sono stati "martirizzati decine di medici, infermiere e pazienti". 
    L'Emirato islamico dell'Afghanistan, sostiene il portavoce Zabihullah Mujahid, "condanna questo crimine americano". Questo gesto, si dice ancora, mostra agli afghani e al mondo "la natura spietata ed ipocrita degli invasori e dei loro mercenari".
Emergency esprime la "sua solidarietà a Medici senza Frontiere e condanna fermamente l'attacco. "Bombardare un ospedale dove si curano i feriti è un atto di violenza inaccettabile. Un ospedale è un luogo di cura che come tale va tutelato e ciò è possibile solo se gli ospedali vengono rispettati da tutte le parti in conflitto, come previsto dalle convenzioni di Ginevra".

Oggi pomeriggio Msf trasferirà alcuni feriti all'ospedale di Emergency a Kabul. Emergency resta a disposizione di Msf e della popolazione di Kunduz per curare gli altri feriti che potranno essere evacuati dalla città. Emergency, che in Afghanistan gestisce 3 ospedali, 1 centri di Maternità e 45 posti di primo soccorso, è molto preoccupata dal costante peggioramento delle condizioni di sicurezza: nel Paese si combatte in 25 province su 34 e il numero dei feriti e delle vittime civili cresce di mese in mese. La "violenza e l'instabilità in cui sta precipitando l'Afghanistan rende sempre più difficile garantire l'attività degli operatori umanitari e tutto questo rischia di tradursi in un ulteriore danno a discapito della popolazione afgana", conclude la nota.

venerdì 2 ottobre 2015

Siria: un rovescio geopolitico Usa. Che avrà conseguenze. - Maurizio Blondet

300915

Le bombe russe non avevano ancora toccato il suolo, che già tv e altri media occidentali urlavano la propaganda americana: “Hanno ammazzato dei bambini!”, “Hanno colpito non l’ISIS ma l’opposizione moderata”, (cioè Al Qaeda…). “Hanno sbagliato bersaglio! Usato bombe non guidate, sono schiappe!” (The Aviationist). Praticamente tutti i media americani, dovendo citare Assad, lo fanno precedere da sereni appellativi come: “Il boia di Damasco”, il “Mostro”, colui che “ha gassato il suo popolo” (accusa comprovata falsa già da due anni: nel 2013 furono i ‘ribelli moderati’ a gettare il gas nervino, apposta per provocare l’intervento occidentale).
La Francia “apre un’inchiesta contro Assad per crimini contro l’umanità”. Ha le prove. Come no: un “fotografo del regime”, nome in codice Cesar, incaricato dal regime medesimo di fotografare i morti e torturati dal suddetto e medesimo regime, è fuggito a Parigi con 55 mila foto di cadaveri straziati. Proprio adesso. Tutto vero: il Corriere lo mette a pagina 2.
Maria Zakharova, la portavoce di Lavrov, Ministro degli Esteri di Mosca, s’è stupita coi giornalisti della rapidità con cui sono comparse foto dei civili feriti. “Sappiamo come si fanno queste foto”, ha detto ricordando “Wag the Dog”, il film del ’97 con De Niro e Dustin Hoffman (in Italia, “Sesso e Potere”) che narra della fabbricazione di una guerra degli Usa contro l’Albania, tutta fatta al photoshop e con effetti speciali elettronici tv.
E’ tutto un gran dispiacere perché, come ha   ammesso un think tank di Londra, “la Russia sta danneggiando Al Qaeda, il che è una brutta cosa” (a bad thing). Il think tank che s’è lasciato sfuggire il disappunto è il Royal United Services Institute (RUSI), una emanazione dei servizi. Al Qaeda (oggi Al Nusrah) è adesso “l’opposizione moderata”. Il noto generale Petraeus, solo due mesi fa’ ha apertamente spiegato al Senato che Al Qaeda è oggi l’alleato migliore degli Usa per  “ debellare l’ISIS” (leggi: cacciare Assad) e va’   quindi armata ben bene.
Cosa un po’ difficile da far ingollare all’opinione pubblica americana, per quanto manipolata: scusate, ma non è Al Qaeda che – come ci avete detto voi – ha ucciso 3 mila americani nelle Twin Towers l’11 Settembre? E adesso dovremmo allearci con questi? Ma qualcuno l’ha pur ingollata: per esempio Radio Radicale, che mai come oggi s’è rivelato un asset neocon americanista, leggendo religiosamente solo i giudizi del New York Times, del Washington Post, ma soprattutto del Wall Street Journal, senza dimenticare l’organo francese dei Rotschild, Libération, il più scatenato (si sa, Putin è omofobo..).
La tesi generale della propaganda è: Putin, bombardando Al Qaeda, “aiuta l’ISIS” invece di combatterlo. “Getta benzina sul fuoco della guerra civile”, ha lamentato Washington (che ha gettato benzina sul fuoco di tutte le guerre civili che le piacciono, dall’Ucraina alla Libia, dall’Irak alla Somalia…).
In realtà, la ragione tattica delle  prime azioni russe è trasparente: anzitutto,  ha “ripulito gli angolini” attorno alla propria base aerea, l’aeroporto di Jableh. La prima ondata ha neutralizzato centri di comando, depositi di carburante e munizioni, nidi d’artiglieria e blindati di Al Qaeda (diciamo Cia) a Ghmam e Deir Hana, due città del governatorato di Latakia, a 25-30 chilometri da Jableh. La seconda ondata ha centrato Latamneh et Kafr Zita, nel governatorato di Hama, a 30-40 chilometri dal “suo” aeroporto. La terza ondata ha colpito bersagli nel governatorato di Homs, a 30-50 chilometri a sud-est diJableh. Così, Al Qaeda (o la Cia, diciamo) non potrà più curiosare o insidiare le seguenti operazioni.
Da qui il dispetto generale. 
Del resto è comprensibile. La decisa azione russa ha denudato l’ipocrisia americana che, a capo di una “coalizione” che comprende i sostenitori dei terroristi takfiri (Sauditi, Katar, Erdogan) “bombarda l’ISIS” da due anni sì, ma  con rifornimenti paracadutati, secondo il governo iracheno che lo sta combattendo davvero. Putin ha visto il bluff, ora ad Obama non resta che in qualche modo accodarsi, a parole, e rassegnarsi alla neutralizzazione dei suoi terroristi; ed accettare in qualche modo una “transizione” che non solo comporta la presenza di Assad (e delle minoranze che garantisce) nella futura sistemazione, ma il mantenimento delle strutture istituzionali. Il tutto, con un prevedibile trionfo non solo militare ma etico e politico di Mosca. In Europa, i tagliagole non hanno acquisito una gran popolarità, con le loro decapitazioni, ed il fatto che Putin li stia cercando di eliminare non può esser fatto passare come una violazione di “diritti umani” o un atto d’inciviltà.
In Medio Oriente, tutti i leader di quell’area hanno visto che Mosca non ha tradito l’alleato pericolante, ma lo sostiene con le sue armi; armi che, si può indovinare, avranno presto una più grossa quota di mercato. L’Iran trionfa, anzi tutto l’asse sciita. La Turchia è mal messa. In Israele si stanno certo chiedendo che fare se Mosca sostituisce Washington come egemone regionale…per fortuna tanti ebrei parlano russo.
Il rovesciamento del dato geopolitico è immenso. Le sue conseguenze si sono appena cominciate a vedere. “Riad non esclude il ricorso alla forza militare per cacciare Assad”, ha proclamato il ministro degli esteri saudita (si chiama Adel al-Jubeir) .

esecuzioni quotidiane
esecuzioni quotidiane

Patetico. L’orribile monarchia saudita che decapita e crocifigge giovani per reato d’opinione (strano che Parigi non apra un dossier per i crimini contro l’umanità per la crocifissione di Ali Al-Nimr: http://rhubarbe.net/blog/2015/09/18/ali-al-nimr-lislam-le-sabre-et-la-croix/ deve guardarsi dal nemico interno.
Anzi più che interno: la rivolta cova nel Palazzo.
Un nipote del fondatore della dinastia Abdulaziz Ibn Soud,  anonimo ma sicuramente influente (e quasi certamente sostenuto dai “servizi” britannici) , ha scritto una lettera pubblica e pubblicata dal Guardian per chiedere la detronizzazione del re in carica, l’ottantenne Salman (“in condizioni instabili”, ossia moribondo) e per colpire il suo successore preferito, il figlio Mohammed ibn Salman, che il vecchio morente ha nominato ministro della difesa e insieme dello sviluppo economico: due cariche che dovrebbero dargli tranquillamente la successione, ma oggi sono invece due pietre al collo.

il principe ed erede
il principe ed erede Mohammed bin Salman

E’ infatti lui, come ministro della difesa, il responsabile della vergognosa guerra che la Saudia, lo stato più ricco della zona, ha sferrato contro lo stato più povero, lo Yemen, con grandi stragi (lì sì) di bambini musulmani. La diffusione sul web di foto di cadaverini yemeniti spiaccicati, maciullati, smembrati dalle bombe saudite sta provocando urti di vomito anche nel regno. Strano che La Stampa di Torino, che ha pubblicato la foto del piccolo profugo per commuoverci e  farci accettare i migranti, non pubblichi queste, per farci urlare di indignazione verso la monarchia più mostruosa della storia. Non tutte sono impubblicabili.

Era una bella bambina yemenita
Pubblica anche questa, direttore Calabresi…
Come ministro “dello sviluppo”, l’erede designato è il colpevole anche delle due stragi di fedeli pellegrini musulmani avvenute a La Mecca in rapida successione. Prima, la caduta della gru (200 morti, si dice) e poi, l ‘inimmaginabile eccidio prodotto, alla Mecca durante la Festa del Sacrificio: ufficialmente quasi 800 morti, secondo l’Iran fino a quattromila.

bulldozer alla mecca
I buldozer alla Mecca

 Certo è che i morti sono stati raccolti coi bulldozer. Erano iraniani (almeno 400), nigeriani, pakistani, egiziani , la cui morte diffonde nel mondo islamico la pubblicità meno auspicabile per la monarchia petrolifera e la sua gestione dei luoghi santi.
Tutti ormai sanno in Oriente che la calca dei pellegrini “é stata causata dall’improvviso passaggio del corteo di Mohammed bin Salman al-Saoud, Ministro della Difesa di Riyadh, che, accompagnato da un ‘codazzo’ di 200 militari e 150 poliziotti ha ‘tagliato’ la folla dei pellegrini con una carovana di numerose automobili e furgoncini”, ossia lo stupido arrogante erede. E come fece Nerone quando la voce popolare lo accusò di aver incendiato Roma, lui incolpò i cristiani e li crocifisse, l’erede  ha incolpato gli esecutori e i tecnici.  Laddove tutti gli arabi  sanno che la mostruosa e titanica  ristrutturazione-distruzione della Mecca è un enorme affare con mazzette e bustarelle, per cui i fondi stanziati  non arrivano alle  maestranze.  E la famiglia reale  c’è dentro fino al collo.
Si aggiunga che il protettore americano ha stretto il noto accordo con l’Iran, e dunque la sopravvivenza dei Saud non è più una necessità geopolitica primaria per Washington.
Si aggiunga la caduta dei prezzi del barile, inizialmente voluto da Casa Saud contro gli sfruttatori dello shale in Usa e per tagliare le gambe al concorrente Russia, ma oggi inarrestabile – e che ha costretto la monarchia a mettere mano alle riserve, e i cui conti sono in deficit (secondo il FMI) per 107 miliardi di dollari, pari al 20% del Pil. Il che può obbligare la numerosa e dilapidatrice Famiglia a tagliare le “spese sociali” (diciamo) con cui i Saud comprano il consenso della popolazione, distribuendole in parte i benefici dell’introito petrolifero. Siccome nonostante queste regalie il 40 per cento della popolazione del paese più ricco del mondo arabo vive in povertà e il 40 per cento dei 20-24 enni sono dichiarati disoccupati, la rivolta contro i monarchi (e probabili dunmeh) cova. Il boia, con le sue 175 esecuzioni in otto mesi, riesce a raffreddarla. Ma adesso la rivolta è esplosa nella famiglia reale stessa, col pronunciamento dell’anonimo principe pubblicato dal Guardian  – si noti la maligna astuzia – anche in arabo, per il consumo locale e rinfocolare le discordie.

Alla Mecca

L’anonimo principe dice che anche i capi tribali stanno dalla sua parte nella critica al re e al suo erede. Notabili vari, e persino elementi della famiglia reale: “un sacco di nipoti, una quantità di seconda generazione sono ansiosi”, ha scritto con scherno. Secondo Khairallah Kairallah, ex direttore del giornale Al Hayat, il sistema di potere saudita non può durare, seduto su questo vulcano, più di un anno o un anno e mezzo. Salvo qualche miracolo come la salita del greggio, che però favorirebbe i nemici (Iran, Russia, gli estrattori del gas da scisto americani).
L’azione di Putin ha ridistribuito le carte in Oriente. Gli americani, a meno che non s’inventino qualcosa, non ne hanno in mano di buone. I mostri sauditi le hanno pessime.