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venerdì 15 maggio 2020

Indignazione. - Massimo Erbetti.



Indigniamoci tutti, arrabbiamoci, protestiamo, ma mi raccomando facciamolo a corrente alternata. Non per tutto mi raccomando. Indigniamoci ad esempio per i 4 milioni di riscatto pagato per la liberazione di Silvia Romano. Ma siamo certi che sia stato realmente pagato? Si...cioè no...forse...comunque lo ha detto il fratello del cugino di mia zia, che conosce un tizio, che ha sentito dire da un suo conoscente al bar, che in una conferenza stampa uno dei sequestratori di Silvia Romano, avrebbe affermato che lo stato ha pagato!... Per cui è vero e allora Indigniamoci, Indigniamoci tutti,perche sai quanti italiani potevamo aiutare con quattro milioni? Eh? Ma tu lo sai? Ma anche Silvia Romano è italiana, si è vero, ma si è convertita e allora non si merita il nostro aiuto. Si giusto hai ragione, Indigniamoci, Indigniamoci anche se non sappiamo nemmeno se il riscatto è stato pagato, Indigniamoci anche se la costituzione dice che tutti gli italiani sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione. Indigniamoci e basta.
Non Indigniamoci invece per l'ospedale alla fiera di Milano, no per quello no, 600 posti letto, poi 500, poi 250 e alla fine 57, di cui solo 10 occupati, anzi no, 8 perché due pazienti sono stati dimessi. Non Indigniamoci assolutamente per i 26 milioni di euro spesi per costruirlo, quelli a differenza del riscatto (che ricordo non sappiamo neanche se è stato pagato) della Romano, sono soldi ben spesi. Ben 26 milioni che divisi per 8 pazienti, fanno ben 3.250.000 euro a persona...questo non ci fa indignare? Eh no questo assolutamente no, perché noi ci indignato a comando, noi l'indignazione la proviamo a corrente alternata..una volta si e una no...ci indigniamo quando ci fa comodo, anzi quando fa comodo a "qualcuno".
Buona indignazione "alternata" a tutti.


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martedì 12 maggio 2020

I senzavergogna. - Marco Travaglio


La liberazione di “Aisha” Romano e i nodi geopolitici da sciogliere. Analisi di Ricci
Era un bel po’ che non ci vergognavamo di essere italiani per colpa di nostri connazionali, a parte qualche politico senza vergogna che ci fa vergognare in permanenza da quando è nato. Ieri, a leggere dichiarazioni leghiste e deliri social di conigli da tastiera sulla liberazione di Silvia Romano, la vergogna è tornata. Perché c’è chi è riuscito a sporcare una notizia che tutti avrebbero dovuto salutare con gioia e anche con un pizzico di orgoglio nazionale. Se la nostra cooperante si è convertita all’Islam sono fatti suoi. Se l’ha fatto per costrizione, se non fisica, almeno psicologica, oppure per una scelta “autoprotettiva” come dice il primo referto psicologico, sono ancora fatti suoi. Se resterà per sempre Aisha o un giorno tornerà Silvia sono sempre fatti suoi. Nessuno ha il diritto di intrufolarsi nella sua psiche: per farlo bisognerebbe aver vissuto un anno a mezzo in mezzo alla foresta nelle grinfie di feroci terroristi. Chi non ha subìto quell’atroce esperienza, cioè tutti, dovrebbe solo tacere.
Poi c’è la questione del riscatto, probabilmente pagato dai nostri servizi segreti con fondi riservati (che servono anche a questo) dietro autorizzazione del delegato del governo agli 007: il premier Conte. Su questo ogni opinione è legittima, anche se il dibattito si ripropone sempre uguale dai tempi dei sequestri anni 70 e 80 a opera dei terroristi rossi e delle Anonime calabrese e sarda e di nuovo dopo il 2001, quando ci imbarcammo con Usa e altri alleati nelle guerre in Afghanistan e in Iraq. Ai tempi del terrorismo, lo Stato decise quasi sempre di “pagare”, fuorché per Aldo Moro (ma, quando fu ucciso, il presidente Leone era pronto a liberare una brigatista malata e il Vaticano a versare una grossa somma). E proprio il contraccolpo del suo cadavere segnò l’inizio della fine delle Br. Nel caso delle Anonime Sequestri, erano i famigliari, spesso aiutati da servizi e faccendieri vari, a pagare i riscatti. Poi la legge sul sequestro dei beni e la linea dura di certe Procure, come quella di Palermo in Sardegna (dov’era coinvolto un pm, che poi si suicidò), resero improduttiva quell’attività criminale, che si esaurì. Poi iniziarono i sequestri di nostri contractor, giornalisti e cooperanti in Iraq e Afghanistan e anche allora i nostri governi (il Berlusconi-2 con FI-Lega-An-Udc e il sottosegretario Gianni Letta delegato ai servizi, e poi anche il Prodi-2) decisero di pagare sempre i riscatti. Ma non sempre riuscirono a salvare la vita agli italiani rapiti (il reporter Baldoni e il contractor Quattrocchi furono uccisi, altri come i giornalisti Sgrena e Mastrogiacomo tornarono illesi).
La cosa creò furibonde frizioni con gli alleati americani e inglesi, che invece non pagavano riscatti e sacrificavano i propri ostaggi (ci andò di mezzo il dirigente del Sismi Nicola Calipari, ucciso dal fuoco “amico” made in Usa dopo il riscatto per la Sgrena). Quando a pagare i riscatti era il centrodestra, per non discutere la scelta incoerente e paradossale di B.&C. di entrare in guerra contro il terrorismo e poi di foraggiare i terroristi che si diceva di combattere mettendo vieppiù in pericolo i nostri uomini sul campo, i partiti e i giornali di destra riempivano di insulti gli ostaggi (a parte i contractor) perché “se l’erano cercata”, erano “vispe terese” (le due Simona) e “pirlacchioni in vacanza” (Baldoni). Ora il caso di Silvia Romano, come quelli degli altri ostaggi sequestrati in guerre per bande che non ci riguardano, è totalmente diverso sia da quelli dell’Iraq e dell’Afghanistan, sia da quelli del brigatismo e delle Anonime. Stavolta le ragioni umanitarie non confliggono con gli interessi nazionali. I terroristi islamisti somali di al-Shabaab, impegnati nell’eterna guerra civile del Corno d’Africa, sequestrano occidentali per legittimarsi e arricchirsi, ma non sono una minaccia diretta per l’Italia, come invece lo erano le Br che avevano dichiarato guerra allo Stato, le Anonime Sequestri che esistevano proprio grazie ai riscatti pagati e anche gli islamisti di al Qaeda e delle altre sigle mediorientali che avevano esportato in Occidente la loro folle guerra santa. Dunque pagare un riscatto, come peraltro sempre si è fatto anche nei confronti di nemici diretti e dichiarati, era doveroso.
Ma su questo le opposizioni, se non avessero fatto lo stesso in circostanze molto diverse, sarebbero libere di polemizzare quanto vogliono. Anche di accusare Conte di non aver condannato a morte una ragazza di 20 anni. Purché non mentano. Le polemiche sul ruolo della Turchia, che ha aiutato nelle indagini l’Aise con i suoi servizi molto presenti in Somalia, fanno ridere, visto che è nostra alleata nella Nato. E quelle sulla “passerella” di Conte e Di Maio denotano un tragicomico crollo della memoria. Il 5 marzo 2005, quando a Ciampino atterrò la Sgrena, trovò ad attenderla una delegazione politica ben più pletorica del duo Conte-Di Maio domenica accanto a Silvia: c’erano Berlusconi, Letta, il presidente della Camera Casini, il sindaco Veltroni, il segretario del Quirinale Gifuni e il direttore del Sismi Pollari. Mancava solo Salvini, che si rifece con gl’interessi all’arrivo di Cesare Battisti. E ora chiede “sobrietà” agli altri. Ma va a ciapà i ratt.

lunedì 5 ottobre 2015

Siria, "11 milioni per il riscatto di Greta e Vanessa"

Siria, "11 milioni per il riscatto di Greta e Vanessa"

Fonti giudiziarie ad Aleppo affermano che per le due volontarie italiane rapite lo scorso anno venne pagata una somma divisa fra vari signori della guerra locali. Uno di loro è finito sotto processo. La Farnesina nega, ma le opposizioni vanno all'attacco di Gentiloni.

Per il rilascio di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria lo scorso anno, sarebbe stato pagato un riscatto di circa 11 mln di euro. Lo dicono fonti giudiziarie di Aleppo, secondo cui una delle persone coinvolte nel negoziato è stata condannata per essersi intascata circa metà del riscatto. Il "tribunale islamico" del Movimento Nureddin Zenki, una delle milizie già indicata come coinvolta nel sequestro, ha condannato Hussam Atrash, descritto come uno dei signori della guerra locali, capo del gruppo Ansar al Islam.  L'agenzia ANSA ha ricevuto una copia digitale del testo della condanna emessa il 2 ottobre scorso dal tribunale Qasimiya del movimento Zenki nella provincia di Atareb. Secondo la condanna, Atrash, basato ad Abzimo, la località dove scomparvero Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, si è intascato 5 dei 12 milioni e mezzo di dollari, equivalenti a poco più di 11 milioni di euro. I restanti 7 milioni e mezzo - affermano fonti di Atareb interpellate dall'ANSA telefonicamente - sono stati divisi tra i restanti signori della guerra locali.

Subito dopo la liberazione delle due ragazze, a gennaio, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva definito "priva di fondamento" la notizia già circolata circa il pagamento di una somma ingente alle milizie locali. In un'interrogazione parlamentare, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (FI) chiede al governo "se ha versato soldi e finanziato i fondamentalisti islamici. Mi chiedo poi quali misure abbia assunto per impedire che si verifichino altri casi come quello delle due ragazze bresciane, partite con una missione i cui contorni restano sostanzialmente sconosciuti e di cui non abbiamo finora ancora compreso la portata. Ovviamente mi auguro ci sia una smentita. In caso contrario il messaggio sarebbe devastante".

Ma le opposizioni tornano all'attacco e chiedono le dimissioni del ministro. Da M5s e Lega arrivano le critiche più dure: "È evidente che Gentiloni ha ormai perso credibilità: faccia mea culpa e rassegni le dimissioni" dichiarano, in una nota congiunta, parlamentari pentastellati della Commissione esteri e del Copasir.


http://www.repubblica.it/esteri/2015/10/05/news/siria_11_milioni_per_il_riscatto_di_greta_e_vanessa-124388969/

lunedì 7 gennaio 2013

A chi giova il silenzio stampa sui rapimenti: il caso delle 2 ragazze spagnole prigioniere. - Massimo A. Alberizzi



Subito dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera del 4 gennaio dell’articolo sulle due spagnole da 450 giorni nelle mani di una banda di criminali somali, Medici Senza Frontiere ha chiesto di togliere dal sito di Africa Express del Corriere.it la fotografia che ritrae Blanca Thiebaut e Montserrat Serra prigioniere dei loro aguzzini, “perché complica gli sforzi tesi a garantire il rilascio” delle due donne. Ho accettato a un patto: che fosse spiegato quali fossero queste complicazioni, che a me non risultano affatto chiare. Le righe scritte da MSF e pubblicate da Africa Express a commento del pezzo (e che riporto qua sotto), non spiegano ancora quali siano queste ragioni. Ho tolto la foto, ma nello stesso tempo vorrei spiegare ai lettori quali sono le logiche per cui, quando ci sono notizie, intendo informare anche sui rapiti, sui rapitori e sui rapimenti. Innanzitutto è bene chiarire che si sta parlando di persone sequestrate da organizzazioni criminali e non da gruppi politici, per i quali l’ottica cambia.
Le autorità (tutte, ministeri e forze dell’ordine) chiedono sempre di tenere lo stretto riserbo su queste questioni. Ma nessuno finora ha risposto dettagliatamente alla domanda: a cosa serve il riserbo? Secondo me solo a far sì che l’opinione pubblica e le famiglie degli ostaggi non si indignino e rimangano quiete, calme e anche un po’ rassegnate. “I tempi sono lunghi”, continuano a ripetere coloro che sostengono di avere in mano le redini del negoziato. Ma i tempi si allungano solo perché si aprono trattative sull’ammontare del denaro da pagare in cambio della liberazione. Ai sequestratori che chiedono 1000 viene offerto 100, oppure cose del tipo “non paghiamo, ma vi offriamo un lavoro”.
Come si usa fare nei suk, il negoziato comincia il suo iter, fatto di ammiccamenti, di silenzi, di rottura dei rapporti e anche di affermazioni piuttosto “singolari” (e lanciate per ingannare!) del tipo: “Tenetevi gli ostaggi, non ci importa nulla”. I tempi lunghi – è bene chiarirlo con grande trasparenza – comportano sofferenze per gli ostaggi. Cosa accadrebbe, invece, se quando arriva la richiesta di riscatto si pagasse subito? La prigionia degli ostaggi durerebbe pochi giorni, se non addirittura poche ore. C’è poi chi sostiene aprioristicamente, come MSF, che non si debbano pagare riscatti: “E infatti noi non li paghiamo – ripetono i suoi dirigenti – altrimenti scatta da parte di altri potenziali sequestratori la smania di emulazione”. Una posizione legittima sicuramente, come tutte le altre, ma alquanto curiosa. I potenziali imitatori, infatti, non diventano tali perché leggono il Corriere della Sera. In Somalia – e non solo – tutti sono informati sui rapimenti, conoscono i rapitori e sanno quanto hanno incassato dai riscatti.
Di certo le fonti degli epigoni non sono gli organi di informazione e i loro siti web e comunque questa gente non adegua i loro comportamenti a quanto scrivono i giornali sulla carta e su internet. In questa sede non voglio dare giudizi di merito, sia meglio pagare o sia meglio non pagare. Entrambe le posizioni sono legittime, ma devono essere chiare e trasparenti. E’ bene che le famiglie dei rapiti – nonché quelle di chi parte verso zone del mondo dove si rischia di essere sequestrati – conoscano i pericoli che si corrono e sappiano che l’organizzazione per la quale si va a lavorare non intende pagare un eventuale riscatto. Ma non solo. Occorre che questo tipo di approccio al problema sia conosciuto dall’opinione pubblica, altrimenti è facile chiedere il silenzio stampa per non far sapere che si pagano inconfessabili riscatti.
Non si può far finta di essere ignari che i criminali sequestrano per soldi, vogliono soldi e liberano gli ostaggi solo se si pagano i riscatti. Come non si possono addurre vaghe e imprecise assicurazioni che le notizie allontanano la liberazione degli ostaggi. Non è vero: l’avvicinano, se chi deve pagare è disposto a pagare. Certo l’allontanano se chi dovrebbe pagare non intende pagare o intende tirare sul prezzo anche a costo di allungare il periodo di prigionia e quindi le sofferenze degli ostaggi. La mancanza di informazioni e notizie dilata i tempi della liberazione perché spunta le armi all’opinione pubblica e alle famiglie che – se sapessero – potrebbero esercitare forti pressioni su chi dovrebbe lavorare incessantemente e – senza condizioni – per il rilascio degli ostaggi in tempi brevi.
twitter @malberizzi
malberizzi@corriere.it
Ecco la richiesta di Medici senza Frontiere“Medici Senza Frontiere (MSF) condanna la diffusione di presunte fotografie di Blanca Thiebaut e Montserrat Serra, le due operatrici umanitarie di MSF rapite nel campo rifugiati di Dadaab (Kenya) il 13 ottobre 2011 e portate in Somalia. La pubblicazione di materiali di questo tipo può complicare gli sforzi tesi a garantire il rilascio di Montserrat e Blanca in condizioni di sicurezza.
Le loro famiglie e MSF sono grate per la discrezione e la solidarietà dimostrate fino a oggi sulla questione da parte dei media internazionali, spagnoli e somali e chiede di mantenere tale atteggiamento di prudenza a tutti i media, mentre si sta lavorando incessantemente per il rilascio.”