sabato 14 novembre 2020

Arrestato l’Idraulico della Lega “Da dove arrivano tutti i soldi?”. - Stefano Vergine

 

Film Commission - Domiciliari al fornitore del partito: gli fatturò oltre 1,5 milioni.

“Questo qui ha fatto lavori per la Lega per due milioni di euro in un anno e mezzo. Questo qui era un idraulico che aggiustava i tubi delle caldaie. Ma come mai?”. L’intercettazione riportata nell’ordinanza con cui ieri il Tribunale di Milano ha disposto gli arresti domiciliari per Francesco Barachetti, piccolo imprenditore bergamasco, non racconta molto più di quanto già noto sulla vicenda della Lombardia Film Commission e dei commercialisti della Lega, ma suggerisce che l’inchiesta della Procura di Milano sulla compravendita del capannone di Cormano potrebbe fare presto un salto di qualità.

Le 69 pagine firmate dal gip Giulio Fanales spiegano che Barachetti ha avuto un ruolo rilevante nell’affare immobiliare insieme ad Alberto Di RubbaAndrea Manzoni e Michele Scillieri, e che c’è il rischio che i reati commessi in quell’operazione vengano reiterati. Secondo la procura di Milano, attraverso la sua principale società, la Barachetti Service Srl di Casnigo, sede a 300 metri dalla casa di Di Rubba, Barachetti ha infatti avuto un duplice ruolo nell’ormai famosa operazione costata 800mila euro ai residenti lombardi. Da una parte lui e la moglie, cittadina russa, hanno beneficiato personalmente dei soldi pubblici pagati dall’ente controllato dalla Regione, intascando 55 mila euro e usandoli quasi tutti per comprare un appartamento a San Pietroburgo. Dall’altra parte, Barachetti ha permesso a Manzoni e Di Rubba, facendo da sponda attraverso un’altra società a lui riconducibile (la Eco Srl), di intascarsi 188mila euro della Fondazione, provvista che i due contabili leghisti hanno prontamente investito in due villette sul lago di Garda.

Fin qui niente di particolarmente nuovo. Barachetti era già indagato per concorso in peculato e false fatturazioni, ma il suo arresto potrebbe spingere l’inchiesta oltre i confini lombardi. Nella richiesta dei domiciliari il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi non lo citano mai direttamente, ma il partito di Matteo Salvini è il convitato di pietra. Appare solo in quell’intercettazione accennata sopra. È Scillieri a parlare al telefono con Luca Sostegni, presunto prestanome usato nell’operazione Lombardia Film Commission (è in attesa di essere scarcerato):“Questo qui (Barachetti, ndr) ha fatto lavori per la Lega (da intendersi il partito politico Lega per Salvini Premier, specificano i magistrati) per due milioni di euro in un anno e mezzo. Questo qui era un idraulico che aggiustava i tubi delle caldaie. Ma come mai?… Com’è che Di Rubba ha messo su un autosalone di macchine di lusso poco lì accanto a Barachetti che ha comprato un edificio dove ha fatto la sede grandiosa della sua società? Ma da dove arrivano i soldi? Ma come mai la società di noleggio auto ha fatturato quasi un milione di euro alla Lega in un anno?”.

Così Scillieri, che dovrebbe essere interrogato nei prossimi giorni per la seconda volta, potrebbe confermare quanto contenuto in alcune segnalazioni di operazione sospetta richieste alla Uif di Banca d’Italia dalla procura di Genova, che indaga da tempo per il presunto riciclaggio dei 49 milioni di euro della Lega. Le movimentazioni bancarie dicono infatti che Barachetti ha incassato molti soldi negli ultimi anni dal partito di Salvini e dalle sue società. Solo tra il 2016 e il 2018 la Barachetti Service ha fatturato circa 1,5 milioni di euro alla galassia leghista. Numeri da capogiro per l’idraulico di Casnigo, che da quando è diventato fornitore del partito ha visto schizzare verso l’alto il suo giro d’affari. Specializzata in impianti idraulici ed elettrici, la Barachetti Service è passata da un fatturato di 282mila euro nel 2011 a 2,1 milioni nel 2017, fino ai 4,3 milioni del 2019. Barachetti Service ha incassato soldi dalla Lega a fronte di fatture per lavori vari, e poco dopo li ha girati a società riconducibili a Di Rubba e Manzoni. Proprio come avvenuto nel caso della Lombardia Film Commission. Uno schema che sembra interessare anche i magistrati di Milano.

Ieri, mentre venivano disposti i domiciliari per l’imprenditore bergamasco, la Guardia di finanza del capoluogo lombardo ha infatti perquisito anche i rappresentanti della Sdc Srl, società emersa più volte nelle trame finanziarie leghiste. Negli ultimi anni la Sdc ha ricevuto infatti parecchi bonifici dal partito, e ha poi girato buona parte delle somme ai soliti Di Rubba e Manzoni. Non solo. In un solo anno, tra il 2016 e il 2017, anche il tesoriere e parlamentare della Lega Giulio Centemero ha ricevuto denaro dalla Sdc: 61.990,40 euro, con motivazione “saldo fatture”. I documenti sequestrati ieri alla società potrebbero permettere ai magistrati di capire meglio quali prestazioni ha fornito Centemero, il fedelissimo di Salvini.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/14/arrestato-lidraulico-della-lega-da-dove-arrivano-tutti-i-soldi/6003382/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-14

Gli insaputi. - Marco Travaglio,

 












La fiera dell’insaputismo ci aveva abituati quasi a tutto. A B. che scambia Mangano per uno stalliere, la Minetti per un’igienista dentale, Alfano per il suo erede e Gasparri per un ministro. A Scajola che compra casa al Colosseo e non si accorge che due terzi glieli ha pagati un altro. A Fontana, presidente della Regione Lombardia che appalta le forniture dei camici alla ditta di suo cognato senza dirgli niente, dopodiché lui tenta di risarcire il cognato per il mancato affare con un bonifico da un conto svizzero che non sa di avere, così come ignora perché la madre dentista e il padre impiegato tenessero 5 milioni alle Bahamas su cui lui, sempre a sua insaputa, aderì alla voluntary disclosure per farli rientrare in Italia, tant’è che li lasciò in Svizzera. Un caso di insaputismo talmente sfortunato da rendere persino credibile il generale Saverio Cotticelli, commissario alla Sanità in Calabria, che confessa in tv di non aver mai fatto il piano di emergenza perché non sapeva che spettasse a lui; poi, quando lo cacciano, spiega restando serio che il piano l’aveva fatto, ma “non ero io quello dell’intervista, non mi riconosco, ho vomitato tutta la notte, forse mi hanno drogato, sto ancora indagando”, forse c’entra “la massoneria”, anzi “la masso-mafia”.

Ci stavamo appena riprendendo, quando sulla scena ha fatto irruzione Christian Solinas, sgovernatore di Sardegna, il genio che quest’estate riaprì le discoteche trasformando la sua Regione in un mega-focolaio. L’ordinanza è firmata da lui, quindi come si discolpa? “Ho obbedito al mio Comitato tecnico scientifico”. La prova sarebbe un’email di quattro righe inviata dal prof Vella, membro del Cts, al capo della Sanità regionale un’ora prima che lui firmasse l’ordinanza. Ora che i pm indagano, Vella spiega a Repubblica che quelle quattro righe “non erano un parere del Cts”, mai convocato e comunque contrario, ma una mail “a titolo personale per tentare di ridurre il danno di una scelta politica già presa. Intendevo dire che per loro, come mi avevano detto, era inevitabile e necessario riaprirle. Per loro, non certo per noi”. Infatti la polizia ha sequestrato altre 10 email del Cts sardo fieramente contrarie alle discoteche. Ma Solinas dice che non ne sapeva nulla: in fondo è solo il presidente della Regione. Otto anni fa, Sara Tommasi girò alcuni film porno e il suo fidanzato di allora, il celebre avvocato-scrittore Alfonso Marra, li attribuì all’abuso di droghe. Ma lei lo smentì sfoderando un alibi decisivo: “È colpa delle entità aliene che mi hanno impiantato un microchip nel cervello per diffondere l’amore nel mondo. Due di loro sono state sempre presenti di nascosto sul set”. Strano che non sia ancora governatrice di qualche Regione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/14/gli-insaputi/6003357/

Matteo Renzi, chi sono gli imprenditori che versavano soldi a Open. I pm al lavoro sulla “concomitanza” con emendamenti favorevoli.

 

Nei nuovi atti dell'inchiesta, citati dal quotidiano La Verità, i magistrati cercano di ricostruire i rapporti che c'erano tra diverse aziende e la Fondazione. Come la "concomitanza tra il contributo di 20mila euro del 21/12/2017" erogato dalla British american tobacco Italia Spa "a favore della fondazione Open, con un intervento 'in legge di bilancio'".

Alcuni nomi degli imprenditori che nel corso degli anni hanno versato migliaia di euro a Open erano già noti, ma con il deposito di nuovi atti dell’inchiesta cominciano a emergere con più chiarezza i rapporti che c’erano tra quelle aziende e la fondazione legata a Matteo Renzi. Nell’elenco compaiono tra gli altri Beniamino Gavio, azionista dell’omonimo gruppo che gestisce varie tratte autostradali, i Toto delle autostrade abruzzesi, l’emiliano Michele Pizzarotti e pure la divisione italiana della British american tobacco. Come riporta il quotidiano La Verità, gli inquirenti sono al lavoro sulla “concomitanza temporale” tra l’erogazione di alcuni fondi alla cassaforte renziana e una serie di emendamenti o interventi legislativi arrivati in Parlamento quando l’ex segretario del Pd era al governo (o comunque ne era il principale azionista). I magistrati intendono dimostrare come Open fosse una “articolazione politico-organizzativa del Partito democratico (corrente renziana)”, ipotesi su cui si basa l’accusa di finanziamento illecito contestato allo stesso Renzi, Maria Elena Boschi e all’attuale deputato del Pd, Luca Lotti. Stando agli ultimi sviluppi dell’inchiesta, risulta che la fondazione abbia pagato anche 130mila euro per i sondaggi delle campagne politiche dell’ex premier e 150mila euro per la pubblicazione di un book fotografico per il viaggio in camper durante le primarie.

Soldi per l’ascesa politica di Renzi – Dalle ultime informative delle Fiamme gialle inviate alla procura di Firenze, risulta che le casse di Open hanno finanziato molte iniziative politiche di Renzi, impegnato nelle primarie del Pd nel 2012 e nelle Politiche del 2013, per un totale di oltre mezzo milione di euro. Risorse che hanno permesso di finanziare sondaggi elettorali, ma anche campagne di comunicazione politica per invitare i cittadini al voto (126mila euro), cene, alberghi, consulenze di comunicazione politica (quasi 68mila euro) e pure la pubblicazione di un book fotografico. L’ipotesi degli investigatori è che Open (che all’inizio si chiamava Big Bang) anche in questo modo si sia comportata come articolazione di partito.

Beniamino Gavio – Tra gli sponsor della Fondazione, che negli anni ha finanziato la Leopolda a Firenze, c’è innanzitutto Beniamino Gavio. Nell’ottobre 2013, scrive il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, l’imprenditore viene rappresentato da Guido Ghisolfi a una cena a cui partecipano Renzi, il presidente di Open Alberto Bianchi, Marco Carrai, Vito Pertosa, Luigi Pio Scordamaglia e Davide Serra. Il giorno dopo, Bianchi invia a tutti gli ospiti una mail in cui si legge che l’esito dell’incontro ha portato a “due presupposti e alcuni impegni reciproci“. Gavio, Pertosa e Scordamaglia si impegnano a versare 100mila euro l’anno per cinque anni (in realtà poi ne arrivano 76mila). In cambio, si legge, “Matteo assicura almeno tre incontri all’anno” per “brainstorming a 360 gradi”. Nelle carte dell’inchiesta, aggiunge La Verità, viene citato un “elaborato” – intitolato “Contenimento delle tariffe e razionalizzazione del sistema autostradale italiano” – inserito in un faldone di Bianchi (“Renzi M. Think tank“) e accompagnato a sua volta da una cartellina dal titolo “Sblocca Italia, emendam“. Cosa contiene? Un’email di Bianchi del 25 settembre 2014 riguardante una proposta di emendamento al decreto Sblocca Italia e destinata a Antonella Manzione, ex capo dei vigili di Firenze nominata responsabile dell’ufficio Affari legislativi di Palazzo Chigi. Il provvedimento, scrive ancora il quotidiano, proroga senza gara la durata delle concessioni a una serie di gestori autostradali, riconducibili anche ai Gavio.

Michele Pizzarotti – Da Pizzarotti arrivano a Open 50mila euro e nelle carte dei magistrati sono riportate diverse occasioni in cui il businessman avrebbe incontrato l’ex premier. In questo caso i pm rilevano però anche una “concomitanza temporale” tra un contributo da 25mila euro erogato il 15 ottobre 2014 e lo stanziamento, nella Finanziaria di quell’anno, di 300 milioni per coprire gli ammanchi di traffico sull’autostrada A35. Ad iniziare l’opera, spiega La Verità, è stato nel 2009 il consorzio Bbm che includeva anche l’azienda di Pizzarotti.

Gruppo Toto – Interessati sempre alle autostrade sono i Toto, che gestiscono la tratta A24 (Roma-L’Aquila-Teramo) e la A25 (Torano-Avezzano-Pescara). Il gruppo, scrive sempre l’avvocato Bianchi in una mail a due colleghi del suo studio, avrebbe “espresso il desiderio di versare a Open” un importo “pari al netto del 2% di quanto, a seguito della nostra attività professionale” (come studio legale, ndr) “sarà ricavato dai contenziosi/trattative con Anas spa” e nella vicenda della variante Ss Aurelia a La Spezia. Il quotidiano di Belpietro riferisce che anche qui c’è di mezzo un emendamento. Siamo nel 2017, al governo c’è Gentiloni ma Renzi è ancora leader del Pd: Bianchi spiega a Luca Lotti che la norma è “frutto di un’intesa tra loro”, cioè i Toto “e Armani” (all’epoca capo dell’Anas).

Famiglia Aleotti – Tra i finanziatori “più significativi” per i magistrati c’è poi la famiglia Aleotti. In un’email del febbraio 2018, una collaboratrice di Bianchi scrive che “sono arrivati 50k da Landini Massimiliano, 50k da Aleotti Luciano, 50k da Aleotti Alberto“. A un pranzo con Bianchi, Carrai e Lucia Aleotti, riferisce La Verità, si parla della “possibile nomina di Lucia Aleotti all’interno di un ente non meglio precisato”.

British american tobacco – Come già emerso nelle prime fasi dell’inchiesta su Open, 170mila euro sono arrivati dalla British american tobacco Italia Spa. Secondo gli inquirenti, Luca Lotti ha ricevuto dal suo referente del colosso due “elaborati”. In uno, la multinazionale “auspica una revisione del sistema di tassazione che non penalizzi l’industria e non causi distorsioni della concorrenza, consentendo allo stesso tempo lo sviluppo di prodotti meno dannosi attraverso una loro tassazione inferiore rispetto a quella tradizionale”. Anche in questo caso i finanzieri parlano di una “concomitanza tra il contributo di 20mila euro del 21/12/2017” erogato dalla società “a favore della fondazione Open, con un intervento ‘in legge di bilancio’ evocato da Ansalone (verosimilmente a favore della predetta società) e la ‘proiezione’ verso la campagna elettorale per le elezioni politiche 2018“.

Pietro Di Lorenzo – Chiude l’elenco Pietro Di Lorenzo, presidente della Irbm di Pomezia che sta lavorando insieme all’università di Oxford al vaccino anti-Covid. Lui e i suoi familiari hanno destinato alla Fondazione 160mila euro. Nelle carte si citano diversi scambi di messaggi tra Bianchi e l’imprenditore, finalizzati a organizzare un incontro con Renzi. Ma anche due appunti dello stesso avvocato che – scrivono gli investigatori – “possono essere messi in correlazione ai finanziamenti statali a favore della società consortile Cnns”. Azienda che, conclude il quotidiano di Belpietro, è controllata al 70% proprio dalla Irbm.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/13/matteo-renzi-chi-sono-gli-imprenditori-che-versavano-soldi-a-open-i-pm-al-lavoro-sulla-concomitanza-con-emendamenti-favorevoli/6002376/

venerdì 13 novembre 2020

Arcuri esclude le Regioni “Al vaccino ci penso io” - Giampiero Calapà

 

La pandemia. In Usa si allungano i tempi per l’ok.

“Si conferma il rallentamento della crescita. Per capire la curva dei casi non si deve guardare mai solo il dato giornaliero, ieri peggiore rispetto a mercoledì, ma occorre soffermarsi sul rallentamento dei nuovi casi e dei ricoveri. Ricordo che solo pochi giorni fa abbiamo sfiorato 40 mila contagiati. Per questo a mio parere un lockdown generale ora non serve, si deve continuare a ragionare regione per regione con le zone rosse, gialle e arancioni e a livello locale”. Questo è il parere del fisico Giorgio Sestili, la cui pagina Facebook “Coronavirus, dati e analisi scientifiche” è seguita da quasi centomila persone. Ieri i nuovi casi registrati dal bollettino della Protezione civile sono stati 37.978 (+5.017 rispetto a mercoledì) a fronte di 234.672 tamponi (+9.032). Ancora un numero spaventoso di morti: 636.

“I report dell’Istituto superiore di sanità ci dicono che in media tra la comparsa dei sintomi – spiega Sestili – e il decesso passano dodici giorni. Ma è chiaro, e l’abbiamo visto, ci sono molti ritardi nella comunicazione delle informazioni, arrivano notifiche anche molti giorni dopo”. In terapia intensiva ci sono 3.170 persone (la variazione è di +89 malati rispetto a mercoledì), siamo ormai vicini al picco massimo del 3 aprile: 4.068. In reparto ordinario ci sono 29.873 pazienti (+429): già superato il picco massimo del 4 aprile quando erano 29.010. Però Sestili vede il bicchiere mezzo pieno: “Se mercoledì registravamo diverse note positive con una curva dei casi che non saliva pur con molti tamponi fatti, ieri i contagi aumentano rispetto agli ultimi sei giorni (va anche sottolineato che c’è un record di tamponi). Non dobbiamo scoraggiarci, però, perché ci sono altre note positive: il numero dei nuovi ricoveri in terapia intensiva che è la metà rispetto a 24 ore prima e anche il dato dei posti letto occupati che non sale in maniera decisa. In entrambi i casi siamo fuori da una crescita esponenziale: possiamo dire che si cominciano a osservate gli effetti del Dpcm del 25 ottobre e fra qualche giorno potremmo cominciare a vedere gli effetti del Dpcm del 4 novembre e dei provvedimenti successivamente adottati dalle Regioni”.

È sempre la Lombardia a registrare il maggiore incremento nel numero dei contagi (+9.291), poi Piemonte (+4.787), Campania (+4.065) e Veneto (+3.564).

Ottimismo anche dal commissario straordinario all’emergenza coronavirus Domenico Arcuri: “La curva dei contagi finalmente inizia a raffreddarsi”, sostiene fissando alcuni obiettivi: “Bisogna diminuire la pressione sui pronto soccorso”, e anche esprimendo qualche critica alla gestione sanitaria: “Il 50% dei ricoverati in terapia intensiva non è intubato e, quindi, dovrebbe stare altrove”. Arcuri ha anche rotto gli indugi su quella che sarà la gestione dell’atteso vaccino: “Lo somministreremo ai primi italiani a fine gennaio, personale sanitario e anziani, anche se non ci sarà subito per tutti: il ministero ci fornirà un target delle prime persone da vaccinare”. Detto questo non saranno i governatori delle Regioni ad occuparsene: “Il governo ha deciso che ci sia una centralizzazione del meccanismo”. Intanto dagli Stati Uniti slittano già di una ventina di giorni i tempi per l’approvazione definitiva del vaccino Pfizer da parte dell’agenzia del farmaco americana, la Fda: secondo l’esperto governativo Larry Corey, direttore del “Covid-19 Prevention Network” dell’Istituto nazionale delle malattie infettive guidato da Anthony Fauci, la decisione arriverà a Natale o poco prima ma non a fine novembre: “Voglio chiarire le aspettative sui tempi. Si tratta di una grossa decisione, ci sono moltissimi dati da analizzare e valutare”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/13/arcuri-esclude-le-regioni-al-vaccino-ci-penso-io/6001960/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-13

Covid, quasi 38mila nuovi contagi. Arcuri: 'I vaccini in Italia a fine gennaio'. -

 

Record di tamponi a 234mila, incidenza positivi risale al 16%.

I primi vaccini in Italia tra due mesi, prima agli operatori sanitari e agli anziani, distribuiti attraverso un piano del ministero della Salute: un "meccanismo centralizzato" e non su base regionale. Il countdown per l'arrivo della cura anti-Covid nel Paese è cominciato inseguendo una data ufficiale: "Confidiamo di poter vaccinare i primi italiani alla fine di gennaio", annuncia il Commissario per l'emergenza, Domenico Arcuri. A ricevere subito le dosi saranno un milione e 700mila cittadini, che saranno scelti in base ad una serie di categorie individuate in funzione della loro "fragilità e potenziale esposizione al virus". Dunque davanti alla fila ci saranno, com'era prevedibile, le persone che negli ospedali lavorano in prima linea sul fronte della lotta al virus, ma anche gli anziani e i fragili. In coda i più giovani.

Parole di speranza arrivano dallo stesso premier Giuseppe Conte, per il quale la distribuzione, in tutto il mondo, dovrà essere "equa" e sarà "una sfida enorme che richiede una pianificazione molto accurata". In queste settimane di attesa sarà messo a punto un piano del ministero della Salute che prevederà un determinato target di persone.

La cura non avverrà quindi "da domani né da subito per tutti" e la distribuzione non sarà su base regionale, ma "il governo ha deciso per una centralizzazione del meccanismo", individuando le categorie dei primi cittadini per i quali la somministrazione - da parte di medici e di chiunque sia già deputato farlo - sarà necessaria, spiega il commissario Arcuri, investito in queste ore dal Governo anche come responsabile del piano operativo per la distribuzione delle dosi in Italia. "Non serve avere il vaccino in un luogo A piuttosto che in un luogo B", sottolinea il Commissario, frenando le parole di chi, come l'assessore alla Sanità della Sardegna, Mario Nieddu, si diceva già sicuro che "entro gennaio" sarebbe arrivato nella propria regione.

"Da ieri in Italia il Covid ha contagiato più di un milione di concittadini, un italiano su 60 è stato colpito. Ma la curva finalmente sembra iniziare a raffreddarsi: ci sono Regioni dove si avvertono i primi segni di raffreddamento dell'epidemia e altre dove la situazione resta critica e bisogna intervenire ancora per contribuire a raffreddare la crescita dei focolai. Credo che il sistema stia progressivamente dando i risultati che ci aspettavamo" ha aggiunto Arcuri, il quale ha sottolineato che "i contagi crescono dieci volte meno rispetto a un mese fa".

La Difesa è al tavolo per la pianificazione della distribuzione del vaccino. A quanto si apprende, come avvenuto per distribuzione dei dispositivi sanitari a marzo, saranno messe a disposizione le capacità del personale dell'esercito italiano. Per la distribuzione dei vaccini dovrebbe essere prevista una logistica 'ad hoc' da parte della Difesa, già impegnata in missioni per sostegni logistici a lungo raggio come le operazioni internazionali. Non si esclude al momento, così come già avviene a Milano per il vaccino influenzale, l'ipotesi che i militari possano essere adoperati anche per la somministrazione delle dosi.

Intanto sono 37.978 i nuovi contagi da coronavirus in Italia nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute. Le vittime sono 636.  Il totale dei casi individuati da inizio epidemia sale così a 1.066.401, mentre i morti sono ora 43.589. In un singolo giorno non si registrava un numero così alto di vittime dal 6 aprile scorso, anche in quel caso furono 636.

E' ancora record sui tamponi in Italia: sono 234.672 quelli effettuati nell'ultimo giorno, circa novemila più di ieri. Il rapporto tra positivi e test risale al 16,18%, quasi il 2% in più rispetto a ieri. Aumentano di 89 i pazienti ricoverati in terapia intensiva in Italia.  Le persone in rianimazione sono ora 3.170.

I ricoverati con sintomi in reparti ordinari per Covid sono aumentati di 429 unità e sono ora 29.873. In isolamento domiciliare ci sono 602.011 persone (+21.178). Gli attualmente positivi sono 635.054 (+21.696), i guariti e dimessi sono 387.758 (+15.645).

Resta la Lombardia la regione con il maggiore aumento di nuovi casi  nelle ultime 24 ore che, secondo l'ultimo bollettino, sono 9.291. Seguono il Piemonte (4.787), la Campania (4.065), il Veneto (3.564), il Lazio (2.686), l'Emilia Romagna (2.402) e la Toscana (1.932). Sul totale di 636 vittime nelle ultime 24 ore, 187 sono state registrate nella sola Lombardia.

(foto: Affissioni a Genova per sensibilizzare la popolazione sui giusti comportamenti anti-contagio - ANSA)

https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2020/11/12/covid-37.978-nuovi-contagi-636-morti-_3b7248f0-5b21-42eb-902b-859b5c24700d.html

Salvini: “Via Gallera”. Ma Fontana lo salva (per salvare se stesso). - Giacomo Salvini e Andrea Sparaciari

 

Bufera Lombardia.

Fino alle 19 di ieri era praticamente fuori dalla giunta lombarda. Poi in pochi minuti è cambiato tutto e l’assessore alla Sanità Giulio Gallera si è salvato. Un’altra volta. Grazie unicamente al presidente Attilio Fontana che questa volta ha detto no. Un no pesantissimo, rivolto al suo Capitano in persona, Matteo Salvini. Era lui, infatti, che scontento dei sondaggi e convinto che così al 2023 il suo presidente “non ci arriva”, aveva elaborato il piano per mettere l’ormai imbarazzante Gallera alla porta: un mini rimpasto di giunta, con l’uscita del buon Giulio e di altre tre assessore. Silvia Piani (Famiglia) e Martina Cambiaghi (Sport), entrambe quota Lega e Lara Magoni (Turismo), Fratelli d’Italia. Un maquillage giusto per salvare le apparenze. Le tre assessore sarebbero rimaste consigliere regionali (con stipendio assicurato) e la giunta ne avrebbe risentito poco. Certo, si sarebbero dovute trovare altre tre donne per mantenere le quote rosa e poi si sarebbe dovuto sdoppiare l’assessorato oggi di Gallera, Welfare e Sanità. Una fatica, ma tutto sommato nulla di impossibile. E infatti Salvini credeva fino alle 18,30 di avercela fatta.

Poi la sorpresa: Fontana che sbatte i pugni e dice il suo no, consapevole che la caduta di Gallera equivarrebbe a una sua perdita di credibilità personale. Inoltre, tra Fontana e il suo (ancora) assessore molti in questo ultimo anno turbolento sono stati gli interessi comuni e le scelte, non sempre prese in totale accordo. E non sarebbe “saggio” da parte del governatore lasciare che un Gallera demansionato possa parlare liberamente del passato. Così Attilio ha salvato Giulio. Il quale però resta in bilico e nel mirino del Carroccio. Anche perché Matteo Salvini non è solito accettare dei no. Oggi per le 14,30 è convocata una riunione dei capigruppo della maggioranza. Ma Fontana non è stato invitato.

Che Gallera fosse di fatto fuori dal Pirellone fino a una manciata di ore fa, è un dato di fatto. Ancora in serata, fonti vicine al segretario leghista fanno sapere che “l’operato di Gallera non è certo stato all’altezza. Il problema non sono tanto le gaffe sugli “asintomatici non contagiosi” o sui “due infetti che servono per contagiare una persona” con un Rt pari a 0,5. E nemmeno le giravolte sui mancati provvedimenti per chiudere Alzano e Nembro (prima era “competenza dello Stato”, poi “ho approfondito e in effetti una legge del 1978 ci dava quel potere”) o l’incredibile delibera dell’8 marzo con cui la Regione Lombardia spediva i malati nelle Rsa. Tutto questo, sottolinea un leghista lombardo che conosce bene i corridoi e le zone d’ombra del Pirellone, “nel partito è considerata acqua passata, relativa alla prima ondata”. Il problema di oggi – mentre la Lombardia è zona rossa con un ritmo di 10 mila contagi al giorno e con gli ospedali di Monza e Varese che scoppiano – è un altro: “Che Gallera è sempre lì, inchiodato alla sua poltrona a far danni” continua tra l’amareggiato e il furioso lo stesso leghista. Poi certo l’assessore alla Sanità della Regione Lombardia è solo la punta dell’iceberg della giunta di Fontana già di per sé fragilissima e che, nonostante le difese ufficiali, ha perso da tempo il sostegno del Capitano, convinto che i disastri della prima ondata abbiano fatto perdere molti consensi alla Lega. Ma Fontana ormai è diventato un simbolo e, per ordine di via Bellerio, deve “reggere” fino al 2023.

Sicché il bombardamento continuo sulla chat della Lega lombarda e le telefonate che riceve quotidianamente da sindaci che si sentono abbandonati (“Matteo, cambiamolo!”) hanno convinto Salvini che l’obiettivo deve essere un altro: cacciare o commissariare Gallera. Da qui gli attacchi che l’assessore alla Sanità di Forza Italia ha ricevuto nelle ultime ore da leghisti di primo piano: prima era arrivato quello a testa bassa di Emanuele Monti, presidente leghista della Commissione Sanità che al sito Malpensa 24 ha fatto capire che la giunta sta ignorando l’emergenza nella sua Varese, nuovo focolaio dell’epidemia: “Stride il fatto che l’assessore al Welfare Giulio Gallera non sia venuto fisicamente a Varese. È stato a Monza, ma non qui da noi” la frase sibillina. Poi è arrivata la lettera inviata dal consigliere regionale Alessandro Corbetta, e prontamente resa pubblica, per chiedere a Gallera interventi “in tempi rapidissimi” per l’ospedale San Gerardo di Monza “al collasso”. Come dire: cosa ha fatto Gallera finora? Tutte avvisaglie di una bocciatura che appare semplicemente rimandata.

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Donferri, cacciato, lavorava in nero col fornitore Aspi. - Iacopo Rocca

 

È l’uomo su cui converge ogni inchiesta: i morti del Ponte Morandi, i report sulla sicurezza truccati per risparmiare, le barriere difettose che non tengono il vento. Talmente centrale, da essere sempre indagato. L’ex potentissimo capo delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia (Aspi) Michele Donferri Mitelli era caduto in disgrazia dopo la pubblicazione delle intercettazioni in cui faceva pressione sui sottoposti per ammorbidire i report sulla sicurezza dei viadotti. Lo scandalo nel 2019 aveva portato alle dimissioni il suo grande protettore, l’ad Giovanni Castellucci. E il nuovo management aveva allontanato Donferri, un provvedimento bandiera del rinnovamento. Dalle carte della nuova inchiesta di Genova, però, emerge come il manager, per il quale la Procura aveva chiesto il carcere, non fosse andato molto lontano. Continuava a lavorare in nero per una ditta di consulenza che ha fra i suoi clienti proprio Autostrade e altre società controllate da Atlantia. A scoprirlo è stata la Guardia di Finanza, che mercoledì si è presentata presso gli uffici della Polis Consulting di Pomezia. I militari hanno sentito i dipendenti, per capire che tipo di rapporto avesse Donferri con la ditta. Tabulati e intercettazioni telefoniche hanno consentito di appurare che il manager frequentava la sede almeno tre volte a settimana, presentandosi anche durante il lockdown. Di questo però non c’è traccia in nessun contratto. E infatti Donferri, uomo che in Autostrade viaggiava su uno stipendio lordo annuo di circa 300mila euro, potrebbe finire nei guai perché riceveva la Naspi, il sussidio di disoccupazione.

Il suo nuovo inquadramento è oggetto di indagine. Lo cita nella sua ordinanza il gip Paola Faggioni: “L’uscita dal gruppo non ha impedito a Donferri di prestare la propria attività lavorativa per società collegate con Aspi (percependo in modo indebito l’indennità di disoccupazione) con elevato rischio di reiterazione di analoghe condotte criminose strumentali all’ottenimento di indebiti risparmi con conseguenti illeciti guadagni”. L’impresa è intestata ad Angela Antonia Alaia. Più spesso Donferri si confrontava con il marito, l’ingegnere Ciro Antonio Cannelonga.

La stessa Polis Consulting dichiara sul suo sito di avere appalti in corso con la galassia Atlantia: per l’aeroporto Leonardo Da Vinci (Aeroporti di Roma) sta curando la progettazione di una centrale idrica di pompaggio dell’acqua, un sistema antincendio; per Aspi ha in corso la progettazione di due gallerie, la Val di Sambro e Grizzana, della variante di valico a Bologna, e la Cavallo e Sappanico, sulla A14, ad Ancona; per Spea altre consulenze.

Contattati dal Fatto, da Aspi fanno sapere che la Polis Consulting dal 2016 è tra le migliaia di fornitori di Aspi, tuttavia non erano assolutamente a conoscenza di legami tra la ditta e Donferri. E assicurano che ora avvieranno tutte le verifiche consentite, nei limiti della norma, nei confronti del fornitore. Donferri non è solo un semplice dirigente di lungo corso, che ha attraversato la gestione pubblica e privata di Autostrade. Per chi indaga è il depositario dei segreti meglio custoditi della società.

Come dimostra la richiesta fatta alla segretaria, all’indomani del crollo del Morandi: “Portati un bel trolley grosso… devo comincia’ a prendere l’archivio là del Polcevera. Quella è roba mia”. È lui a confidare al suo superiore, Paolo Berti, che “i cavi del viadotto sono corrosi”. Quel messaggio viene cancellato da Berti all’indomani del disastro, ma è stato ritrovato dagli investigatori nelle chat di Whatsapp. E ancora, è sempre lui a portare un’ambasciata del “capo”, l’ex ad Castellucci, quando Berti sembra vacillare. È l’inizio del 2019, e Berti è stato condannato a 5 anni per la strage di Avellino. In quei dialoghi sembra essersi pentito “di non aver raccontato tutta la verità”. “Devi fare come Andreotti – gli consiglia allora Donferri – se non puoi ammazzare il nemico devi fartelo amico. Stringi un accordo con il capo”. E ancora: “Quarantatré morti de qua, quarantatré morti de là, stamo tutti sulla stessa barca. (Castellucci) Ti vuole rasserenare, ti aiuterà tutta la vita. Dai ti faccio venire a prendere con un taxi”.

Quel patto del silenzio, insomma, aveva tenuto a tutte le stagioni. Anche all’allontanamento di Castellucci. Ecco perché adesso la Procura di Genova vuole rendere più nitida la fotografia del nuovo lavoro di Donferri, l’uomo dei segreti.

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