sabato 2 gennaio 2021

La prima mossa di Conte: vertice entro l’Epifania e nuovo Recovery. - Lorenzo Giarelli

 

Che ne sarà del “Ciao” di Matteo Renzi? Per qualche ora oscillerà ancora tra l’essere l’innocuo acronimo delle proposte di Italia Viva sul Recovery Fund – Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità – e il diventare l’addio all’attuale governo, con annessa apertura della crisi in Parlamento. Le risposte, però, arriveranno presto: Giuseppe Conte convocherà un vertice con le forze di maggioranza tra il 5 e il 6 gennaio, cercando di ricucire i rapporti interni ai giallorosa e sfoltire i 52 progetti del Recovery Fund finora sul tavolo.

Il vertice Giuseppe Conte lo aveva ammesso durante l’ultima conferenza stampa del 2020: “È urgente fare una sintesi politica prima possibile attraverso una verifica di maggioranza”.

E allora ecco che, a ridosso dell’Epifania, il premier incontrerà di nuovo i partiti che sostengono il suo esecutivo, dopo che a dicembre una prima verifica di governo non aveva placato le bizze di Italia Viva. Il nodo è soprattutto la gestione dei 209 miliardi in arrivo dall’Europa, su cui i renziani hanno presentato richieste e progetti alternativi rispetto a quelli sulla scrivania del ministro Roberto Gualtieri.

Prima che il Piano vada in Consiglio dei ministri, si proverà a trovare un compromesso smussando le divergenze e riducendo un po’ gli oltre 50 progetti previsti nelle bozze.

Il Consiglio dei ministri.

Nella tabella che si è dato il governo, i progetti del Recovery plan dovrebbero arrivare in cdm “entro i primi giorni di gennaio”. Settimana prossima, allora, anche se da qui in avanti le ipotesi dipendono molto dalla volontà politica di Renzi di accelerare con la crisi o di fare un passo indietro. Stando alle minacce renziane, se i tavoli politici non avranno esiti positivi il governo “farà senza Italia Viva” e “le ministre e il sottosegretario (Teresa Bellanova, Elena Bonetti e Ivan Scalfarotto, nda) si dimetteranno”. Con tanti saluti al Piano sugli aiuti europei. Ad ogni modo, se anche dopo il vertice dell’Epifania l’ex rottamatore volesse comunicare una sfiducia di fatto a Conte, la crisi arriverebbe subito in Aula.

Parlamento Anche in questo caso fanno fede le parole di Conte di appena quattro giorni fa: “Il premier non sfida nessuno. Per rafforzare la fiducia e la credibilità del governo e della classe politica bisogna agire con trasparenza e confrontarsi in modo franco. Il passaggio parlamentare è fondamentale, finché ci sarò io ci saranno sempre passaggi chiari, franchi, dove tutti i cittadini potranno partecipare e i protagonisti si assumeranno le proprie responsabilità”. Parole che assomigliano molto a quelle che il premier pronunciò a ridosso dello scontro in Senato con Matteo Salvini del 20 agosto 2019. Oggi come allora, Conte vuole portare alla luce del sole ogni manovra destabilizzante nei suoi confronti, spostando la crisi in Parlamento e smascherando le contraddizioni del suo più ostile alleato. Se davvero Renzi formalizzasse la fine del rapporto di fiducia tra Italia Viva e l’esecutivo, si andrebbe allora alla prova dei numeri in Senato e poi si valuterebbero i possibili scenari, tra un eventuale Conte ter con cambio di maggioranza e l’ipotesi di voto anticipato. In ogni caso, i tempi non saranno lunghi e l’eventuale passaggio in Parlamento potrebbe esserci già entro metà mese, a conferma dei retroscena che davano Renzi pronto alla crisi già appena dopo la Befana.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/02/la-prima-mossa-di-conte-vertice-entro-lepifania-e-nuovo-recovery/6053229/

Rimpasto, Conte-ter o un dem premier: cosa succede se c’è la crisi. - Fd’e

 

Al buio - Le previsioni e la variabile impazzita di Renzi.

Tutte le formule sussurrate da big, colonnelli o semplici gregari dei giallorosa hanno la classica variabile indipendente, l’incognita imprevedibile che può far saltare scenari e previsioni. Facilissimo indovinarla: Matteo Renzi. Sostiene un importante esponente della maggioranza: “Renzi è un giocatore e al solito sta tentando l’all-in. Impossibile sapere cosa abbia veramente in testa”. Appunto.

È l’incubo di una crisi al buio, con le urne sullo sfondo, consegnando così il Paese alla peggiore destra dell’Europa occidentale, capace persino di eleggere Silvio Berlusconi al Quirinale nel 2022. Una crisi che ormai molti danno per certa, finanche tra i ministri dem del Conte due. Sulla carta gli scenari plausibili sono cinque. Il primo poggia sull’ottimismo giallorosa più che sul realismo. È il fatidico rimpasto. Il premier e Renzi trovano un accordo e a Italia Viva va un ministro in più, lo stesso leader di Iv oppure Maria Elena Boschi, che scalcia da morire per entrare in un esecutivo che sia uno.

Raccontano però che il fattore umano proceda di pari passo con quello politico. Cioè che Renzi detesti talmente Conte che farà di tutto per buttarlo fuori da Palazzo Chigi. A quel punto il premier potrebbe tentare la mossa ventilata negli ultimi giorni: sostituire i ribelli italoviventi con una pattuglia di Responsabili. Questo è il secondo scenario. L’operazione non è semplice, nonostante punti sull’istinto di sopravvivenza di decine di parlamentari. Come trapela da ambienti di governo si tratta al momento di una trattativa frammentata (si veda l’articolo sopra), senza un punto di riferimento che garantisca un orientamento unitario a questo gruppo.

Oltre queste due opzioni, c’è poi la crisi vera e propria. Conte che va in aula e parlamentarizza la rottura con Italia Viva e l’apertura delle consultazioni. Il giocatore Renzi continua a essere convinto che il voto anticipato non ci sarà e che un governo alla fine si farà. Qualcuno, lungo l’asse demogrillino, fa pure notare che il tono tragico e solenne di Mattarella nel messaggio di San Silvestro strida con l’eventualità di nuove elezioni, al di là delle minacce dello stesso Colle fatte arrivare in queste settimane.

Nella rosa di premier del leader di Italia Viva c’è tutto e il contrario di tutto. Il primo nome, infatti, è quello di Mario Draghi, l’ex presidente della Bce invocato cotidie come una divinità da élite e parti della destra. Lo schema Draghi, terzo scenario, dovrebbe essere l’esca per un governissimo, attirando sia l’ultraottuagenario Silvio Berlusconi, sia la Lega di Salvini & Giorgetti. Detto di Draghi, l’azzardo renziano potrebbe anche contenere l’ipotesi Luigi Di Maio, per proseguire l’esperienza di un governo politico con l’attuale maggioranza. L’ex capo dei 5S ha più volte smentito un suo coinvolgimento (“Quando il diavolo ti accarezza…”, ha detto) ma la dinamica delle consultazioni è sempre un fenomeno nuovo, che sovente azzera timori e veti iniziali.

Qualora però, al suo interno, il M5S non dovesse reggere un premier diverso da Conte, ecco che potrebbe concretizzarsi, quinto e ultimo scenario, la possibilità di un democratico a Palazzo Chigi. Nelle ultime ore, tra gli stessi dem governisti, sono due i nomi che girano con insistenza, entrambi di due ministri. Il primo è quello, scontato, di Dario Franceschini. Il secondo è quello di Lorenzo Guerini, titolare della Difesa e capo di una delle correnti più corpose del Pd, Base riformista. Cinque opzioni in teoria, tra rimpasto e crisi. Il Ventuno giallorosso comincia così.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/02/rimpasto-conte-ter-o-un-dem-premier-cosa-succede-se-ce-la-crisi/6053233/

Crisi di governo: i Responsabili di Conte sono pronti, ma senza un federatore. Maggioranza sul filo. - Giacomo Salvini

 

Parlamentarizzare la crisi, come intende fare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per sfidare Matteo Renzi, significa una cosa sola: prendere in mano il pallottoliere e tornare a parlare di “responsabili”. Con questo apparentemente nobile aggettivo si intendono – dai tempi del 2011 quando Razzi, De Gregorio e Scilipoti salvarono il governo Berlusconi, anche se eletti con Di Pietro – quei parlamentari di opposizione che in caso di difficoltà della maggioranza accorrono per salvare il governo (e la propria poltrona).

Così, dopo l’Epifania, se Renzi dovesse aprire la crisi e il premier sfidarlo in Parlamento come nell’agosto 2019 con Matteo Salvini, l’ultimo bollettino da Palazzo Madama registrerebbe un gruppetto di 9-10 senatori pronti a salvare la maggioranza giallorosa e disinnescare i renziani che voterebbero la sfiducia. Problema: al momento la pattuglia di “responsabili per Conte” non ha una guida, un federatore in grado di dare una strategia. E ad ammetterlo è Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella: “Le voci ci sono ma non c’è niente di concreto” dice al Fatto. E allora potrebbe giocare un ruolo “Italia 23”, il sito registrato dall’ex FI Raffaele Fantetti che potrebbe mettere insieme centristi, ex berlusconiani e transfughi di M5S e Iv. A quel punto si aprirebbe un problema politico ma questa è tutt’altra storia.

Pallottoliere – In Senato, l’asticella da cui partire è 169, come i voti ottenuti a ottobre nel terzo scostamento di Bilancio a cui vanno aggiunti quattro senatori (due delle Autonomie e due del M5S) assenti perché in quarantena. La maggioranza assoluta in Senato è di 159 voti perché ai 315 senatori vanno aggiunti 2 senatori a vita su 6 (Monti e Cattaneo) che partecipano regolarmente alle sedute. Sottraendo a questi i 18 senatori di Italia Viva, la maggioranza parte da 151 voti. Vediamo da dove potrebbero arrivare gli 8 necessari a salvare il governo.

Maggioranza – La maggioranza, senza i renziani, può contare su 151 voti compatti: i 92 del M5s, 35 del Pd, 8 delle autonomie e 16 del gruppo Misto considerando ormai l’ex FI Lonardo e il senatore a vita Mario Monti.

Opposizione – L’opposizione invece, sulla carta, può contare su 149 voti: 63 dalla Lega, 19 da Fratelli d’Italia, 54 di Forza Italia e 13 del Misto che votano contro il governo. Ma qui iniziano le defezioni.

Il centrodestra – Un possibile aiuto potrebbe arrivare dai moderati di FI che non vogliono consegnare la leadership a Salvini. Da questo gruppo, i “responsabili” potrebbero essere 4-5: i 3 dell’Udc (Antonio de PoliPaola Binetti e Maurizio Saccone) che il 9 dicembre hanno deciso di uscire dall’aula nel voto sulla riforma del Mes, ma anche un paio di forzisti tra cui Andrea Cangini. Così la maggioranza salirebbe a 155.

Italia viva – Secondo i rumors, almeno 5 senatori renziani su 18 sarebbero pronti a non seguire il leader in caso di crisi (Iv scomparirebbe dal Senato con le elezioni): i nomi che girano sono Giuseppe CuccaEugenio CominciniDonatella ConzattiLeonardo Grimani e Gelsomina Vono. Se anche solo tre decidessero di mollare Renzi si arriverebbe a quota 158, a un voto dal quorum.

Gruppo Misto – Nel Misto, a ballare sono cinque voti: i 3 di Cambiamo! (Gaetano QuagliarielloPaolo Romani e Massimo Vittorio Berruti) che più volte hanno ammiccato alla maggioranza e l’ex M5S Gregorio De Falco, che vota volta per volta i provvedimenti. Con tutti e quattro i voti, si arriverebbe a 162, senza i tre “totiani” a 159. Una maggioranza sul filo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/02/responsabili-pronti-ma-senza-federatore-maggioranza-sul-filo/6053231/

L’audio che incastra la lega sui 10 mln spariti. - Marco Grasso e Stefano Vergine

 

L’incontro avviene nell’estate del 2018 in un locale del centro di Bolzano, proprio mentre in Lussemburgo sono in corso le perquisizioni ordinate dalla Procura di Genova. Da mesi i media danno conto della caccia ai 49 milioni di euro della Lega. Una parte del tesoro scomparso dalle casse del partito, 10 milioni, sarebbe partito da una banca altoatesina, la Sparkasse, per essere investito nel Granducato e poi ritornare parzialmente in Italia. È questa l’ipotesi dei magistrati liguri che indagano per riciclaggio, ed è questo l’argomento al centro del colloquio, finora inedito, fra due ex manager di Sparkasse. Uno scambio da cui emerge preoccupazione a proposito di quanto stanno pubblicando i giornali in quei giorni: “È uscito fuori di tutto e di più. Il problema sono questi dieci milioni”. E ancora: “Lui mi diceva che li c’è un manager che è un leghista, uno della Lega, all’interno di… come si chiama, la società…”.

Il dialogo inedito.

A parlare è Sergio Lovecchio, 51 anni, fino al maggio del 2016 responsabile finanziario della cassa di risparmio di Bolzano. Dall’altro capo del tavolo c’è Dario Bogni, 60 anni, svizzero, ex capo della tesoreria di Sparkasse. Nel momento dell’intercettazione i due lavoravano fianco a fianco nella Euregio Plus Sgr Spa, società di gestione del risparmio controllata dalla provincia autonoma di Bolzano, retta da un’alleanza tra Svp e Lega. Durante l’incontro intercettato dagli investigatori i due manager mostrano familiarità con i vertici della politica locale: “Me l’ha chiesto Kompatscher – dice Lovecchio a Bogni parlando di altre vicende bancarie – ma lui si imbarazza per queste cose”. Il riferimento è al governatore del Trentino-Alto Adige Arno Kompatscher, artefice del ribaltone che ha portato il partito autonomista Svp a tradire l’alleanza di centrosinistra per andare al governo della Regione insieme alla Lega.

Quanto a Bogni, secondo gli investigatori avrebbe avuto un ruolo operativo nel trasferimento dei 10 milioni di euro di Sparkasse: “Il problema – dice lo svizzero – è questo… è uno… il collegamento… il collegamento è questo Brandstätter (attuale presidente di Sparkasse, ndr)”. Il dialogo risale al 18 settembre del 2018 e viene captato da una registrazione ambientale dei carabinieri del Ros di Bolzano. I militari in quel momento stanno indagando sulle presunte malversazioni nella gestione della cassa di risparmio altoatesina. Molti accenni di quella conversazione interessano però la Procura di Genova, che a sua volta, con il coordinamento del procuratore aggiunto Francesco Pinto, sta cercando le prove del collegamento tra i 10 milioni di euro e la Lega. Per questo l’audio viene trasmesso ai magistrati liguri.

L’affare lussemburghese.

Ad accendere i fari sull’affare lussemburghese sono varie coincidenze. La prima è che il Carroccio, nel gennaio del 2013, aveva aperto un conto corrente alla Sparkasse depositando in tutto una decina di milioni di euro tra liquidità e titoli finanziari: quel deposito viene svuotato nel giro di sei mesi, fino ad essere chiuso. Tre anni più tardi, nel 2016, su un conto deposito detenuto da Sparkasse in Lussemburgo, presso la banca privata Edmond de Rotschild Asset Management, viene accreditato un investimento di un ammontare molto simile: 10 milioni di euro. Soldi che Sparkasse ha sempre rivendicato come propri e non riconducibili alla Lega.

“Sergio, Sergio – dice ancora Bogni – ma ti rendi conto che puoi dire che nel 2014, nel 2016, il bilancio della banca era falso? Tu quei fondi li hai messi dentro come fondi di proprietà. Se viene fuori che non lo sono vuol dire che il bilancio è falso”. “Ma no, sono di proprietà”, lo rassicura Lovecchio. E ancora Bogni: “Per chiudere un po’ il cerchio quella roba qua è cresciuta su una serie di coincidenze strane, non c’è niente da nascondere, è un investimento normale. Almeno io per la parte della banca… perché alla fine mi è venuto un po’ il dubbio…”.

Un ulteriore elemento considerato sospetto dai pm è la richiesta di rientro in Italia di 3 milioni di euro dell’investimento iniziale, che avviene a gennaio del 2018, in prossimità di due eventi ritenuti significativi dagli investigatori. Primo: il sequestro dei conti leghisti, che ammonta proprio a 3 milioni di euro e avviene nel settembre del 2017. Secondo: le elezioni politiche del marzo 2018. Insomma, il sospetto degli investigatori è che la Lega, per ripianare i 3 milioni venuti a mancare a causa del sequestro giudiziario, abbia riportato in Italia un ammontare equivalente parcheggiato segretamente in Lussemburgo un paio di anni prima. Soltanto un’ipotesi, per ora.

Di certo, uno degli operatori bancari coinvolti nell’operazione di rientro dal Granducato all’Italia dei 3 milioni ha segnalato quella movimentazione come operazione sospetta alla sezione antiriciclaggio della Banca d’Italia. “L’ha segnalata qualcuno, qualche coglione della Rothschild, che è la banca depositaria – sbotta Bogni con Lovecchio – non so per quale motivo quando sono entrati non li hanno segnalati e quando quest’anno hanno fatto il rientro dei 3 milioni… bam… A noi ci sbattono fuori dalle banche dalla sera alla mattina. Ti dicono: ‘Questo qua? Mah, non ci piace…’. Ne hanno beccato uno a Panama nel 2004, un banker che conosco, guadagna un milione e mezzo di dollari l’anno… C’erano italiani, con tutta la fabbrica… basta, compliance, e via tutto…”. E, ritornando all’investimento di Sparkasse: “Qui ha visto i 3 milioni, qualcuno da Rotschild ha visto che mancavano documenti… Magini mi rompeva le balle e continuava a dirmi: ‘Certo che è una serie di coincidenze strana…’. Si sapeva da giugno che avrebbero chiesto una rogatoria e sono andati lì alla…”. “Stamattina, sarebbe ieri?”, domanda Lovecchio. “Lunedì e martedì”.

I due, più in generale, sono preoccupati da problemi giudiziari: “I miei avvocati – prosegue Lovecchio – mi hanno detto: “Che cazzo vuoi fare, vai lì e non dire un cazzo… se tu fai l’informatore sei un coglione, questo è il messaggio”.

L’avvocato Aiello: il ruolo.

Ma ritorniamo a quel riferimento, al presidente della banca Gerhard Brandstätter, nominato al vertice di Sparkasse nel 2014. Il “collegamento” che sembra impensierire il broker Bogni è quello con il socio con cui Brandstätter ha condiviso per anni uno studio legale a Milano: Domenico Aiello, avvocato di fiducia dell’allora segretario federale della Lega e poi presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. “Credo che sia ancora con Aiello, in quello studio a coso, a Milano”, dice Lovecchio a Bogni riferendosi a Brandstätter. Di certo, al di là del colloquio intercettato, gli incroci tra Aiello, Brandstätter, Sparkasse e la Lega sono parecchi. Nel 2013, quando il Carroccio aveva un conto corrente attivo presso Sparkasse, il partito era difeso dallo studio legale Aiello-Brandstätter. Lo stesso Aiello, fino all’inizio del 2015, ha presieduto l’organismo di vigilanza della banca altoatesina. E Maroni, oltre ad aver scelto lo studio Aiello-Brandstätter come difensore della Lega, quando nel 2018 ha lasciato il Pirellone per tornare alla sua antica professione, l’avvocatura, ha ricominciato ad esercitare proprio nello studio di Aiello.

Contattata dal Fatto, Sparkasse ha fatto sapere che “la banca ha già fornito alla magistratura la propria posizione in proposito, per chiarire l’assenza di comportamenti illeciti o di connessioni con persone sottoposte ad indagini. L’operazione di investimento in Lussemburgo, di cui si sono occupati i media, è stata un’operazione svolta dalla banca per proprio conto, e non per conto di clienti, come normale investimento di tesoreria della banca stessa ed ha fornito ampie evidenze documentali in proposito alla magistratura”.

Brandstätteter ha sempre detto di non aver “mai saputo che la Lega avesse aperto un conto presso Sparkasse, se non ex post”. Ieri la banca ha aggiunto che “negli anni 2013/2016” Brandstätter “ha avuto semplicemente un’associazione professionale con l’avvocato Aiello, conosciuto per precedenti esperienze professionali, che era basata su una mera collaborazione tra le attività svolte dallo studio di Bolzano per quanto riguarda interessi in provincia di Milano di propri clienti”. Per quanto risulta al Fatto, nessuna delle persone citate in questo articolo è indagata dalla Procura di Genova.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/02/laudio-che-incastra-la-lega-sui-10-mln-spariti/6053239/

A che punto è la notte. - Marco Travaglio

 

Lo stupore per il record di ascolti di Mattarella è ampiamente esagerato, visto che eravamo tutti chiusi in casa. Ma accanto a chi cercava un po’ di compagnia almeno in tv o attendeva i televeglioni, c’era anche chi sperava di capire qualcosa sulle sorti del governo. A parte l’Innominabile e la sua masnada di irresponsabili, infatti, anche il leghista o il meloniano più sfegatato trasecola all’idea che il governo cada ora, coi vaccini da fare e il Recovery plan da presentare, o che si ipotizzi un assembramento generale alle urne con la terza ondata di Covid alle porte. Il capo dello Stato non poteva sostituirsi al Parlamento nemmeno ora che siamo sospesi fra “angoscia e speranza”. Ma qualcosina più dei messaggi sottovuotospinto degli anni scorsi l’ha detta. Non quando ha confermato che si vaccinerà (e che doveva fare: iscriversi ai No Vax?). Ma quando ha respinto i catastrofismi da “Covid governo ladro” (“Ho ricevuto in questi mesi attestazioni di apprezzamento e di fiducia per il nostro Paese da tanti capi di Stato di paesi amici”). E quando ha ricordato che “i prossimi mesi sono un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni” e quindi guai a “perdere tempo”, a “sprecare energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte”.

Indovina indovinello: chi è che spreca energie per inseguire illusori vantaggi di parte? Naturalmente il destinatario ha subito finto di non sentire e c’è da aspettarsi che presto mandi il governo a gambe all’aria, o almeno ci provi. Non perché, come dice chi la sa lunga, “si è spinto troppo oltre e rischia di perdere la faccia” (quella rischia di perderla solo chi ne ha una). Ma perché, anche a volerne pensar bene, è della stessa specie dello scorpione che si suicida pungendo la rana che lo traghetta sul fiume e confessa: “È la mia natura”. Non sarà un monito d’inizio anno a fermarlo. E nemmeno le eventuali concessioni dell’ennesima bozza di Recovery che Conte, Gualtieri e Amendola stanno preparando dopo gli incontri con i partiti giallorosa. Il premier fa bene a levargli ogni alibi, perché sia chiaro a tutti chi avrà scatenato la crisi. Ma la crisi ci sarà, anzi c’è già. Se Messer Due Per Cento non avrà il coraggio di ufficializzarla, dovrà farlo Conte, se è vero che non vuole “galleggiare” tra un ricatto e un penultimatum, portando subito il Recovery in Parlamento. E dovranno farlo M5S, Pd e LeU, presentando una mozione di fiducia per stanare gli irresponsabili di Iv e gli eventuali “responsabili”. Cioè quanti preferiscono questo governo alle elezioni o al caos, purché non chiedano in cambio null’altro che conservare il seggio sino alla scadenza della legislatura. Cioè lo facciano gratis.

Foto da: http://fablesfairytalesandsocialjustice.weebly.com/index.html

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venerdì 1 gennaio 2021

Crateri, pianure, colli e scarpate: Venere, l’unico pianeta a misura di donna. - Angelo Molica Franco

 

Dista 41 milioni di chilometri da noi, ma ogni elemento riporta il nome di un'eccellenza femminile: dalle divinità come Pandia o Molpe, alle scrittrici Jane Asuten o Simone de Beauvoir, alle scienziate Sophia Jex-Blake o Caterina Scarpellini. Dobbiamo solo aspettare che la Nasa lo renda vivibile.

Sembrerà provocatorio (ma è vero): per trovare un mondo – nel senso più geofisico del termine – a misura di donna bisogna andare a 41 milioni di chilometri da noi. Così lontano? Eh già! Bisogna arrivare fino al pianeta Venere. Per chi infatti non vuole attendere che la nostra civiltà ricucia le maglie sdrucite del gender gap, diminuendo le discriminazioni ai danni dell’universo femminile, può invece sempre aspettare che il pianeta Venere – definito dagli studiosi “il pianeta gemello della terra” – divenga abitabile… basta solo risolvere il problema dell’aria incredibilmente gassosa e densa, le frequenti scariche elettriche di notevole potenza, i venti violenti, la pressione atmosferica di 90 atmosfere e il trascurabile dato del clima: si stima che la temperatura al suolo sia di circa 437-467°C (e chi lo sa se la Nasa, o chi per essa, ci stia lavorando dato il problema di sovrappopolamento che la Terra sta affrontando nell’ultimo decennio).

Infatti, per una convenzione stabilita dall’Unione Astronomica Internazionale (fondata nel 1919), chiamata “Nomenclatura di Venere”, tutte le strutture sulla superficie del pianeta hanno nomi femminili, in memoria della parte muliebre del mondo, tra passato e presente, tra mito e realtà. Da questo – e da altri motivi tra cui il nome – deriva l’adagio secondo cui le donne verrebbero da Venere. Dunque basta tergiversare, e partiamo con la fantasticheria: in questi giorni di immobilità, nessuno ci vieta, seduti sulla poltrona più comoda del salotto, di fare una bella passeggiata immaginaria – questa non la preclude nessun Dpcm – per le strade, i viottoli, i percorsi astrali di Venere. Il consiglio è di farla a piedi, per non perdersi nulla.

Ecco qui, allora, un’agile guida di cosa s’incontra sul pianeta, la cui visita corrisponde a una specie di enciclopedia tribale al femminile.

Mentre camminiamo, potrà capitare di rischiare di cadere in un avvallamento particolarmente scosceso, una specie di canyon. Quello è un Chasma, ognuno dei quali si chiama con il nome di divinità lunari, della caccia o dei boschi nelle diverse culture. Così, sui cartelli che ne attestano la presenza, si possono leggere i nomi di Selene, Artemide, Pandia; e Giunone, Febe, Ecate. Risaliti da un chasma, possiamo inerpicarci su di un leggero rilievo o una collina di piccole dimensioni. Cercando indicazioni nella segnaletica, se leggiamo nomi di divinità marine o della pesca – come per esempio Molpe, Mena, Akkruva, Olosa, Urutonga –, allora siamo su un Colles. Dall’altezza di questo promontorietto, si possono notare delle buche a forma di uovo (quasi fossero delle impronte di esplosioni): queste sono le Coronae, intitolate alle dee della fertilità.

Tuttavia, l’aspetto per cui è più famosa la superficie di Venere sono i crateri. Per quelli con diametro inferiore a 20 km, si utilizzano i nomi propri provenienti da tutte le lingue del mondo (dunque Abigail, ma anche Alima, Cynthia, Dyasya, Eini, Maria, Nomeda, Oivit, Pamela e giù fino a Zurka, che è d’origine gitana). I crateri più grandi recano il nome di donne celebri nella Storia. E qui inizia un viaggio nel viaggio: soprattutto, alla scoperta.

Tra i primi, incrociamo con la A il cratere intitolato alla poetessa russa Anna Achmatova, lei che cantava “Il miele selvatico/sa di libertà”. Accanto, proprio subito dopo, le scrittrici Louisa May Alcott e Jane Asuten. Mentre l’autrice di Orgoglio e pregiudizio non ha mai fatto riferimenti astronomici nei suoi romanzi, Jo di Piccole donne – una volta, mentre è su in soffitta con le sue sorelle – parla di galassie, cieli e altri mondi. Non appena incrociamo un cratere che vagamente ricorda la gonna arricciata di un abito da charleston, è quello di Joséphine Baker, la danzatrice americana naturalizzata francese, nota anche per essere stata una spia durante la seconda Guerra mondiale a favore della Francia Libera. Rimanendo sul palcoscenico, non lontano da lì, possiamo scorgere la cavità dedicata alla divina Maria Callas. Se si accosta l’orecchio a terra, si possono ascoltare i melismi di “A noi volgi/a noi volgi/ il bel sembiante” direttamente dall’aria Casta Diva. E se parliamo di Francia come non citare, a 1° di longitudine, 96,1 ° di latitudine il craterone (ben 52 km) dedicato a Simone de Beauvoir, accanto a quello più piccolo di Madame de Staёl, scrittrice e detentrice – nel ’700 – di uno dei salotti politici più importanti d’Europa.

A due passi da lì, troviamo una formazione rocciosa dall’aspetto ondulato. È un Fluctus: sono intitolati a divinità secondarie e alcuni possono arrivare a una lunghezza di 1000 chilometri. Attorno al cratere dedicato a Sophia Jex-Blake, una delle prime mediche (parola medievale ormai in disuso ma esistente) del Regno Unito, creatrice di due scuole di medicina per donne a Londra e Edinburgo a fine ’800, possiamo invece scorgere quelli che si chiamano Labyrinthi, vaste pianure attraversate da canyon orientati a diverse angolazioni e che si intersecano a vicenda.

Ma la superficie di Venere è anche nota per le variazioni cromatiche, che la rende – in esogeologia – divisibile in Regiones. Consacrate alle gigantesse e alle titanidi della mitologia come Dione (figlia di Urano, amante di Zeus e madre di Afrodite) o Eistla (eroina dalla forza sovrumana della tradizione norrena), si caratterizzano per il diverso colore o per la maggiore o minore riflettività della luce.

Bisogna, però, fare sempre attenzione tra un cratere e l’altro – dunque tra un Selma Lagerlöf (prima scrittrice a vincere il Nobel), un Caterina Scarpellini (prima astronoma italiana a osservare una cometa), un Mary Wallstonecraft (prima filosofa femminista) e un Maria Montessori (la pedagogista più importante della Storia) – alle scarpate in cui inciampare e ruzzolare: si chiamano Rupes e portano il nome delle divinità del focolare. E dopo aver attraversato un cratere a forma di grande psiche (specchiera oscillante di forma volare molto in voga tra i secoli XVIII e XIX) intitolato alla pittrice impressionista Berthe Morisot perché somiglia al suo celebre dipinto Dévant la Psyche, passando per l’irosa moglie di Socrate Santippe, si giunge alla fine della passeggiata con la Z di Lidiya Zvereva, la prima donna russa a diventare aviatrice e a solcare (guarda un po’) i cieli.

La passeggiata è finita. Possiamo ridestarci sulla nostra poltrona e svegliarci dall’incantesimo. Marina Cvetaeva – anche a lei è dedicato un cratere – scriveva a Boris Pasternak: “Credo soltanto agli incantesimi”. Tuttavia, la magia più affatturante e seduttiva è quello della memoria. E certo fa riflettere – dopo aver esperito il piacere – che per ricordare, eternare e magnificare le donne serva arrivare fino al pianeta Venere, con il telescopio, la sonda spaziale o l’immaginazione, come se qui, da noi sulla Terra, non ci fosse… lo spazio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/30/crateri-pianure-colli-e-scarpate-venere-lunico-pianeta-a-misura-di-donna/6047984/

Trenta pagine di critiche e tredici righe di proposte. È il piano Recovery di Italia Viva, annunciato da Renzi come alternativa a quello “senza ambizione” di Conte.

 

Per Renzi il piano del governo è "senza ambizione e senz'anima", ma il testo presentato a Gualtieri è dedicato quasi per intero alle "criticità": poche le proposte. Il "piano Ciao" annunciato due giorni fa? Tredici righe. Per il resto tornano gli attacchi su riforma della giustizia, del titolo V del reddito di cittadinanza e le polemiche sui fondi dedicati a progetti "vecchi". Non manca l'affondo sulla delega ai servizi (ma Conte ha ricordato che è sua prerogativa). In compenso il Ponte sullo Stretto è "irrinunciabile".

L’attacco alla “stanca retorica del modello italiano”, i chiodi fissi della riforma della prescrizione, del titolo V e del bicameralismo perfetto, le critiche al reddito di cittadinanza (che con il recovery plan non c’entra nulla) e il Ponte sullo Stretto definito “irrinunciabile“. Nel documento consegnato dalla delegazione di Italia viva al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e al titolare degli Affari europei Enzo Amendola ci sono tutti gli slogan snocciolati da Matteo Renzi nell’anticipare la presentazione dei sessanta “punti su cui non siamo d’accordo” tra quelli elencati nella bozza di piano di ripresa per accedere al Next generation Eu preparata dal governo. Ma il grande assente – o quasi – è il “piano Ciao” che l’ex premier aveva presentato come una visione di futuro alternativa rispetto a quella del premier Giuseppe Conte, definita “collage raffazzonato” di proposte di diversi ministeri “senza ambizione e senz’anima“. Ecco, sulle 33 pagine consegnate dai renziani a Gualtieri il piano Ciao ne occupa mezza13 righe in tutto su culturainfrastruttureambiente e opportunità.

Le altre 30 (tolto il frontespizio e una breve presentazione rivolta al ministro) sono dedicate alle 62 “criticità” rilevate nella bozza governativa. Osservazioni in gran parte politiche e “di forma“, più che tecniche e nel merito dei contenuti. Si tirano in ballo tra il resto la giustizia, le misure anti povertà e i servizi segreti, che poco hanno a che vedere con i finanziamenti in arrivo da Bruxelles. Qua e là spuntano alcune idee e suggestioni che spesso però corrispondono a contenuti già presenti nel Recovery plan di Palazzo Chigi: vedi il potenziamento degli Istituti tecnici superiori, le partnership pubblico-private per la ricerca e il trasferimento tecnologico, gli interventi per la disabilità.

Ecco il documento portato a Gualtieri da Italia Viva.

Anche sulla task force il problema è di “forma” – La prima rimostranza è che “progetti di questo tipo solitamente hanno un Executive Summary e poi un’analisi dettagliata. Così ad esempio France Relance” (che non è il Recovery plan francese: comprende anche risorse nazionali). Ma la bozza arrivata in cdm il 7 dicembre – comunque tutt’altro che definitiva, come si è visto dai successivi aggiornamenti – conteneva in realtà una prima parte dedicata agli obiettivi generali del piano con tanto di tabella riassuntiva degli stanziamenti immaginati per ogni voce. “Non servono progetti nascosti nei cassetti e tirati fuori all’ultimo minuto. Occorre trasparenza”, ribadisce poi il partito dell’ex premier, sorvolando sui numerosi incontri del Comitato tecnico di Valutazione costituito presso il Comitato affari europei a cui hanno partecipato rappresentanti dei ministeri. “Non possiamo accettare un documento senza una visione, non possiamo essere complici del più grande spreco di denaro pubblico“. E ancora: “Il documento è chiaramente un collage di testi diversi. Per noi serve una penna sola per tutto il testo, non una collazione di diversi brani”. Quanto alla prevista e tanto criticata task force per la gestione dei progetti, “non pensiamo che si possa fare a meno di unità di missione e di commissari“. Sempre questione di forma, insomma: “Clamoroso errore partire dalla Governance senza avere una visione chiara: è burocratismo creare missioni senza aver chiarito prima che cosa si vuol fare”.

No all’Italia come modello: “Approccio provinciale” – Non vanno bene le critiche alle politiche del passato – “serve a garantire il consenso interno ma getta una pessima luce sulla capacità di fare squadra del nostro Paese” – e nemmeno citare l’Italia come modello nella gestione del coronavirus: “non siamo un modello, anzi! Nella gestione dell’emergenza il nostro personale sanitario è stato eroico ma abbiamo numeri peggiori degli altri, siamo tra i peggiori al mondo per numero di morti nonostante un lockdown più duro degli altri con conseguenze economiche devastanti, la Germania ha nei primi due giorni vaccinato un numero di persone superiore di cinque volte ai nostri vaccinati: cosa ci fa pensare che possiamo ergerci a modelli per gli altri?”. Il giudizio finale è che si tratta di “un approccio provinciale” che “funziona per sondaggi e talkshow ma purtroppo non corrisponde al vero”.

Sbagliato anche “parlare di una “ampia consultazione di stakeholder”: “Vero che si è fatta la commissione Colao ma definire questa una consultazione non ha senso: (…) Forse vale la pena aprirsi per due settimane a un dibattito vero con il Paese, con le associazioni di categoria, con il mondo produttivo, con il terzo settore anziché definire ampia consultazione di stakeholder ciò che è accaduto in questi mesi, a cominciare dagli Stati Generali“.

Nel mirino pure la riforma della prescrizione e il titolo V – Nel mirino finisce poi la riforma della prescrizione, citata nella bozza del Recovery solo per ricordarne i motivi e sottolineare che ora occorre fare passi avanti anche nella riduzione della durata dei processi, cosa che la Commissione Ue ci chiede da anni. “Il nodo della riforma della prescrizione è tutt’altro che risolto, visto che è oggetto della riforma del processo penale ed è attualmente in fase di stallo. Non avendo condiviso il compromesso individuato, per noi resta un problema prioritario da affrontare”, scrive Iv. Così come la riforma del Csm “che non sarà in grado di eliminare la degenerazione correntizia e nemmeno di consentire una vera valorizzazione del merito”. In generale, per i renziani è fondamentale “riaffermare senza tentennamenti una cultura giuridica e politica garantista in linea con la nostra Costituzione, troppo spesso messa in discussione con le parole e coi fatti dal governo oltre che da alcune forze politiche”. Tutte notazioni che sembrano fatte apposta per rinfocolare le tensioni tra anime della maggioranza.

Poi si tira in mezzo anche la “scarsa attenzione alle riforme istituzionali” perché “che il titolo V non funzioni lo ha dimostrato questa terribile pandemia. Che il bicameralismo paritario non stia in piedi lo ha dimostrato la gestione parlamentare di questo 2020. Che il Cnel non sia utile lo dimostra il fatto che il Governo crea task force ma non coinvolge mai quella che in teoria dovrebbe essere allo stesso tempo la task force e la casa degli Stati Generali. Finché non si avrà il coraggio di dire che servono riforme costituzionali vere non si risolveranno i problemi strutturali di questo Paese”.

Superbonus “moralmente ingiusto” – Sembra un attacco diretto ai 5 Stelle anche la critica al superbonus 110% che la manovra votata anche da Italia viva ha appena prorogato fino alla fine del 2022. “A nostro giudizio la quantità di denari per il superbonus 110% è eccessiva e immotivata. Spendere per il superbonus più di quanto si spenda per ospedali, carceri, case popolari, scuole è moralmente ingiusto e politicamente sbagliato”.

“Ponte sullo Stretto irrinunciabile” – Venendo alla parte sulle infrastrutture, per Italia viva è increscioso che nella bozza si citi “tutta l’alta velocità escludendo il Ponte sullo stretto di Messina (viene scritto che si arriva a Reggio Calabria e si riparte a Messina). Sappiamo che il Ponte in quanto tale non è opera finanziabile con il Recovery ma sappiamo anche che i soldi che arriveranno sulle infrastrutture rendono il ponte irrinunciabile logicamente e più facile da realizzarsi”. La grande opera sognata da Silvio Berlusconi e definitivamente archiviata dal governo Monti, va detto, era stata riportata alla ribalta l’estate scorsa pure da un gruppo di deputati Pd.

Torna la polemica sui fondi per progetti “vecchi” – Il documento torna anche sulla polemica riguardo al fatto che una parte troppo piccola di prestiti europei sarebbe utilizzata per progetti “nuovi” mentre “il 70% dei prestiti” andrebbe a “finanziare a condizioni migliori spese già previste in bilancio”. L’osservazione non tiene conto del fatto che nelle nuove bozze quella quota è già stata aumentata, oltre al fatto che lo stesso Mario Draghi – citato da Iv per sostenere la propria tesi – ha in realtà affermato che l’importante è che i progetti abbiano “rendimento sociale elevato”: non importa se nuovi o vecchi, devono essere utili. I renziani non la vedono così: “Stiamo forse dicendo che abbiamo a disposizione progetti del genere solo per poco più della metà delle risorse? Mentre per il resto non abbiamo migliore utilizzo che il finanziamento di spese “vecchie”, al solo scopo di risparmiare spesa per interessi (una finalità nobile ma che tuttavia si nega per il Mes sanitario)?”.

Reddito di cittadinanza? “Impiegare meglio quei soldi” – Il reddito di cittadinanza non verrà ovviamente rifinanziato con risorse europee. Ma la delegazione di Iv non perde occasione per criticarlo e proporre di spendere quei soldi in altro modo: “A pagina 74 si dice che ha contribuito a ridurre la povertà assoluta dal 7 al 6.4%. Se questi sono i numeri possiamo ben dire che il reddito ha fallito. Per sostenere che questa misura abbia abolito la povertà, bisogna prima abolire la matematica. Vale la pena capire come meglio impiegare quei soldi, a cominciare dai progetti per l’occupazione giovanile, per la lotta alla povertà, per l’abbassamento del costo del lavoro“.

“Occupazione giovanile grande assente”. Ma c’è – Occupazione giovanile, appunto: stando al documento è “il grande assente. Si chiama Next Generation Eu ma questo piano prende ai giovani i soldi con il debito e non restituisce quanto dovrebbe”. In realtà la bozza la cita, proponendo una “revisione strutturale delle politiche attive del lavoro e dei servizi sociali e modernizzazione del mercato del lavoro al fine di migliorare l’occupazione e l’occupabilità, soprattutto giovanile, e in particolare dei Neet, delle donne e dei gruppi vulnerabili“. Non entra nel dettaglio, perché come è noto i singoli progetti sono ancora in fase di selezione. I renziani propongano un’idea copiata dal regno Unito, una specie di garanzia giovani potenziata per i Neet.

L’affondo su cyber security e servizi – Infine non poteva mancare un capitolo sulla Cyber security: “Non ci convince l’ipotesi di istituire un centro di sviluppo e ricerca sulla cyber security che opererà con partenariati pubblici e privati dal momento che non ne sono stati discussi i confini e i contenuti. Peraltro, occorrerebbe capire in che modo opererà questo centro alla luce della annunciata (e allo stato attuale non condivisa) costituzione di una fondazione per la cyber security che dovrebbe rispondere unicamente al governo. La preoccupazione è acuita anche dalla ribadita intenzione che ha espresso il Presidente del Consiglio di non attribuire la delega ai servizi, la cui gestione è accentrata nelle sue mani ormai da 2 anni e mezzo. Su questa scelta Italia Viva esprime un radicale dissenso”. Conte nella conferenza di fine anno ha ricordato che “la legge del 2007 attribuisce al presidente del Consiglio la responsabilità politica e giuridica sulla sicurezza nazionale, ne rispondo comunque, che mi avvalga o meno della facoltà, non è obbligatorio. Queste funzioni non sono delegabili”. In ogni caso “abbiamo un organismo, il Copasir, che ha funzioni di vigilanza e controllo sull’operato del presidente del Consiglio e le Agenzie di intelligence, che garantisce rispetto dell’interesse generale. Chi chiede al Presidente del Consiglio di dover delegare deve spiegare perché, non si fida del presidente del Consiglio? Allora bisogna cambiare la legge”.

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