sabato 20 marzo 2021

“Era un collaboratore riservato di Falcone e fu testimone dell’abbraccio tra Stato e mafia: ecco perché è stato ucciso Nino Agostino.” - Giuseppe Pipitone

 

L'INTERVISTA - L'avvocato Fabio Repici è il legale della famiglia del poliziotto ucciso il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio. Per tre decenni un duplice omicidio senza colpevoli e privo di mandanti. Fino a ieri quando è stato condannato all'ergastolo il boss Nino Madonia. "Un risultato storico che arriva dopo 25 anni di depistaggi e di una vera e propria distruzione della verità", dice il legale. Che racconta quello che ha scoperto la procura generale di Palermo: il poliziotto aveva un "rapporto fiduciario" con il giudice ucciso a Capaci. E faceva parte di un "gruppo riservato" che si occupava di cacciare i latitanti.

C’erano i buoni che in realtà erano cattivi. E poi c’erano i cattivi che erano pure peggio. In mezzo c’era lui: un comune poliziotto che lavorava al servizio Volanti del commissariato San Lorenzo di Palermo. Apparentemente Nino Agostino si occupava di posti di blocco e contravvenzioni. In realtà dava la caccia al latitanti. Quelli di Cosa nostra, che all’epoca si chiamavano Totò Riina e Bernardo Provenzano e comandavano un esercito completamente mimetizzato nella vita di ogni giorno. Al bar, per strada, in banca: nel 1989 a Palermo la mafia non era un’anomalia, era routine. “Quest’omicidio è stato fatto contro di me“, dirà davanti alla bara di quell’agente di polizia, il magistrato Giovanni Falcone: avevano ucciso un investigatore che lavorava con lui, seppur in via riservata. Troppo riservata: fino a oggi di quella collaborazione non si sapeva nulla. Non si poteva: il principale testimone di tutta quella storia, cioè lo stesso Falcone, è stato fatto saltare in aria. E sull’omicidio di Nino Agostino e di sua moglie, Ida Castelluccio, sono calati tre decenni di silenzio.

Sembra una storia da film, di quelli americani col finale a sorpresa che arriva dopo, molto dopo, quello ufficiale. Questo, però, non è un film ma la storia di un duplice delitto quasi dimenticato, ingoiato dalle cronache di bombe e morte degli anni ’90. Agostino e la moglie li ammazzano poco prima, alla fine di una giornata di mare: il 5 agosto del 1989, davanti casa dei suoi genitori, a Villagrazia di Carini, spuntano in due su una motocicletta e cominciano a sparare. Nino apre il cancello e col suo corpo fa scudo a Ida. Che si volta, guarda in faccia i motociclisti e grida: “Io vi conosco“. Quelli rispondono e la colpiscono al cuore: era incinta da tre mesi e sposata da uno.

Trentadue anni: tanto ci è voluto per portare a processo e condannare all’ergastolo Nino Madonia, uno di quei killer che Cosa nostra usava per i delitti particolari. Quello di Agostino era particolarissimo, senza movente e senza colpevoli: perché assassinare in quel modo un semplice agente in servizio alla sezione Volanti del commissariato di San Lorenzo, a Palermo? Perché farlo mentre si trova insieme alla moglie nella casa sul mare? E poi: come è possibile che ci siano voluti 32 anni per arrivare a una condanna di primo grado? “Questa sentenza è un miracolo“, dice l’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Agostino. Vincenzo, il padre del poliziotto ammazzato, in Sicilia lo conoscono tutti perché ha una lunghissima barba bianca. Non la taglia dal 1989, dal giorno in cui gli hanno ammazzato il figlio e la nuora davanti casa: una sorta di fioretto laico che rispetterà, dice, fino a quando non emergerà tutta la verità.

Avvocato Repici, con la sentenza di oggi arriva un pezzettino di verità sul caso Agostino?
No, non è un pezzettino di verità. È un risultato storico per il distretto giudiziario di Palermo perché arriva dopo 25 anni di depistaggi e di una vera e propria distruzione della verità.

In che senso distruzione della verità?
Un collega di Nino Agostino fece scomparire gli appunti scritti dallo stesso Agostino, che prevedeva il suo assassinio, dormiva con la pistola sul comodino, e per questo si era tutelato. Ecco perché va sottolineato il risultato storico della procura generale di Palermo guidata da Roberto Scarpinato e dai sostituti Domenico Gozzo e Umberto De Giglio. Sono arrivati alla sentenza di condanna di Nino Madonia, il più pericoloso esponente della stagione corleonese di Cosa nostra a Palermo. Uno che ha avuto come principale capitale sociale le relazioni privilegiate con gli apparati deviati dello Stato e del Sisde.

Per molto tempo il caso Agostino è stato liquidato come un duplice omicidio senza colpevoli e senza moventi. Perché si dovuti attendere 32 anni prima di arrivare a una sentenza?
Perché l’omicidio Agostino è stato eseguito da due uomini di Cosa nostra, legati ad apparati dello Stato, e cioè Nino Madonia e Gaetano Scotto. Ma è stato commesso anche nell’interesse di apparati deviati dello Stato che poi sono intervenuti nell’attività di depistaggio.

In che modo?
L’attività di occultamento della verità è stata posta in essere in una maniera così spregiudicata tale da occultare e far sparire delle informazioni che erano emerse fin da subito. La sera stessa dell’omicidio un collega di Agostino, il poliziotto Domenico La Monica, aveva riferito al capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, che proprio Nino Agostino si occupava della ricerca di latitanti. Informazione che è stata recuperata solo recentemente.

Già il giorno dopo, davanti alle bare di Agostino e della moglie, Falcone disse al commissario Montalbano: “L’omicidio di questi due ragazzi è stato commesso contro di me”. Che cosa significa?
Che fin dall’immediatezza il magistrato più esperto nei fatti di Cosa nostra aveva capito cosa fosse l’omicidio Agostino. Falcone era il principale testimone di quel duplice assassinio. Purtroppo venne eliminato il 23 maggio del 1992 con la strage di Capaci. E per la verità su Nino e Ida sono serviti altri trent’anni.

Chi era Nino Agostino? E perché è stato assassinato?
Era un umile agente di Polizia desidoroso di servire lo Stato. Ed era un poliziotto coraggioso. Negli ultimi tempi della sua carriera è stato accertato che aveva accettato di partecipare alla ricerca dei latitanti di Cosa nostra. Un’attività borderline, ma istituzionalmente organizzata col coordinamento dell’Alto commissariato antimafia, dei servizi di sicurezza e della polizia.

Un terreno minato.
Esatto. E infatti, mentre era impegnato in quest’attività, Nino Agostino divenne testimone scomodo delle contiguità di alti funzionari della polizia e dei servizi sicurezza con i mafiosi del mandamento di Resuttana, cioè quello di Nino Madonia, il suo killer. Bisogna considerare che il mandamento di Resuttana, per delega diretta di Riina, si occupava delle relazioni tra Cosa nostra e gli apparati istituzionali. Accadevano cose incredibili in quella zona di Palermo.

Per esempio?
Alcuni anni fa vennero intercettati due poliziotti della squadra Contrada che raccontavano dell’esistenza di un poligono di tiro in cui andavano a sparare poliziotti, mafiosi e uno come Pierluigi Concutelli, il neofascista che è stato “covato” personalmente dalla famiglia Madonia e che poi uccise il giudice Vittorio Occorsio.

Cosa nostra, apparati dello Stato ed eversione neofascista: tutti insieme nello stesso spicchio di Palermo.
Già, per questo io ho parlato di una trinità a monte dell’omicidio Agostino. Ma c’è un’altra cosa.

Quale?
Negli ultimi mesi di vita Nino Agostino, così come è stato dimostrato dalle indagini, era entrato in rapporti di collaborazione con il giudice Falcone.

Che tipo di collaborazione?
Collaborava sia nell’attività prestata per la scorta di un testimone che veniva sentito in quel momento da Falcone, cioè l’estremista di destra Alberto Volo. Sia per le attività di cui si occupava personalmente Falcone, che si era circondato in modo riservato dell’aiuto di alcuni esponenti della Polizia.

Tra questi Nino Agostino?
È stato accertato che Falcone aveva un rapporto fiduciario con Agostino. L’uccisione del poliziotto avviene nel momento più incandescente dell’estate del 1989, cioè l’estate in cui ebbe la stura la stagione stragista. Fu il periodo in cui a causa di uno scontro feroce che scoppiò all’interno degli apparati dello Stato, uomini come Falcone – a cui tutti i cittadini italiani sono debitori – si trovarono in condizioni di sovraesposizione. Furono obbligati a doversi tenere al riparo dall’attività di altri organi istituzionali e allo stesso tempo dovettero affidarsi alla collaborazione di soggetti fiduciari. Tra questi, sicuramente, c’era Nino Agostino.

Quella fu l’estate dell’attentato all’Addaura, delle polemiche contro Falcone accusato di essersi messo da solo l’esplosivo sotto casa, e anche delle “menti raffinatissime” come le definì lo stesso giudice. Secondo lei, a cosa si riferiva?
A quell’assetto di interessi che porterà anche all’uccisione di Nino Agostino. Putroppo dopo l’omicidio Agostino, Falcone operò riservatamente e riservatamente cercò di trovare il bandolo della verità. Ma nulla di questo venne reso ufficiale in documenti formalmente utilizzabili: con la strage di Capaci venne fatto fuori non solo il nemico numero uno di Cosa nostra, ma anche il principale testimone dell’omicidio Agostino.

Questa è una storia di ombre e luci che s’intersecano. Per esempio la procura generale sostiene che Agostino lavorasse in un “gruppo riservato”, una sorta di squadra speciale di cattura latitanti. Ma dentro questa squadra c’erano anche personaggi come Giovanni Aiello, meglio noto come “Faccia da mostro”, che prima di morire – nel 2017 – fu pure indagato per l’omicidio del poliziotto.
Se è per questo in quel gruppo c’era anche Guido Paolilli, il poliziotto intercettato mentre diceva di aver stracciato “una freca di carte” dall’armadietto di Agostino. Venne indagato per favoreggiamento e archiviato per prescrizione, ma la famiglia lo ha citato in giudizio in sede civile.

Dunque Agostino lavorava con le persone che depistarono le indagini sul suo omicidio?
Agostino iniziò l’attività di poliziotto sotto l’egida del più anziano ispettore Paolilli, che era non solo suo collega ma anche suo amico. Ed era un uomo di assoluta fiducia di Bruno Contrada. Il problema di Agostino è che iniziò a svolgere quell’attività di ricerca di latitanti sotto l’egida di Paolilli e di quello che c’era dietro Paolilli, ma la svolgeva da poliziotto onesto. Si trovava in un osservatorio che gli consentì, putroppo, di vedere quello che è stato poi raccontato da collaboratori di giustizia e testimoni istituzionali: un abbraccio continuo tra alcuni esponenti dello Stato e Cosa nostra. Questo è stato uno dei due motivi per i quali fu ucciso Nino Agostino.

Quale è l’altro?
Quello più vicino all’interesse di Cosa nostra: proteggere i latitanti. Agostino negli ultimi tempi di vita era sulle tracce di Riina e Provenzano. Dal giorno dopo il suo matrimonio andava costantemente a San Giuseppe Jato dove in quel momento si trovava latitante Riina. Tutto questo nella consapevolezza di un personaggio che era lo zio acquisito della moglie, mafioso e uomo dei Brusca. Per questo motivo l’omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio è un omicidio commesso a mezzadria tra uomini di Cosa nostra e dello Stato.

Il caso Agostino è stato legato alla figura di Emanuele Piazza, ex poliziotto che collaborava col Sisde nella ricerca dei latitanti, scomparso nel nulla nel marzo ’90. Secondo gli inquirenti anche Piazza lavorava nel “gruppo riservato” di Agostino. Quanti sono i “casi Agostino” che non abbiamo capito negli ultimi trent’anni anni?
Ci furono sicuramente almeno quattro personaggi attivi nella ricerca di latitanti che furono uccisi tra il maggio del 1989 e il marzo del 1990. Si tratta di Nino Agostino, di Emanuele Piazza, di Giacomo Palazzolo, di Gaetano Genova. Agostino, però, era l’unico a indossare una divisa in quel momento.

Madonia ha preso ergastolo in abbreviato, ma il giudice ha ordinato anche un duplice rinvio a giudizio: per il boss Gaetano Scotto e per Francesco Paolo Rizzuto, un vicino di casa degli Agostino, accusato di favoreggiamento. Questo sarà un processo che sarà celebrato in aula coi testimoni.
E noi chiameremo a testimoniare tutti i soggetti istituzionali, ancora vivi, per dimostrare quella verità spaventevole che è stato l’omicidio Agostino-Castelluccio. Cioè un omicidio commesso nell’interesse anche di settori infedeli dello Stato.

Il Fatto Quotidiano

9 settimane e mezzo. - Marco Travaglio

 

No, dài, sarà uno scherzo, non può essere vero. La maggioranza di extralarge intese impiega due mesi a fotocopiare e ritoccare il dl Ristori scambiandolo per nuovo solo perché lo chiama Sostegni; e poi, proprio sul filo di lana, si blocca per altre 3 ore. Il Governo dei Migliori litiga su un condonetto come un qualsiasi governo dei peggiori. Il premier Migliore convoca la stampa per la prima volta in un mese alle 17.30 e poi si presenta alle 20 col favore delle tenebre e a favore di tg, come il Conte Casalino (avvertire Mieli). Intanto il suo staff s’arrampica sugli specchi delle nuove misure anti-Covid (al posto del decreto Draghi e del Dpcm Draghi in scadenza il 6 aprile) per trovare strumenti normativi diversi dal Dpcm: sennò poi dicono che è tutto come prima e Cassese s’incazza (e, tra i Cassesi che s’incazzano e i giornali che svolazzano, sono cassi). Così si pensa a un secondo decreto. Ma c’è un problema: essendo impossibile convertire in legge il primo dl Draghi entro il 6, farne un secondo che assorbe e supera il primo significa impedire al Parlamento di discutere il primo e passare al secondo, sempreché si faccia in tempo a discutere il secondo prima che sia sostituito dal terzo, ad libitum. Perciò il governo dei peggiori faceva un decreto e poi vari Dpcm attuativi, illustrandoli al Parlamento ogni 14 giorni. Cosa impossibile coi dl perché, prima che ne venga convertito uno in 60 giorni, ne arriva un altro al posto, e poi chi lo sente Cassese?

Dunque i cervelloni di Palazzo Chigi pensano a un’ordinanza di Speranza, che però sarebbe molto meno democratica e garantista di un Dpcm: la farebbe solo il ministro della Salute, anche su materie sociali ed economiche che competono ad altri; invece il Dpcm lo firma il premier, ma “sentiti i ministri competenti e la Conferenza Stato-Regioni”, che invece sarebbero tagliati fuori da un’ordinanza Speranza. Voi direte: ma con 400 morti al giorno, boom di ricoveri e terza ondata ti scaldi tanto per così poco? Non è per me. È per le ministre italovive, anzi per l’unica superstite: Elena Bonetti. Nove settimane e mezzo fa lasciò il governo precedente con “Teresa” e “Ivan” perché “non vogliamo renderci complici di delegittimare (sic, nda) il metodo democratico”, del “mancato rispetto delle forme parlamentari”, delle “mancate convocazioni del pre-Consiglio” dei ministri, dell’“abitudine di governare con decreti” e dell’“utilizzo ridondante del Dpcm”, per non parlare della “scelta di non accedere al Mes”. Ora, siccome i decreti e i Dpcm continuano, il pre-Consiglio non c’è stato neppure ieri e il Mes è sparito dai radar, non vorremmo che la Bonetti ci lasciasse di nuovo. O che l’Innominabile la ritirasse. O, peggio, che tutto ciò fosse già accaduto e nessuno se ne fosse accorto.

IlFQ. 

Palermo, dipendente di un Confidi rubava i soldi degli associati e li versava sui conti di famiglia: arrestata.

Le somme sottratte, 200 mila euro, hanno finanziato due locali gestiti dai familiari della donna.

Avrebbe dovuto distribuire bonifici agli associati di un Confidi, invece dirottava i soldi sui suoi conti. Le indagini del nucleo di polizia economico finanziaria, coordinate dai procuratori aggiunti Sergio Demontis e Annamaria Picozzi, hanno portato ai domiciliari Ivana Lo Re, 55 anni, dipendente amministrativa del Confidi. E' accusata di furto, autoriciclaggio e reimpiego di denaro in attività d'impresa. L'impiegata aveva la disponibilità delle password di accesso ai conti correnti on line del consorzio e ne avrebbe abusato.

Le verifiche del Gruppo Tutela Mercato Capitali hanno scoperto che Ivana Lo Re avrebbe fatto bonifici per 200 mila euro. Con lei risultano indagati tre familiari e due società a loro riconducibili che gestiscono locali della movida palermitana operanti nel settore della ristorazione. Ai familiari, appunto, finivano i soldi dirottati. Il Confidi è un ente che si occupa di favorire l'erogazione di finanziamenti alle imprese consorziate, che a tal fine versano quote associative, tramite la sottoscrizione di convezioni con banche e istituti di credito.

Spiega il colonnello Gianluca Angelini, il comandante del nucleo di polizia economico finanziaria: "La tecnica utilizzata per la frode era ingegnosa: considerato che per statuto i soci del Confidi potevano richiedere la restituzione della quota sociale versata entro cinque anni, l'indagata individuava tra le aziende quelle che non avevano richiesto la restituzione e predisponeva i bonifici di pagamento che si accreditava prima della prescrizione del diritto".

Con l'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip Claudia Rosini su richiesta del pm Eugenio Faletra, è scattato anche il sequestro delle somme di cui la dipendente si era appropriata.

La Repubblica

Vaccino Astrazeneca, “i ricercatori tedeschi e austriaci hanno scoperto la causa dei coaguli di sangue.”

 

L’indagine dei medici tedeschi, riferisce la Deutsche Welle, avrebbe mostrato come il vaccino abbia causato una rara trombosi cerebrale in un ristretto numero di pazienti. E questo significa che è possibile offrire un trattamento mirato a coloro che soffrono di una coagulazione simile, utilizzando un farmaco molto comune.

In attesa che si completino ulteriori verifiche dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) i ricercatori dell’ospedale universitario di Greifswald, in Germania, hanno annunciato di aver scoperto la causa dei coaguli di sangue riscontrati in un piccolo numero di destinatari del vaccino AstraZeneca. In questo modo, hanno spiegato, ora è possibile utilizzare un trattamento mirato.

“Il vaccino Astrazeneca è sicuro ed efficace”, i benefici “sono superiori ai rischi” e non può essere associato “a un incremento del rischio di trombosi“ ha dichiarato Ema attraverso la direttrice e gli esperti nella conferenza stampa di ieri. Non è escluso, però, che ci sia un legame con alcuni “casi più rari“, su cui verranno fatti “ulteriori approfondimenti”. Di conseguenza, “il foglietto illustrativo del farmaco deve essere aggiornato”. L’alert era partito dopo che il Paul Ehrlich Institut aveva accertato in Germania sette casi sospetti di rara trombosi del seno venoso cerebrale associata a carenza di piastrine. La Commissione di farmacovigilanza dell’Ema ha analizzato per giorni i dati e le informazioni provenienti dalle Agenzie nazionali del farmaco degli Stati membri, comprese le autopsie relative ad alcuni decessi, e si è confrontata anche con le autorità britanniche (dove sono già stati vaccinati con Astrazeneca oltre 11 milioni di cittadini), arrivando a un complessivo via libera. Nel giro di pochi minuti il governo italiano aveva quindi annunciato che le iniezioni sarebbero riprese oggi, mentre in Francia sono ripartite giovedì.

L’indagine dei medici tedeschi, riferisce l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, avrebbe mostrato come il vaccino abbia causato una rara trombosi cerebrale in un ristretto numero di pazienti. E questo significa che è possibile offrire un trattamento mirato a coloro che soffrono di una coagulazione simile, utilizzando un farmaco molto comune. I ricercatori hanno sottolineato che il trattamento sarebbe possibile solo nei pazienti in cui compaiono coaguli di sangue, piuttosto che come trattamento preventivo. Per quanto riguarda i sintomi come mal di testa continuo, vertigini o disturbi della vista che durano più di tre giorni dopo la vaccinazione, sono richiesti ulteriori controlli medici, ha spiegato l’Associazione di ricerca tedesca per la trombosi e l’emostasi. La scoperta dei ricercatori di Greifswald è frutto della collaborazione con l’autorità sanitaria statale dell’Istituto Paul Ehrlich e medici austriaci. Nei giorni scorsi, in Austria, un’infermiera è morta di trombosi cerebrale dopo essere stata vaccinata con AstraZeneca. I risultati di Greifswald non sono stati ancora pubblicati su una rivista scientifica e quindi non sono stati esaminati da esperti indipendenti. L’Istituto tedesco Paul-Ehrlich sta ora esaminando il lavoro degli scienziati. Le informazioni sono state condivise con gli ospedali di tutta Europa.


Il Fatto Quotidiano

venerdì 19 marzo 2021

Media ridicoli sull’elogio a Draghi. E scandalosi nel vituperio a Conte. Dura accusa del sociologo Domenico De Masi. “Siamo piombati in un grande salotto del sentito dire.” - Carmine Gazzani

 

I media? “Si stanno mettendo in una condizione ridicola”. Per via di un complotto ben architetto? “Niente affatto. Direi più semplicemente che chi si presta è cretino e ignorante”. Va dritto al punto il sociologo Domenico De Masi. C’è qualcosa che non torna, secondo il professore, nella torsione comunicativa di gran parte dei giornali e dei media in genere sul modo di attaccare Giuseppe Conte prima che cadesse il suo governo e nel modo di lodare invece il premier in carica Mario Draghi, nonostante in molte circostanze le azioni siano pressoché identiche.

“Le faccio un esempio”.

Mi dica.
“Prenda il Recovery Plan. Negli ultimi mesi del 2020 abbiamo sentito che Conte era in imperdonabile ritardo, che avrebbe dovuto muoversi. E invece? Bisogna consegnarlo entro il 30 aprile tanto che anche Draghi, giustamente, si sta prendendo il suo tempo. Guardi, quando finirà la pandemia metterò i miei collaboratori a lavorarci seriamente e scriveremo un saggio”.

Addirittura?
“La differenza che c’è stata tra gli ultimi mesi del 2020 e i primi del 2021 è incredibile: tutto quello che si poteva imputare a Conte è stato imputato, e tutto ciò che si può tacere su Draghi si tace. Il coro dei giornali è stato scandaloso, sia nel vituperio contro Conte sia nelle lodi sperticate a Draghi, fatta eccezione per qualche quotidiano”.

Ma crede che ci sia una motivazione precisa dietro?
“Guardi, sociologicamente è impossibile dare una spiegazione per quanto assurda sia questa situazione. Le dirò di più: se ci fosse un disegno dietro, sarebbe impeccabile. Talmente impeccabile e preciso da essere irreale. Io credo molto più prosaicamente che il giornalismo rappresenta un settore della cultura in crisi. Siamo come caduti in un immenso salotto nel quale non si ragiona più con i dati ma andando dietro al sentito dire. E a rendere il tutto ancora più irrecuperabile è da una parte la totale mancanza di obbedienza alla deontologia, dall’altra una supponenza di molti giornalisti che fa credere loro non di essere professionisti come gli altri, ma soggetti che possono pronunciare ogni tipo di sentenza”.

Crede che questo osannare oltremodo Draghi possa essere controproducente per il presidente del Consiglio stesso?
“Assolutamente sì”.

In che senso?
“Non gli si fa un gran favore. In questo modo, infatti, anche le attese aumentano e il rischio è che poi vengano putualmente disattese. Le faccio qualche esempio”.

Prego.
“Si era detto che con Draghi non ci sarebbero stati più i Dpcm e che i ristori sarebbero arrivati prima di subito. E invece il primo atto di Draghi è stato un Dpcm e i tempi per ricevere i ristori non solo non si sono ridotti ma anzi si sono raddoppiati. Per non parlare della Dad che è arrivata all’80% degli alunni”.

Mi par di capire che non è soddisfatto del nuovo governo…
“Guardi, Draghi è un fuoriclasse in campo economico, non c’è dubbio. Ma la politica non è solo economia, è interessarsi agli ultimi, alla scuola, all’edilizia, alle infrastrutture, è mille cose. Sa cosa diceva Luigi Einaudi?”.

Cosa?
“Nessuno è così poco perito nell’arte di governare come chi è perito in tutt’altra cosa”. Voglio dire: chi è un grande economista, non è detto che automaticamente diventi uno statista. E invece qui abbiamo giornali e giornalisti che hanno incoronato “statista” Draghi prima ancora di vederlo all’opera.

Per lei, insomma, ancora non ha dimostrato di essere un “politico”…
“Io dico soltanto che se fosse stato Conte a continuare con i Dpcm, se fosse stato Conte a ritardare nell’erogazione dei ristori, se fosse stato Conte ad innalzare la didattica a distanza all’80% tutti i giornali – al di là delle opposizioni politiche – ne avrebbero parlato. E invece in queste ultime settimane mi pare che nessuno, salvo qualche quotidiano, abbia detto nulla sulle decisione o sui ritardi del governo Draghi”.

Ma per lei non c’è una ragione che vada oltre il giornalismo.
“Le ripeto: no. È un problema culturale. E forse di ignoranza”.

LaNotizia.

L’etica dell’informazione. - Beppe Grillo

 

La transizione MiTe impone un diverso approccio, etico e riguardoso della persona e della sua immagine anche negli spazi televisivi dedicati alla politica ed ai suoi approfondimenti.

Il cittadino ha diritto di essere informato sui contenuti.

Non è più tollerabile che il dibattito sui temi che interessano ai cittadini venga svilito da una sorta di competizione al ribasso dove vince chi urla più forte. Non è più accettabile che le immagini dei servizi e degli ospiti in studio vengano svilite con inquadrature spezzettate e artatamente indirizzate. Non è più ammissibile che l’ospite in trasmissioni televisive (rappresentante politico, esperto, opinionista, ecc) venga continuamente interrotto quando da altri ospiti, quando dal conduttore, quando dalla pubblicità, che determina il livello del programma fomentando la litigiosità ed immolando il rispetto della persona sull’altare dell’audience.

Questo modo di fare televisione non serve a informare, ma a propinare le posizioni degli editori o dei conduttori di turno e queste non interessano ai cittadini. Questa non è informazione, ma intrattenimento di bassa lega che sfocia in propaganda da quattro soldi.

D’ora in poi, per rispetto dell’informazione e dei cittadini che seguono da casa, chiediamo che i nostri portavoce, ospiti in trasmissioni televisive, siano messi in condizione di poter esprimere i propri concetti senza interruzioni di sorta per il tempo che il conduttore vorrà loro concedere, e con uguali regole per il diritto di replica, che dovrà sempre essere accordato.

Chiediamo, inoltre, che i nostri portavoce siano inquadrati in modalità singola, senza stacchi sugli altri ospiti presenti o sulle calzature indossate, affinché l’attenzione possa giustamente focalizzarsi sui concetti da loro espressi.

Poche regole, di buon senso oltre che di buona educazione, che se osservate consentiranno ai portavoce del M5S di presenziare a trasmissioni televisive con la giusta considerazione e il dovuto rispetto nei confronti dei telespettatori.

Il Blog di Beppe Grillo

Scoperto a 100 metri di profondità, il corallo rosso è tornato in Calabria. - Antonio Cianciullo

 

Dal robot sottomarino della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli "un segnale di speranza, di resilienza del mare.”


Dai sumeri ai fenici il corallo rosso ha segnato la storia del Mediterraneo. E ora, a un secolo dalla grande razzia che lo ha fatto scomparire da buona parte dei nostri mari, è riapparso in Calabria, nell’alto Ionio. Un Rov, un robot teleguidato dotato di telecamere ad alta definizione, si è tuffato raggiungendo i 100 metri di profondità e lì, sulla secca di Amendolara, ha trovato la sorpresa.

“E’ stata una scoperta emozionante”, racconta Silvestro Greco, direttore della nuova sezione calabrese della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli. “Non ce l’aspettavamo. Avevamo organizzato una campagna oceanografica mirata alla mappatura di quei fondali utilizzando un sofisticato ecoscandaglio che permette una valutazione visiva mediante immagini raccolte con un Rov, un Remotely Operated Veichle. All’improvviso, a un centinaio di metri di profondità, è apparso uno stupendo banco di corallo rosso. Un fatto di rilevante importanza scientifica perché nell’alto Ionio calabrese non era mai stata segnalata la sua presenza”.

Probabilmente è una new entry in quei mari. Forse agevolata dai mutamenti creati dal cambiamento climatico. Di certo un allargamento delle zone in cui il corallo rosso sopravvive in Italia, finora limitate alla Sardegna e, in misura minore, ad alcuni tratti di costa ligure e siciliana. 

È stato il ventesimo secolo a creare una situazione di penuria. Il corallo è stato utilizzato probabilmente già nella preistoria. Le prime testimonianze storiche sono emerse dagli ornamenti nella tomba di una dea sumerica, dai reperti archeologici trovati in Sicilia, Sardegna, Siria. E sappiamo che i Romani lo usavano come sostanza medicinale per lenire vari dolori, mentre i celti lo utilizzavano per ornare le briglie dei loro cavalli.

Dalla seconda metà del Settecento all’Ottocento la pesca del corallo ha avuto il suo maggiore sviluppo. I pescatori scendevano in apnea fino a una ventina di metri e sul fondo, ad attenderli, c’erano rami di corallo rosso lunghi fino a mezzo metro. Ci si immergeva nei mari di Algeria e Tunisia, nelle acque della Sicilia e della Calabria; nel golfo di Napoli che con Torre del Greco è diventato il più importante centro di lavorazione mondiale; in Sardegna e in Corsica; sulla costa catalana e in Provenza; intorno alle Baleari e lungo le coste della Toscana.

Spettacolare per i colori e duttile per la lavorazione, il corallo ha però un punto critico: la lentezza della crescita. Un elemento incompatibile con oltre un secolo di saccheggio sfrenato dei banchi. Così la specie Corallium rubrum è diventata prima rara e poi inserita nell’allegato V della Direttiva Habitat, nell’allegato III della Convenzione di Berna, nell’allegato III del Protocollo SPA/BIO della Convenzione di Barcellona. L’estinzione è dietro l’angolo.

“La nostra scoperta è un segnale di speranza, di resilienza del sistema marino”, continua Greco. “Ma ora si tratta di difendere il corallo rosso dall’inquinamento che lo minaccia. Ad esempio in Calabria il sistema fluviale ha un andamento fortemente torrentizio: le fiumare vanno tenute pulite dalla plastica che le invade. Così come, a livello nazionale ed europeo, bisogna frenare le microplastiche. Il fatto che il mare abbia ancora capacità di conservare i suoi tesori è un buon incoraggiamento.”

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