L’audizione - Il ministro difende il regalo, con dote pubblica, a Padoan e soci: “Banca in difficoltà, da sola non ce la farebbe. Ma tuteleremo Siena e Toscana”.
Lo stanco rito si compie quando ormai è ora di cena: Daniele Franco si presenta alle commissioni Finanze di Camera e Senato, come peraltro prescrive la legge, per informarle che per il Monte dei Paschi si sta seguendo la via maestra del mercato – indicata anche dalla Bce, giuste le linee guida di un Dpcm del governo Conte-2 e della Commissione Ue –, che l’unica offerta in campo è quella di UniCredit e che il governo vigilerà sulle ricadute sociali ed economiche dell’eventuale vendita, e lotterà come un leone per difendere l’interesse pubblico. Seguono raccomandazioni, critiche, un po’ di “se”, qualche “ma”, alcuni “Padoan” assortiti delle forze politiche: infine la promessa di non far mancare informazioni al Parlamento da parte del ministro dell’Economia. Pace e bene, ci si rivede dopo le ferie.
Il senso è questo: a tempo debito, e comunque entro l’anno, come da accordo con Bruxelles, la banca presieduta da Pier Carlo Padoan – cioè il ministro che nazionalizzò Mps e poi si fece eleggere deputato proprio a Siena – si prenderà le parti buone del Monte dal Tesoro con cospicua dote pubblica, la cui entità è ancora da definire. Nessuno ha la forza di opporsi e soprattutto nessuno può garantire che l’istituto senese potrebbe restare in piedi da solo senza diventare un inceneritore di risorse pubbliche. In ogni caso, “non si tratterà di una svendita di proprietà statali”.
Il ministro Franco, con tono monocorde e retorica in grisaglia, non lascia spazi a rinvii e ripensamenti. La tesi è questa: il Monte dei Paschi è messo male, le sue performance sono assai sotto la media, gli obiettivi del piano industriale definito con l’ingresso dello Stato “sono stati conseguiti solo parzialmente”, soprattutto quanto a “redditività ed equilibrio tra costi e ricavi”. E dunque i fan dell’opzione “stand alone”, cioè di Mps che va avanti da sola, devono sapere che già così gli esuberi previsti sono 2.500 e la Commissione chiederà di aumentarli perché Mps ha ancora troppi costi; l’aumento di capitale da 2,5 miliardi ipotizzato finora, poi, è oggi largamente insufficiente (e non a caso la Bce non si è ancora espressa). Insomma, secondo Franco e Mario Draghi, dire no a UniCredit costerebbe assai di più dell’operazione che si va definendo. Quanto alla scelta di vendere, dice Franco, è prevista da “un Dpcm del 16 ottobre 2020” (epoca Conte), che affida al Tesoro il compito “di dare avvio alla procedura” e indica tra le strade “una operazione straordinaria di integrazione”. È dall’autunno scorso, dice il ministro, che il Mef e la banca cercano un partner, tanto è vero che “la data room è aperta da gennaio”. Perché UniCredit? Perché l’unico altro interlocutore, il Fondo Apollo, dopo un sondaggio a febbraio è sparito: è l’unica offerta in campo e “non ci sono le condizioni per mettere in discussione la cessione della banca”.
I termini dell’eventuale accordo con la banca guidata da Orcel e Padoan sono quelli noti: niente danni al capitale di UniCredit, esclusione del vecchio contenzioso e dei crediti deteriorati, accordo sul personale, via libera dell’Ue (che dovrà garantire che il tutto avvenga a “condizioni di mercato”). L’apporto dello Stato? Ancora non si sa, ma se UniCredit non deve metterci capitale sarà di sicuro cospicuo e alla fine il Mef potrebbe ritrovarsi azionista di UniCredit.
Ora le rassicurazioni. Franco non vede “rischi di smembramento della banca” e quanto agli esuberi (5-6mila su 21mila secondo indiscrezioni) attenuarli, così come tutelare il marchio della più antica banca del mondo, è “una priorità del governo”: “Garantiremo la massima attenzione alla tutela dei lavoratori nell’ambito degli spazi negoziali e una pluralità di strumenti e iniziative” per chi resterà fuori. Infine il comma Letta, cioè la frase che ammicca all’uscita di ieri del segretario Pd e candidato a Siena alle Suppletive: “La valorizzazione e il rilancio di Siena e della provincia è una priorità indiscussa e incomprimibile per il governo”.
Insomma, a poco servirà – per fermare il treno della vendita all’acquirente unico (difficile strappare qualcosa in una trattativa se non ci sono alternative) – l’utile che oggi la banca senese riporterà nella sua semestrale: Mps doveva morire, Mps morirà annegata nel secondo polo bancario italiano. Chi ha avuto ha avuto…
ILFQ