Mala tempora currunt. Verso una nuova diaspora? A destra non si è al “si salvi chi può”, non ancora almeno, ma, da tempo, è tutto un contarsi, un valutare chi sta con chi, un rimescolamento di correnti, fondazioni, uno schierarsi di cordate che fanno capo a questo o a quel maggiorente del PDL.
Si fa fatica a leggere, interpretare e persino seguire tutti gli spostamenti di truppe parlamentari. Ovunque regna la confusione: saltano antichi sodalizi, consorterie che parevano consolidate e se ne creano di nuove. Qualcuno, inevitabilmente, guarda anche fuori dal perimetro del centrodestra, all’UDC o al FLI, ma magari anche a Montezemolo. Altri paventano il rischio balcanizzazione del partito. In attesa del "liberi tutti" dell’eventuale caduta anticipata del Governo. Caduta che, peraltro, stando ai più recenti sondaggi, è auspicata, ormai, dalla stragrande maggioranza degli italiani. Gli stessi sondaggi attribuiscono al “partito degli onesti” di Alfano e alla Lega meno dei voti raccolti dal solo PDL nel 2008 al centrosinistra un vantaggio tra i 10 e i 13 punti. Il Movimento 5 Stelle di Grillo è poi stimato attorno al 4% e, verosimilmente, toglierà ai Verdi il voto di protesta che non andrà ad ingrossare le fila crescenti dell’astensionismo mentre l’ormai certa discesa di Montezemolo drenerà molte consensi tra le partite Iva.
Molti sono gli asti e i risentimenti, specie tra i fedelissimi, i forzitalioti della prima ora, che vedono gli ultimi arrivati, quell’accozzaglia di partitini a carattere familiare, trattare il loro sostegno all’esecutivo in cambio poltrone d’oro. Ma chi passa dal governo, quale che sia, all’opposizione fa comunque una figura decisamente migliore di chi fa il percorso inverso. E per perdere una reputazione, si sa, bisogna averla. Il tempismo però appare almeno dubbio: la salute della maggioranza non è infatti delle migliori e il Governo appare in affanno, a fine corsa. Chi staccherà la spina, ci si chiede, se, come pare, i leghisti, in puro stile democristiano, si accorderanno, al solito, a tavola? Da più parti si guarda a Pisanu, tra i pochi nel PDL ad avere quel tanto di autonomia sufficiente ad esser messo ai margini nel sistema di potere di B. Non si sa se il vecchio democristiano abbia i numeri per far cadere il Governo, ma è certo che una pattuglia di parlamentari della maggioranza guarda a lui per aprire la nuova fase di transizione. Un altro della vecchia guardia, Martino, berlusconiano della prima ora e liberale (una contraddizione in termini), è dato in rotta col partito. Altri parlamentari del Sud potrebbero ricollocarsi nei partiti autonomisti del Mezzogiorno, l’MPA diLombardo, a rischio rinvio a giudizio per reati associativi legati alla Mafia, o Forza del Sud, di quelMicciché già coinvolto in una brutta storia di cocaina. Entrambi hanno scoperto un po’ troppo tardi quanto il Governo penalizzi quotidianamente il Meridione per essere realmente credibili.
Tremonti, forte del sostegno leghista, trama per la successione da un pezzo, ma più Berlusconi e Bossi si parlano direttamente, più i suoi margini di manovra si restringono e le sue possibilità diminuiscono. Come se non bastasse, l’attivismo di Montezemolo aumenta la paranoia di B., almeno quanto il Ministro del Tesoro che, amato tra i leghisti, più che nel PDL per la sua politica violentemente antimeridionale, ha unappeal nazionale piuttosto debole. E si rassegni il borioso fiscalista di Sondrio: sarà ricordato dai posteri esclusivamente per gli innumerevoli condoni, vera marca caratterizzante la sua azione in economia. Scajola poi, abbaia ma non può mordere, compromesso com’è per via di quella vera e propria carognata di cui è stato vittima. Mi riferisco chiaramente alla casa compratagli a sua insaputa. Ma all’immagine del reuccio di Imperia ha nuociuto persino di più il frullatore di cui gli si è fatto omaggio. A volte uno si immagina chissà che cosa succeda nelle alte sfere e la pochezza che emerge dalla cronaca giudiziaria può essere una vera delusione. Chi, per puntellare una maggioranza che traballa vistosamente, aveva puntato sul mancato raggiungimento del numero delle firme richiesto per il referendum abrogativo del Porcellum, è rimasto deluso. Anzi, sorpreso dalla mobilitazione che ha portato a più del doppio del numero di firme necessarie.
Ma l’asse B&B, nonostante le molte fibrillazioni, sembra tutto sommato ancora tenere. Quanto all’annunciata democratizzazione del PDL, con la nomina di Alfano, decisa con un motu proprio da B. e che il partito ha semplicemente ratificato, se queste sono le premesse, siamo alla farsa. Le primarie, i congressi, sembrano più funzionali a contare il peso delle correnti che a eleggere un leader. B. non vuole nessuno che possa metterlo in ombra, Formigoni se ne faccia una ragione. Da qui, credo, potrebbero venire sorprese per la maggioranza, dal presidente della Lombardia che, forte dell’appoggio di CL, da tempo non fa mistero delle sue ambizioni romane. La poltrona che occupa, per quanto valga anche più di un ministero di primo piano, è chiaro, ormai non gli basta più. E solo il veto di B. ne ha impedito la nomina a ministro. Se le sue ambizioni continueranno ad essere frustrate, lo strappo non è da escludersi.
L'edificio del potere berlusconiano sembra poter crollare da un momento all'altro e ognuno cerca riparo come e dove può. Si ricordano i precedenti e non sono solo i transfughi, i pasdaran oggi in maggioranza, ad aver conosciuto la diaspora democristiana o socialista post Mani Pulite. Si pensi all’ex craxianoCicchitto. E’ naturale che siano terrorizzati dal post B. L’uomo da cui, fino a ieri aspettano una rielezione, vista l’aria che tira, appare sempre meno in grado di garantirla. Il capo poi, avendo, di suo, ben altro di cui preoccuparsi, non riesce a guardare oltre il piccolo cabotaggio quotidiano, la navigazione a vista. L’annunciata frustrata all’economia, il piano Sud o la riforma fiscale, per chi deve contrattare giorno per giorno il sostegno di questa specie di maggioranza, non sono che chiacchiere inutili; anzi utili ai famigli, alla stampa di regime, per distogliere l’attenzione su questo osceno mercato, sul borsino del parlamentare. Per non parlare dello stato penoso dell’economia.
Gli scomposti tentativi con cui questi atei devoti cercano di rispondere ai desiderata delle gerarchie ecclesiastiche, stante la freddezza di un Vaticano che non poteva più far finta di niente, non sono che l'ennesimo segnale di debolezza. Come mostrano le intercettazioni pubblicate sulla stampa, il clima è da Basso Impero, con favorite o lenoni che, in cambio di favori sessuali, ambiscono a posti in Parlamento o comparsate in televisione. Indifferentemente. O come nel caso Tarantini, appalti nel sottobosco della politica. Protezione civile, Finmeccanica e chi più ne ha più ne metta. Ma, al di là della giusta indignazione del contribuente costretto a pagare i vizi del Capo, quello che fa davvero tristezza non è nemmeno tanto l’uomo che non riesce ad avere una donna senza pagarla in qualche modo quanto l’immagine di un anziano, solo, che mostra a questo harem di giovani questuanti nientemeno che le immagini dei vertici internazionali. Alle quelle stesse donne che poi, in privato, se non ottengono quanto si aspettano, lo chiamano vecchio culo flaccido o peggio. In un paese normale, il Primo ministro si sarebbe dimesso da tempo. Ma, si sa, l’Italia non è un paese normale e B. deve la sua impunità all’immunità garantitagli dal suo status. Il grande incantatore tiene l’Italia in ostaggio da ormai quasi un ventennio e, avendo da tempo deciso di difendersi dalle accuse non in tribunale, ma in Parlamento, impone al nostro sciagurato paese la sua agenda, le sue priorità.
Ma, ci si chiede, chi raccoglierà l’eredità del nostro seducente e sedicente playboy? Chi sarà la zattera, la scialuppa di salvataggio che salverà i profughi del berlusconismo, i boat people alla deriva? Difficile pensare alla sopravvivenza del PDL tale quale oltre il suo fondatore. B. ha fatto il vuoto attorno a sé, uno statista prepara uomini validi che possano succedergli. Vanaglorioso all’ennesima potenza, B. si circonda di una claque plaudente di yesmen, meglio se non dotati di opinioni proprie, che alimenti ulteriormente l’ipertrofia del suo già smisurato ego. L’unanimità, quell’essere d’accordo con lui a prescindere, ancor prima di conoscerne l’opinione, da tempo, anche nell’esercito dei cloni, è un lontano ricordo. Inimmaginabile solo ieri per un partito verticistico, padronale e il più antidemocratico che si possa immaginare, con il Sultano che graziosamente concede potere, cariche e onori in base ai suoi umori. Quando va bene. Quando, in altri termini, non sono altri gli umori, corporali questa volta, alle base delle nomine.
Se il Governo dovesse sopravvivere alla buriana e le primarie davvero tenersi, già questa sarebbe una novità assoluta: la dimostrazione delle crescenti difficoltà di B. di tenere unita la sua creatura politica con la sua sola volontà. E nonostante le prebende che distribuisce a piene mani; una rivoluzione di per se stessa, che segnerebbe, anche plasticamente, la fine di un’epoca. Mentre l’Italia si appresta a voltare, finalmente, la più nera della nostra storia repubblicana, sarebbe meglio se i gattopardi e i collaborazionisti avessero almeno il buon gusto di stare fermi come minimo un giro, prima di rimettersi al giudizio degli elettori. Che ne valuteranno l’operato. Magari, questa volta, senza listini bloccati e con le preferenze.
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