A vederlo controluce sembra un percorso pieno di saliscendi (anzi, più di salite che di discese). Però il governo sembra davvero intenzionato a prendere e scontornare con decisione le modifiche del Titolo V della Costituzione votate nel 2000 dalla maggioranza di centrosinistra in Parlamento e poi confermate da un referendum popolare l’anno successivo. Quella che dieci anni fa, più per moda che per altro, si chiamava devolution finisce sotto il bisturi dell’esecutivo tecnico. Gli scandali e gli sperperi hanno dato l’iniezione di coraggio sufficiente a mettere le mani dei ministri non solo nei portafogli (per alleggerirli), ma anche nella cassetta degli arnesi delle Regioni. Dunque davvero saranno riviste le competenze, le Regioni non dovranno più essere degli “Stati autonomi“, ma dovranno restare legate alle redini dello Stato centrale. Palazzo Chigi, quando il governo alcune sere fa ha presentato il decreto “anti Casta” con il quale faceva a fette milioni di euro e decine di poltrone in tutta Italia, in una nota aveva già posizionato i mortai: “Seguiranno presto altri provvedimenti che comporteranno una proposta di revisione della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni al fine di assicurare un assetto razionale ed efficiente, con l’eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni burocratiche e chiameranno regioni ed enti locali a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del pareggio di bilancio”. Parole che non lasciavano molto margine d’azione.
Oggi la conferma. Il presidente Mario Monti ha confermato, durante l’incontro con Regioni ed enti locali a Palazzo Chigi, che il Consiglio dei ministri si occuperà anche della riforma del titolo V per riportare alcune competenze delle Regioni a livello centrale. Tra le materie “interessanti” per la riforma porti, aeroporti ed energia. Scuola e sanità rimangono materie concorrenti. Sui bilanci delle regioni c’è anche il controllo della Corte dei Conti.
Repubblica stamani aveva scritto che la “rivoluzione” potrebbe cominciare già oggi, quando il disegno di legge di modifica costituzionale sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri. Più salite che discese, si diceva: come si sa, alle leggi costituzionali servono un doppio passaggio in Parlamento e pure la maggioranza qualificata (cioè due terzi dei voti). “Dato il breve spazio di legislatura ancora a disposizione – si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge, citata da Repubblica – l’obiettivo è quello di apportare modifiche quantitativamente limitate, ma significative dal punto di vista della regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Regioni”.
La chiave sta nella cosiddetta “clausola di supremazia“, spiega il quotidiano di Ezio Mauro. Sulle materie concorrenti è la legge dello Stato a prevalere. Tutto gira intorno al principio “dell’unità giuridica ed economica della Repubblica come valore fondamentale dell’ordinamento”. Invece dal 2001 del decentramento “ulivista” sono aumentati i conflitti davanti alla Corte Costituzionale.
Non solo: alcune competenze torneranno ad essere solo nazionali. Grandi reti di trasporto e di navigazione, l’istruzione, il commercio con l’estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia. E così niente più scuole regionali, niente più barricate contro i rigassificatori. Basta con la visione del turismo porticciolo per porticciolo.
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