Gli Stati Uniti hanno un insolito problema occupazionale. Con il tasso dei senza lavoro ai minimi storici del 3,9%, alla ribalta sale oggi l’esercito di sotto-occupati e degli occupati marginali. Vale a dire, accanto ai 6,6 milioni di ufficialmente ancora senza busta paga, gli oltre dieci milioni di americani che sfuggono a restrittive statistiche ufficiali.
Perché restano fuori dalla forza lavoro, incapaci di dimostrare d’aver cercato attivamente un impiego. Oppure perché fanno parte dei cosiddetti forzati del part-time, impiegati poche ore al giorno nonostante aspirino a mestieri a tempo pieno.
Perché restano fuori dalla forza lavoro, incapaci di dimostrare d’aver cercato attivamente un impiego. Oppure perché fanno parte dei cosiddetti forzati del part-time, impiegati poche ore al giorno nonostante aspirino a mestieri a tempo pieno.
Il «lavoro federale» di Sanders.
È da questa realtà meno rosea dietro agli exploit del mercato del lavoro che trova slancio una nuova proposta di legge formulata dai leader della sinistra del Partito Democratico, anzitutto l’ex e forse futuro candidato alle primarie presidenziali Bernie Sanders. Una proposta che prescrive non il reddito di cittadinanza, piuttosto un lavoro federale a tutti coloro che lo desiderano e ne abbiano bisogno, retribuito 15 dollari l’ora più benefit (calcolati in altri tre dollari). Qualche centro di ricerca ne ha già stimato il costo totale: 450 miliardi di dollari l’anno, meno del budget del Pentagono e l’equivalete del 2,3% del Pil.
L’idea, ancora nel recente passato considerata improponibile, trova eco tanto da suscitare dibattito e l’interesse della bibbia del business americano, il Wall Street Journal. Gli stessi detrattori non la denunciano tanto come contraria ai valori dell’individualismo e al governo ridotto all’osso. Non inveiscono contro il costo per le casse pubbliche, in realtà inferiore ai 450 miliardi, forse la metà visto che, come sottolineano i fautori del programma, non tutti gli aventi diritto se ne avvarrebbero e che ridurrebbe automaticamente altri servizi di assistenza.
È da questa realtà meno rosea dietro agli exploit del mercato del lavoro che trova slancio una nuova proposta di legge formulata dai leader della sinistra del Partito Democratico, anzitutto l’ex e forse futuro candidato alle primarie presidenziali Bernie Sanders. Una proposta che prescrive non il reddito di cittadinanza, piuttosto un lavoro federale a tutti coloro che lo desiderano e ne abbiano bisogno, retribuito 15 dollari l’ora più benefit (calcolati in altri tre dollari). Qualche centro di ricerca ne ha già stimato il costo totale: 450 miliardi di dollari l’anno, meno del budget del Pentagono e l’equivalete del 2,3% del Pil.
L’idea, ancora nel recente passato considerata improponibile, trova eco tanto da suscitare dibattito e l’interesse della bibbia del business americano, il Wall Street Journal. Gli stessi detrattori non la denunciano tanto come contraria ai valori dell’individualismo e al governo ridotto all’osso. Non inveiscono contro il costo per le casse pubbliche, in realtà inferiore ai 450 miliardi, forse la metà visto che, come sottolineano i fautori del programma, non tutti gli aventi diritto se ne avvarrebbero e che ridurrebbe automaticamente altri servizi di assistenza.
Un programma «deprimente».
I critici semmai mettono l’accento sull’effetto deprimente che potrebbe avere altrove sulla creazione di occupazione, cioè sulla marcia di investimenti privati e economia di mercato. Con il 39% dei lavoratori, 54 milioni, che guadagna proprio 15 o meno dollari l’ora, l’attrazione dei nuovi impieghi federali potrebbe farsi sentire e, se in alcuni casi spingesse semplicemente al rialzo i salari di tutti, altrove potrebbe cancellare parte degli impieghi meno pagati. Un esempio citato deriva da uno studio di Harvard del 2011: quando un parlamentare diventa presidente di una Commissione importante, nello Stato che l’ha eletto arrivano maggiori fondi federali e però quel medesimo Stato soffre poi di contrazioni negli investimenti e impieghi privati.
I critici semmai mettono l’accento sull’effetto deprimente che potrebbe avere altrove sulla creazione di occupazione, cioè sulla marcia di investimenti privati e economia di mercato. Con il 39% dei lavoratori, 54 milioni, che guadagna proprio 15 o meno dollari l’ora, l’attrazione dei nuovi impieghi federali potrebbe farsi sentire e, se in alcuni casi spingesse semplicemente al rialzo i salari di tutti, altrove potrebbe cancellare parte degli impieghi meno pagati. Un esempio citato deriva da uno studio di Harvard del 2011: quando un parlamentare diventa presidente di una Commissione importante, nello Stato che l’ha eletto arrivano maggiori fondi federali e però quel medesimo Stato soffre poi di contrazioni negli investimenti e impieghi privati.
Quando lo disse Roosevelt.
L’idea d’un programma federale per prosciugare non tanto lo stagno della politica inviso a Donald Trump ma quello della disoccupazione e della sotto-occupazione, ha tuttavia precedenti illustri. Nel 1944 il presidente democratico icona nazionale Franklin Delano Roosevelt, nel Discorso sullo Stato dell’Unione, propose esattamente una legge per offrire garanzie di lavoro e reddito. Un «Second Bill of Rights», una Seconda Carta dei Diritti in aggiunta ai principi iscritti nella Costituzione. Che recitava, tra gli altri, i seguenti «diritti»: lavoro, salario adeguato e decenti condizioni di vita.
L’idea d’un programma federale per prosciugare non tanto lo stagno della politica inviso a Donald Trump ma quello della disoccupazione e della sotto-occupazione, ha tuttavia precedenti illustri. Nel 1944 il presidente democratico icona nazionale Franklin Delano Roosevelt, nel Discorso sullo Stato dell’Unione, propose esattamente una legge per offrire garanzie di lavoro e reddito. Un «Second Bill of Rights», una Seconda Carta dei Diritti in aggiunta ai principi iscritti nella Costituzione. Che recitava, tra gli altri, i seguenti «diritti»: lavoro, salario adeguato e decenti condizioni di vita.
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