Se non fossero indecenti e vagamente sediziose, le gazzarre inscenate dalle Camere penali in varie inaugurazioni dell’anno giudiziario sarebbero irresistibilmente comiche. A Milano gli avvocati escono dall’aula, dove peraltro le Camere penose sono solo ospiti, per protestare contro Piercamillo Davigo perché non la pensa come loro; per contestare quello che non ha ancora detto e poi quello che sta dicendo citando il presidente Mattarella; e per deplorare che il Csm, dovendo inviare alla cerimonia un membro del Csm, abbia inviato alla cerimonia un membro del Csm, per giunta ex pm ed ex giudice a Milano. E sventolano articoli della Costituzione scelti a casaccio, visto che difendono la prescrizione come fosse un diritto costituzionale e non una vergogna incostituzionale. Completa il quadretto il Pg Roberto Alfonso, che evoca la presunta incostituzionalità della blocca-prescrizione facendo rimpiangere Borrelli e tutti gli altri predecessori e dimenticando che il suo sindacato, l’Associazione nazionale magistrati, il blocco della prescrizione l’ha chiesto per vent’anni, almeno finché non l’ha ottenuto. E nessun Alfonso ha mai accusato l’Anm di volere leggi incostituzionali.
Ma eccoci a Napoli, la città record in Europa per numero di reati, processi lunghi e prescritti. Per onorare la memoria di Pulcinella e di Totò, gli avvocati hanno sfilato in manette. Ma non – come qualcuno potrebbe sospettare – per un eccesso di identificazione con i loro clienti, bensì per protestare contro la blocca- prescrizione (che ovviamente con gli arresti non c’entra una mazza) e l’“abuso delle intercettazioni”. Cioè contro due tipici attrezzi del mestiere del magistrato, pagato dallo Stato proprio per scoprire i delinquenti e possibilmente acchiapparli e metterli in condizione di non nuocere per un po’. Una scena spassosissima, che fa ben sperare per il futuro: prossimamente, orde di avvocati irromperanno nelle carceri per deplorare l’uso delle sbarre, nei pronto soccorso agitando stetoscopi contro l’abuso delle visite, nelle sale operatorie sventolando bisturi per protesta contro gli interventi chirurgici, nelle questure forando le gomme alle volanti contro le retate facili, nelle caserme agitando fucili contro le forze armate inspiegabilmente armate, nelle cucine contro le pentole, nei boschi contro le seghe dei taglialegna, nei mari contro le reti da pesca, negli stadi contro i palloni da calcio e le bandierine dei guardalinee. Domanda: cosa induce le Camere penali a coprire di ridicolo un’intera categoria di 180 mila e rotti professionisti (molti dei quali serissimi)?
Non si accorgono di confermare così tutti i più vieti luoghi comuni e le caricature sull’avvocatura, dal manzoniano Azzeccagarbugli in giù? La risposta è presto detta. Quella forense è da sempre la lobby più potente in Parlamento e al governo, abituata a farsi le leggi e i codici a uso e consumo proprio e della clientela più danarosa. Solo agli albori della Repubblica finivano in Parlamento gli avvocati migliori, da Calamandrei a Leone. Poi arrivarono i peggiori, perlopiù difensori di politici indagati e imputati di centrodestra e di centrosinistra. Quelli che, in palese e sfrontato conflitto d’interessi, con la mano sinistra continuavano a esercitare la professione nelle aule di giustizia, mentre con la destra legiferavano nelle aule parlamentari, sfornando leggi incostituzionali per depenalizzare o far prescrivere i reati dei clienti (soprattutto uno). Il tutto nel silenzio complice del cosiddetto Ordine forense che avrebbe dovuto sanzionare quegli abomini. Ora, da un paio d’anni, la nota lobby ha perso il monopolio delle leggi sulla giustizia e – paradosso dei paradossi – proprio con un premier e un Guardasigilli avvocati (Conte e Bonafede): a riprova del fatto che esistono avvocati dediti non all’interesse della bottega, ma a quello collettività, vittime e cittadini onesti in primis. Infatti, dopo centinaia di norme che allungavano i processi, accorciavano la prescrizione, svuotavano le carceri, depenalizzavano i reati dei colletti bianchi e seminavano impunità a piene mani, la tendenza si è invertita (come ha notato il Pg di Palermo Roberto Scarpinato, a pag. 4). Perciò gli avvocati e i relativi clienti che campavano sui processi eterni, a botte di leggi ad categoriam e manovre dilatorie, oggi si trovano spiazzati e strillano come vergini violate. Senz’accorgersi che i loro alti lai contro i tempi della giustizia fanno sorridere chiunque abbia assistito a un processo eccellente, in tribunale o a Un giorno in pretura. Come se Rocco Siffredi e Max Felicitas deplorassero ogni giorno la piaga dilagante della pornografia. Noi naturalmente conosciamo avvocati che mai si sognerebbero di chiedere bavagli illiberali e punizioni esemplari contro Davigo, né amano vincere i processi depenalizzando i reati o mandandoli in prescrizione, né si presterebbero a sceneggiate come quelle di ieri. E continuiamo a sperare che, in una categoria di 180mila e più persone, esista una minoranza silenziosa che non vuol essere confusa con la maggioranza sediziosa: il Fatto è a loro disposizione, se vogliono dire qualcosa a tutela del proprio buon nome e della loro nobile missione.
Ps. Siccome non c’è limite al peggio e i politici non sono mai secondi a nessuno, a Catanzaro ha chiesto di parlare all’inaugurazione dell’anno giudiziario la deputata Pd Enza Bruno Bossio, celebre perché ha più processi e indagini a carico che capelli in testa (senza contare quelli del marito Nicola Adamo) e per gli attacchi al procuratore Nicola Gratteri. Ma è stata respinta con perdite. Peccato, l’idea non era male: dal 2021 l’anno giudiziario potrebbero inaugurarlo direttamente gli imputati.
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