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lunedì 3 febbraio 2020

Le Camere penose. - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano



Se non fossero indecenti e vagamente sediziose, le gazzarre inscenate dalle Camere penali in varie inaugurazioni dell’anno giudiziario sarebbero irresistibilmente comiche. A Milano gli avvocati escono dall’aula, dove peraltro le Camere penose sono solo ospiti, per protestare contro Piercamillo Davigo perché non la pensa come loro; per contestare quello che non ha ancora detto e poi quello che sta dicendo citando il presidente Mattarella; e per deplorare che il Csm, dovendo inviare alla cerimonia un membro del Csm, abbia inviato alla cerimonia un membro del Csm, per giunta ex pm ed ex giudice a Milano. E sventolano articoli della Costituzione scelti a casaccio, visto che difendono la prescrizione come fosse un diritto costituzionale e non una vergogna incostituzionale. Completa il quadretto il Pg Roberto Alfonso, che evoca la presunta incostituzionalità della blocca-prescrizione facendo rimpiangere Borrelli e tutti gli altri predecessori e dimenticando che il suo sindacato, l’Associazione nazionale magistrati, il blocco della prescrizione l’ha chiesto per vent’anni, almeno finché non l’ha ottenuto. E nessun Alfonso ha mai accusato l’Anm di volere leggi incostituzionali.
Ma eccoci a Napoli, la città record in Europa per numero di reati, processi lunghi e prescritti. Per onorare la memoria di Pulcinella e di Totò, gli avvocati hanno sfilato in manette. Ma non – come qualcuno potrebbe sospettare – per un eccesso di identificazione con i loro clienti, bensì per protestare contro la blocca- prescrizione (che ovviamente con gli arresti non c’entra una mazza) e l’“abuso delle intercettazioni”. Cioè contro due tipici attrezzi del mestiere del magistrato, pagato dallo Stato proprio per scoprire i delinquenti e possibilmente acchiapparli e metterli in condizione di non nuocere per un po’. Una scena spassosissima, che fa ben sperare per il futuro: prossimamente, orde di avvocati irromperanno nelle carceri per deplorare l’uso delle sbarre, nei pronto soccorso agitando stetoscopi contro l’abuso delle visite, nelle sale operatorie sventolando bisturi per protesta contro gli interventi chirurgici, nelle questure forando le gomme alle volanti contro le retate facili, nelle caserme agitando fucili contro le forze armate inspiegabilmente armate, nelle cucine contro le pentole, nei boschi contro le seghe dei taglialegna, nei mari contro le reti da pesca, negli stadi contro i palloni da calcio e le bandierine dei guardalinee. Domanda: cosa induce le Camere penali a coprire di ridicolo un’intera categoria di 180 mila e rotti professionisti (molti dei quali serissimi)?
Non si accorgono di confermare così tutti i più vieti luoghi comuni e le caricature sull’avvocatura, dal manzoniano Azzeccagarbugli in giù? La risposta è presto detta. Quella forense è da sempre la lobby più potente in Parlamento e al governo, abituata a farsi le leggi e i codici a uso e consumo proprio e della clientela più danarosa. Solo agli albori della Repubblica finivano in Parlamento gli avvocati migliori, da Calamandrei a Leone. Poi arrivarono i peggiori, perlopiù difensori di politici indagati e imputati di centrodestra e di centrosinistra. Quelli che, in palese e sfrontato conflitto d’interessi, con la mano sinistra continuavano a esercitare la professione nelle aule di giustizia, mentre con la destra legiferavano nelle aule parlamentari, sfornando leggi incostituzionali per depenalizzare o far prescrivere i reati dei clienti (soprattutto uno). Il tutto nel silenzio complice del cosiddetto Ordine forense che avrebbe dovuto sanzionare quegli abomini. Ora, da un paio d’anni, la nota lobby ha perso il monopolio delle leggi sulla giustizia e – paradosso dei paradossi – proprio con un premier e un Guardasigilli avvocati (Conte e Bonafede): a riprova del fatto che esistono avvocati dediti non all’interesse della bottega, ma a quello collettività, vittime e cittadini onesti in primis. Infatti, dopo centinaia di norme che allungavano i processi, accorciavano la prescrizione, svuotavano le carceri, depenalizzavano i reati dei colletti bianchi e seminavano impunità a piene mani, la tendenza si è invertita (come ha notato il Pg di Palermo Roberto Scarpinato, a pag. 4). Perciò gli avvocati e i relativi clienti che campavano sui processi eterni, a botte di leggi ad categoriam e manovre dilatorie, oggi si trovano spiazzati e strillano come vergini violate. Senz’accorgersi che i loro alti lai contro i tempi della giustizia fanno sorridere chiunque abbia assistito a un processo eccellente, in tribunale o a Un giorno in pretura. Come se Rocco Siffredi e Max Felicitas deplorassero ogni giorno la piaga dilagante della pornografia. Noi naturalmente conosciamo avvocati che mai si sognerebbero di chiedere bavagli illiberali e punizioni esemplari contro Davigo, né amano vincere i processi depenalizzando i reati o mandandoli in prescrizione, né si presterebbero a sceneggiate come quelle di ieri. E continuiamo a sperare che, in una categoria di 180mila e più persone, esista una minoranza silenziosa che non vuol essere confusa con la maggioranza sediziosa: il Fatto è a loro disposizione, se vogliono dire qualcosa a tutela del proprio buon nome e della loro nobile missione.
Ps. Siccome non c’è limite al peggio e i politici non sono mai secondi a nessuno, a Catanzaro ha chiesto di parlare all’inaugurazione dell’anno giudiziario la deputata Pd Enza Bruno Bossio, celebre perché ha più processi e indagini a carico che capelli in testa (senza contare quelli del marito Nicola Adamo) e per gli attacchi al procuratore Nicola Gratteri. Ma è stata respinta con perdite. Peccato, l’idea non era male: dal 2021 l’anno giudiziario potrebbero inaugurarlo direttamente gli imputati.

sabato 1 febbraio 2020



La protesta durante il discorso del magistrato al Palazzo di giustizia. Il presidente dell'Anm critica i "veti ad personam" dei penalisti. Ardita: "Inqualificabile atto di ostracismo, non abbiamo bisogno di censure". Nel suo intervento l'ex pm di Mani Pulite non ha parlato della prescrizione, casus belli dello scontro, ma ha affrontato il caso Palamara: "Fugare qualsiasi idea di giustizia domestica e indulgente". Sull'inchiesta di Perugia è intervenuto anche Di Matteo a Palermo: "Csm trasformato in centro di potere, serve una svolta etica."

Dopo aver chiesto di censurare Piercamillo Davigo, gli avvocati della Camera penale di Milano hanno deciso di contestarlo e non ascoltarlo: in protesta contro il consigliere del Csm ed ex pm di Mani Pulite, hanno lasciato l’aula del Palazzo di giustizia di Milano, dove si tiene l’inaugurazione dell’anno giudiziario, non appena ha preso la parola. I penalisti si erano rivolti al Csm per chiedere di “bloccare” la presenza di Davigo, rivendicata e sostenuta invece dai magistrati che hanno sottolineato il tentativo di bavaglio messo in atto dagli avvocati: “Volete sanzionare la libera manifestazione del pensiero“. I legali hanno deciso di protestare comunque, sventolando tra le mani cartelli con scritti gli articoli 24,27 e 111 della Costituzione, che a loro dire, sono stati violati dalla riforma della prescrizione che prevede il blocco dopo il primo grado di giudizio. Durante la protesta degli avvocati, dall’Aula Magna è partito l’urlo “Si levi il cappello e si vergogni” rivolto al legale Gianmarco Brenelli che si era alzato in piedi esponendo uno dei cartelli davanti a Davigo. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Poniz, ha definito la protesta “gravemente impropria” perché si tratta di “ostracismi preventivi e veti ad personam“. Da Catania è intervenuto anche il componente del Csm Sebastiano Ardita, parlando di un “irricevibile ed inqualificabile atto di ostracismo“. “La giustizia – ha aggiunto – ha bisogno di confronto, di dibattito” e non “di censure o di messe al bando“.

Dopo essere stato costretto a interrompere il suo intervento per via delle urla, Davigo ha proseguito e concluso il discorso senza fare alcun riferimento allo scontro di questi giorni con gli avvocati sulla prescrizione: l’ex pm di Mani Pulite è finito nel mirino dei penalisti dopo l’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano sul tema della prescrizione e in generale sulla riforma della giustizia. Il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio entrato in vigore il primo gennaio è stato al centro degli interventi di molti presidenti di Corte d’Appello, dalla stessa Milano dove Marina Tavassi che ha sottolineato come la nuova norma avrà “una ricaduta contenuta nella nostra sede giudiziaria”. I presidenti di Corte d’Appello hanno in particolare sottolineato i rischi che potrebbe avere lo stop alla prescrizione senza un’adeguata riforma dei tempi del processo penale. Il vice presidente del Csm, David Ermini, parlando con i giornalisti a margine della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Perugia, ha sintetizzato i timori: “Credo sia stato un po’ un azzardo aver votato una norma senza avere la riforma pronta“. Nel suo discorso da Milano, Poniz ha però puntato il dito contro oggi “dal mondo della politica” pretende di impartire una “lezione di garantismo” dopo aver introdotto “le più irrazionali ed ingiuste riforme sostanziali e processuali”. Il numero uno del sindacato delle toghe ha accusato i “garantisti a la carte” e sottolineato: “Rifiutiamo è la contesa manichea, la prospettazione di scenari apocalittici e ancora peggio l’interessata strumentalizzazione politica di questa o quella posizione”.

Nel suo discorso, Davigo ha invece ricordato un altro tema che ha segnato profondamente la giustizia nell’ultimo anno: “Le tristi vicende che hanno colpito il Consiglio superiore della magistratura” con il caso Palamara. Il magistrato ha citato il discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla vicenda, evidenziando la reazione dello stesso Csm e in particolare “della sezione disciplinare” per “fugare qualsiasi idea di giustizia domestica e indulgente“. Davigo ha quindi sottolineato che sono state cinque le rimozioni e 13 le sospensioni da incarichi e stipendi, tralasciando le sanzioni disciplinari minori. Questo è “un indice di fermezza” perché “l’indipendenza della magistratura implica un comportamento corretto“. Sull’inchiesta di Perugia è intervenuto anche Nino Di Matteo a Palermo: “Il Csm deve finalmente dimostrare con i fatti di voler cambiare pagina, abbandonando per sempre quelle logiche che lo hanno trasformato in un centro di potere“, ha detto Di Matteo. Che ha puntato il dito in particolare contro le “correnti che da ossatura della democrazia sono diventate ambiziose articolazioni di potere“.

“BLOCCO PRESCRIZIONE? A MILANO RICADUTE CONTENUTE” – A Milano è intervenuta anche la presidente della Corte d’Appello di Milano Marina Tavassi che in un passaggio del suo discorso ha invece affrontato il tema dello stop alla prescrizione: “Fra le numerose altre riforme del settore penale, vanno certamente prese in esame le problematiche connesse alla discussa riforma della prescrizione”, ha detto Tavassi, sottolineando però che “i temuti effetti del blocco o della sospensione della prescrizione avranno per la nostra sede giudiziaria una ricaduta contenuta in termini numerici e di possibile dilatazione dei tempi del giudizio”. “I dati statistici dei Tribunali e della Corte – ha proseguito Tavassi – testimoniano che il crescente miglioramento della funzionalità complessiva del sistema determina una costante diminuzione dei casi di prescrizione” che nel distretto giudiziario milanese ammontano al 2,91% del totale, una percentuale “di gran lunga inferiore al dato nazionale che è pari al 24%“. Tavassi ha però aggiunto: “Se la prescrizione rappresenta una patologia del sistema, al tempo stesso l’istituto della cosiddetta sospensione non può essere un rimedio all’irragionevole durata del processo, problema che deve essere risolto per altre vie”.

BONAFEDE: “MAI DETTO CHE PRESCRIZIONE RIDUCE TEMPI” – “Le critiche che oggi mi sono state sollevate in realtà sono argomentazioni che in parte condivido: l’idea che bisogna intervenire sui tempi del processo la condividiamo tutti. Semplicemente ritengo che la riforma del processo penale potrebbe ridurre quei tempi“, ha detto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in un passaggio del suo intervento in occasione dell’anno giudiziario a Milano. “Non ho mai detto che la prescrizione è un modo per ridurre i tempi – ha aggiunto – ho semplicemente un’impostazione differente e ritengo ingiusto che lo stato arrivi a un punto in cui, dopo aver speso soldi ed energie per portare avanti l’accertamento di alcuni fatti, a un certo punto quel lavoro debba essere gettato nel nulla a causa del tempo. La mia impostazione è che bisognerebbe lavorare sul tempo. Qualsiasi intervento sull’efficienza dei processi, qualsiasi riduzione del tempo dei processi porterà a far sì che la prescrizione diventi un problema marginale“, ha concluso Bonafede.

ARDITA A CATANIA: “INQUALIFICABILE OSTRACISMO CONTRO DAVIGO” – “Abbiamo il dovere della chiarezza, della denuncia, della nettezza delle posizioni, senza il timore di apparire irriverenti se diciamo che la Giustizia non funziona, che il re è nudo. Non si tratta affatto di ricercare soluzioni che conculchino diritti o impongano sanzioni ingiuste, ma solo di garantire un risultato minimo: la fisiologica celebrazione dei giudizi”. Lo ha affermato il componente del Csm Sebastiano Ardita, a Catania, sottolineando che “per questo appare irricevibile ed inqualificabile l’atto di ostracismo che giunge dalla Camera Penale di Milano nei confronti di Piercamillo Davigo ed altrettanto incomprensibili le prese di distanze che arrivano anche dall’interno o gli inviti alla moderazione che sanno di vecchio regime consociativo”. “La giustizia – ha aggiunto – soffre per la presenza di corporazioni e di potentati – non solo esterni ma anche interni alla magistratura – abbiamo bisogno di confronto, di dibattito, di fresco profumo di libertà, non di censure o di messe al bando“.

DI MATTEO A PALERMO – A parlare dello scandalo che ha colpito il Csm, come Davigo a Milano, è stato anche il consigliere togato Nino Di Matteo, durante il suo intervento all’inagurazione dell’anno giudiziario nel palazzo di giustizia di Palermo. “Il Csm deve finalmente dimostrare con i fatti di voler cambiare pagina, abbandonando per sempre quelle logiche che lo hanno trasformato in un centro di potere lontano, quando addirittura non ostile ai magistrati più liberi, indipendenti e coraggiosi“, ha detto Di Matteo. Che ha puntato il dito in particolare contro i “magistrati impegnati in una folle corsa verso incarichi direttivi” e contro le “correnti che da ossatura della democrazia sono diventate ambiziose articolazioni di potere“. Quanto venuto alla luce con l’inchiesta di Perugia, secondo l’ex pm, ha generato “un generale discredito nei confronti della magistratura”, ma “è anche l’occasione per ripartire prima che altri cambino le regole comprimendo valori come quello dell’indipendenza”. Ma per voltare pagina, secondo il magistrato, non bastano nuove norme, ma serve “una svolta etica individuale e di corpo“.

ERMINI A PERUGIA – Si è soffermato sulle “vicende dolorosissime per il Consiglio superiore” della magistratura, venute alla luce nel corso di indagini condotte dalla procura di Perugia, il vice presidente del Csm David Ermini intervenuto all’inaugurazione dell’anno giudiziario proprio dal capoluogo umbro. Per Ermini “durissimo è stato il colpo al prestigio, alla credibilità e alla autorevolezza del Consiglio e dell’intero ordine giudiziario”. “Gravissima – ha sottolineato – la lesione della legittimazione dell’uno e dell’altro agli occhi dei cittadini. Nondimeno, oggi, a distanza di alcuni mesi da quelle drammatiche settimane e guardando al lavoro nel frattempo compiuto, sono lieto di potere affermare che l’istituzione, non solo ha trovato la forza per continuare a svolgere le sue funzioni con assoluta regolarità, ma è riuscita a conseguire risultati importanti“. “Sia – ha concluso Ermini – nel dialogo virtuoso con le altre figure istituzionali sia nella cosiddetta ‘amministrazione della giurisdizione'”.

A ROMA PRESCRITTO UN PROCESSO SU DUE – Nel 2019 nel distretto del Lazio “i processi prescritti sono stati 19.500 su un totale di 125mila, pari al 15%. Di questi 48% in appello (7.743) e 10% al Gip-Gup (7.300), 12% al dibattimento monocratico (4.300), 118 al collegiale (5%). La prescrizione colpisce maggiormente nei processi per cui c’è condanna in primo grado e quindi quasi uno su due a Roma in Appello“. Lo afferma il presidente della Corte d’Appello di Roma, Luciano Panzani, nel corso del suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario. “L’elevato numero delle prescrizioni – aggiunge Panzani – è stato determinato dal notevole ritardo nell’arrivo del fascicolo in Corte dopo la proposizione dell’atto di appello, cui si è aggiunto il tempo necessario per l’instaurazione del rapporto processuale, spesso condizionato da vizi di notifica“. Per Panzani “questo però è il risultato del collo di bottiglia a cui si è ridotto l’appello. Il Ministero ha finalmente previsto l’aumento delle piante organiche delle Corti di appello: nove consiglieri in più a Roma e a Napoli. Per Roma significa 2mila sentenze penali in più all’anno. Un progresso, non la soluzione del problema, anche se Roma in pochi anni è passata dalle 10mila sentenze penali all’anno del 2014-2015 alle 16mila del 2019, con un aumento, al netto delle sentenze di prescrizione, di 3mila sentenze penali all’anno”.

La relazione del procuratore generale facente funzioni della Corte d’appello di Roma, Federico De Siervo, ha invece posto l’accento sull’aumento del “numero di iscrizioni per corruzione (da 45 a 71 a noti e da 11 a 10 ignoti), così come è confermato il trend in aumento delle iscrizioni per corruzioni in atti giudiziari che, benché costituito da numeri ridotti, è pari al doppio dell’anno precedente, dove pure si era registrato un consistente aumento (passano a noti da 13 a 25 e a ignoti da 1 a 4)”, afferma De Siervo. Che poi ha anche spiegato come a Roma sia “confermata la presenza di un significativo numero di organizzazioni criminali qualificabili ai sensi dell’art. 416 bis del codice penale, secondo lo schema interpretativo delle piccole mafie, elaborato dalla Corte di Cassazione negli ultimi anni. Quello che negli anni scorsi era apparso come un fenomeno criminale assolutamente innovativo, ma ancora in fase iniziale ha trovato nell’ultimo periodo plurime importanti conferme, sia a livello investigativo che processuale“, ha detto De Siervo.

PROTESTE ANCHE A NAPOLI E ANCONA – Sono entrati in manette contro la riforma della prescrizione i membri dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, presieduto da Antonio Tafuri, durante l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. Gli avvocati, in toga, sono entrati ammanettati nella Sala dei Baroni, nel Maschio Angioino, dove si svolge la cerimonia, in aperta polemica con la riforma Bonafede. Sit-in con striscione degli avvocati della Camera penale anche ad Ancona. Protestano contro le “gravi carenze del sistema giustizia” che impediscono di “garantire la difesa dei diritti dei cittadini costituzionalmente previsti”.

A VENEZIA: “RISCHIO PROCESSI NEL LIMBO” – La nuova disciplina sulla prescrizione “rischierà di confinare i processi in una sorta di eterno limbo, di violare il dettato costituzionale che ne impone invece la ragionevole durata, di far ricadere sul cittadino, (imputato, o vittima) le conseguenze dell’inefficienza della giustizia, e sullo Stato la relativa responsabilità risarcitoria”. È la posizione espressa dalla presidente della Corte d’Appello di Venezia, Ines Maria Luisa Marini, nella relazione all’apertura dell’Anno giudiziario per il distretto veneto. La legge, ha precisato Marini “è apprezzabile perché è finalizzata a ‘salvaguardare‘ l’attività svolta dall’intera ‘filiera e a scoraggiare strategie dilatorie. Dovrà però essere contestualmente accompagnata dall’aumento delle ‘forze lavoro‘ (di magistrati e di personale amministrativo), dalla riforma delle procedure e da una intensa depenalizzazione. Diversamente avrà effetti dirompenti su gran parte degli Uffici Giudiziari, e tra essi, sulla Corte di Venezia, perché l’impossibilità di continuare a beneficiare di migliaia di definizioni de plano per prescrizione causerà l’aumento esponenziale delle pendenze, rendendole ingestibili”, ha concluso Marini.

A TORINO: “MIGLIORARE RAPPORTO MEDIA-GIUSTIZIA” – Si è aperto con una critica al mondo dell’informazione l’intervento di Edoardo Barelli Innocenti, presidente della Corte di Appello di Torino, facendo riferimento a due vicende. La prima è l’omicidio di Stefano Leo, il giovane torinese ucciso con una coltellata alla gola sul lungo Po da un 27enne già condannato con una sentenza che in un primo momento era stata considerata irrevocabile. Le cronache su quanto accaduto hanno “messo in evidenza ancora una volta – ha detto – quello che a mio parere è uno dei problemi della società contemporanea italiana: il rapporto tra giustizia e informazione. Troppo spesso si dà credito a voce di corridoio, vere o presunte che siano, e si grida allo scandalo prima ancora di sapere come sono avvenuti realmente i fatti, il cui concreto svolgimento deve essere approfondito nelle sedi competenti”. Un problema che secondo Barelli Innocenti emerge anche dai resoconti sulla vicenda delle nomine al Csm della scorsa primavera: “non si possono accomunare i colloqui e gli eventuali accordi di alcuni componenti del Csm con un inquinamento generale del funzionamento di una importante istituzione di garanzia quale è il Consiglio Superiore della Magistratura, istituzione che ha retto l’onda mediatica proprio grazie al comportamento e all’operato della maggioranza dei suoi componenti e in particolare del Presidente della Repubblica e del vicepresidente Ermini, ai quali deve andare il nostro riconoscimento per aver mantenuto salda la direzione”. Secondo il magistrato “serve più sobrietà e più professionalità nella racconto dell’attività giudiziaria”.

domenica 25 gennaio 2015

Scarpinato: “Il ddl sulla responsabilità mina l’autonomia dei magistrati”. - Alberto Samonà

Scarpinato: “Il ddl sulla responsabilità <br>mina l’autonomia dei magistrati”

Secondo il procuratore generale, intervenuto a Palermo all’inaugurazione dell’anno giudiziario, sarebbe un “occulto cavallo di Troia” in mano ai poteri forti, compresi quelli criminali.

Il ddl sulla responsabilità dei magistrati sarebbe un “occulto cavallo di Troia” e ridisegnerebbe gli equilibri costituzionali, mediante la costruzione di una “trama normativa in grado di mettere nelle mani dei poteri forti, tra i quali anche quelli criminali, obliqui strumenti di condizionamento dell’indipendenza e autonomia dei magistrati”. A parlare così è il procuratore generale Roberto Scarpinato, che, nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, a Palermo. ha condensato le proprie critiche alla legge sulla responsabilità delle toghe.
In merito alla recrudescenza mafiosa, Scarpinato ha spiegato che “le intercettazioni ambientali effettuate in taluni procedimenti, ritraggono file di questuanti che pregano i boss mafiosi dei quartieri di fare ottenere loro una qualsiasi occupazione per sfamare la famiglia”.
Secondo il magistrato, poi, i meccanismi di liberazione anticipata, del rito abbreviato e della continuazione delle pene produrrebbero storture. Per fare un esempio, Scarpinato ha citato l’esempio di “un capomafia di Castellammare, condannato per estorsione al presidente di Confindustria di Trapani, che avrà una pena di soli 2 anni, 7 mesi e 15 giorni”.

Un’altra critica mossa da Scarpinato, è “il turn over tra carcere e stato di libertà per i mafiosi”: “Per alcuni capi che vengono arrestati – ha detto – ci sono quelli liberati per fine pena. Gli estorsori vengono arrestati e intanto ne escono altri che poi si presentano pur a chiedere le rate arretrate ai commercianti. Preoccupa anche l’assenza di risposte ai bisogni prima di sussistenza, l’assenza di un welfare state legale, perché molti tornano a bussare alle porte del welfare state mafioso”.