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sabato 27 novembre 2021

I MILLE AVVOCATI DI STRADA CHE RESTITUISCONO DIGNITÀ AI SENZA DIMORA (E AGLI ULTIMI). - Maria Novella De Luca

 

Sono lo studio legale più grande d’Italia, tutti “soci” volontari, con il fatturato più povero: zero euro. Assistono persone precipitare nella povertà dopo licenziamenti, sfratti, divorzi, costrette oggi a vivere sui marciapiedi, nei dormitori, in auto. Per tutti la sfida più grande: ottenere un indirizzo di residenza per non essere più invisibili.

Sono lo studio legale più grande d’Italia (mille “soci” tra civilisti e penalisti) e anche il più povero: fatturato euro zero. Del resto, i loro clienti, nella scala sociale, sono gli ultimi degli ultimi, così privi di tutto da non avere nemmeno un indirizzo: sono clochard, senza tetto, senza fissa dimora. Si chiamano “avvocati di strada”, sono riuniti in un’associazione fondata nel 2001 da Antonio Mumolo, avvocato giuslavorista che nelle fredde notti di Bologna, da volontario portava cibo e coperte a chi viveva sui marciapiedi o sotto rifugi di cartone. “E molti di loro, conoscendo il mio mestiere, mi facevano domande legali, raccontandomi di pensioni perdute, di eredità negate, di figli mai più incontrati per mancanza di un indirizzo di residenza, di fallimenti economici per crediti inesigibili, di assistenza sanitaria negata. Capii che quel mondo di invisibili finiva per strada non soltanto per tossicodipendenza, alcolismo o per problemi psichiatrici, ma soprattutto per diritti negati”.

Insieme a un solo altro collega, Mumolo fonda la onlus “Avvocato di strada”, oggi presente in 56 città, con mille legali che offrono assistenza (gratuita) ai senza dimora, trentottomila persone seguite dal 2001 ad oggi, tremila pratiche aperte ogni anno, centinaia di cause vinte, ma soprattutto centinaia di ex drop-out tornati a vivere dal mondo di sotto al mondo di sopra. Con il motto non “esistono cause perse”, “Avvocato di strada” ha dedicato ai sessantamila clochard italiani addirittura un festival nell’ottobre scorso, per raccontare questo estremo segmento di povertà.

Spiega Antonio Mumolo: “Il senzatetto che dorme sui cartoni è solo la forma più evidente di questa emarginazione, figlia delle ripetute crisi economiche che hanno devastato l’Italia. A differenza di vent’anni fa quando i senza dimora erano persone con storie di alcol o malattie mentali, oggi sono cittadini, all’ottanta per cento italiani, che da un giorno all’altro perdono il bene fondamentale: la casa. Ci vuole poco: un licenziamento, le rate di mutuo non pagate, lo sfratto, una pensione troppo misera, un divorzio e ci si ritrova a dormire in auto, nei dormitori pubblici, negli edifici occupati, in fila alla mensa, alle docce, alle distribuzioni di vestiti usati. Bussando da una porta all’altra alla ricerca di lavoro”.

La storia di Francesca, da commessa in un supermercato ad una vita senza più figlie né una casa.

Come accade a F. che chiameremo Francesca, nelle tante storie che “Avvocato di strada”, pubblica sul suo bilancio sociale ogni anno. Francesca è italiana, ha 40 anni, è mamma di due bimbe di 6 e 8 anni. Emblema e paradigma di come si possa passare da una situazione dignitosa alla povertà in un tempo brevissimo, fulmineo. Un capitombolo nel baratro. “F. era commessa in un supermercato, conviveva con il suo compagno e padre delle bambine, finché i due non decidono di separarsi e l’uomo, abbandonata la casa, smette di prendersi carico delle spese. F. non ce la fa, il suo stipendio è troppo basso per pagare un affitto e gestire, da sola, due figlie. Arriva lo sfratto e le bimbe vengono affidate ai nonni paterni. Costretta a dormire in macchina, Francesca si rivolge ad “Avvocato di strada” perché è inverno, i soldi stanno finendo e pagare la benzina per arrivare al lavoro diventa impossibile”. F. si ammala di broncopolmonite, viene aggredita nella notte, la macchina si guasta irreparabilmente. Sul lavoro le assenze diventano troppe e Francesca viene licenziata.

“Dopo aver messo in contatto Francesca con i servizi sociali della città – ricorda Agostina, avvocata di strada di Milano – siamo riusciti a farle ottenere la residenza fittizia, grazie alla quale ha potuto cercare un nuovo lavoro e un alloggio”. Piano piano Francesca riemerge dal buio e ricostruisce un rapporto con le figlie. Con il sogno, oggi, di riaverle con sé.

Per chi nella vita ha sempre avuto un indirizzo e un nome sul citofono, la parola residenza evoca soltanto un fastidio burocratico da espletare quando, magari, si cambia casa o città. Invece no: la residenza è un diritto fondamentale che determina lo spartiacque tra l’esistenza e la non esistenza. Tra l’essere cittadini o clandestini. Essere invisibili oggi è non poter fornire un indirizzo, dunque ottenere una carta d’identità, quindi un lavoro e l’assistenza sanitaria.

Gli avvocati di strada ricostruiscono i fili spezzati di queste vite, cuciono una tela che riannoda affetti, patrimoni, dignità. Portano in tribunale comuni e datori di lavoro, enti previdenziali e familiari disonesti. “I comuni – dice Mumolo – spesso violano l’obbligo di assegnare per legge ai senza dimora una di quelle vie fittizie inventate proprio per dare una residenza a chi non ce l’ha”. Come via Modesta Valenti a Roma, clochard che morì di stenti, o via della Speranza, o via dei Senzatetto in altre città.

Si sentono rinascita e resistenza nelle storie degli avvocati di strada. C’è M, italiano, che viveva in un dormitorio dopo una dolorosa separazione. Grazie all’assistenza legale riesce a definire il divorzio, trova alloggio in co-housing. “La cosa più bella – è stata sentirmi di nuovo chiamare papà”.

La storia di Stella, da clandestina a una vita alla luce del sole.

C’è S. la chiameremo Stella, ucraina, mamma di un bellissimo bambino con cui viveva, però, quasi nascosta. “Nel periodo in cui è venuta al nostro sportello viveva in una situazione totalmente precaria fuori Genova. Non aveva documenti, non riusciva ad ottenere un permesso di soggiorno ed era costretta a vivere nella clandestinità, nella paura, senza assistenza sanitaria, senza potersi rivolgere ai servizi sociali, né poter iscrivere suo figlio a scuola” Stella era invisibile. Gli avvocati strada rintracciano in Grecia il padre del bambino, ottengono i suoi documenti, regolarizzano la posizione di Stella. “Oggi a lei ed al suo piccolo è stata restituita la dignità e il riconoscimento che per troppo tempo erano stati loro ingiustamente sottratti”. E Stella e il suo bambino non hanno più paura di camminare alla luce del sole.

La storia di Giuseppe non aveva più una residenza ora l’ha ottenuta.

C’è G, lo chiameremo Giuseppe, napoletano. “Arrivò ad Avvocato di strada dopo aver girato tutti servizi della città senza essere riuscito a far rispettare un suo diritto essenziale, quello alla residenza anagrafica. G. che un tempo aveva una casa e un lavoro, aveva camminato tanto, tra uffici freddi e pieni di inutile burocrazia, trovando tutte le porte chiuse. Quando arrivò da noi era veramente esausto e sfiduciato. Aveva perso la speranza e la sua voglia di credere in una società giusta e civile. In breve tempo, grazie al preziosissimo aiuto di una nostra volontaria, G. ottiene la residenza nella via fittizia. Oggi ha nuovamente diritto di voto, accesso alle cure mediche. È tornato a godere di tutti quei diritti fondamentali di cui gode un cittadino italiano residente sul territorio”.

Antonio Mumolo cita una frase “cult” del libro di John Grisham “L’avvocato di strada”: “Prima di tutto sono un essere umano. Poi un avvocato. È possibile essere entrambe le cose”.

http://www.libertaegiustizia.it/2021/11/13/i-mille-avvocati-di-strada-che-restituiscono-dignita-ai-senza-dimora-e-agli-ultimi/

domenica 31 ottobre 2021

La «grande fuga» degli avvocati: perché i giovani lasciano la professione. - Patrizia Maciocchi

 



Aumenta il numero di cancellazioni alla Cassa forense degli avvocati trentenni e a dire addio alla professione sono più le donne.

Ogni quattro nuovi iscritti alla Cassa degli avvocati ce ne sono tre che la lasciano. E ad andarsene sono sempre più i trentenni, mentre diminuiscono le uscite degli over 40. A dire addio alla professione sono più le donne, ma in linea generale negli ultimi anni il totale delle cancellazioni dalla Cassa forense raggiunge una quota che oscilla tra il 75 e l’84% delle nuove iscrizioni.

È questo il quadro che emerge dai dati forniti da Cassa forense, su new entry e abbandoni, con un saldo che, secondo il presidente Valter Militi, verosimilmente a fine 2021 sarà pari a zero se non addirittura negativo.

Meno cause e reddito in calo.

Le ragioni dell’emorragia sono evidenziate ancora una volta dai numeri. Che fare l’avvocato non sia più, per la maggior parte dei professionisti, una scelta particolarmente remunerativa è noto. Solo nel 2020 oltre 140mila legali hanno avuto accesso al reddito di ultima istanza, riservato a chi non raggiunge il tetto dei 50mila euro, e molti degli aventi diritto non superavano i 35mila euro. Utile anche sapere che il contenzioso civile negli ultimi 10 anni è diminuito del 36%, e dimezzato dal 2009, anche se c’è in vista una possibile ripresa delle “liti” dovuta all’effetto pandemia.

Verso il posto fisso.

Come ulteriore elemento ai tradizionali motivi di fuga da una professione che non dà più certezze, si aggiunge l’occasione del posto fisso: una garanzia offerta dai concorsi pubblici.
La prima opportunità da sfruttare per restituire il tesserino restando comunque all’interno delle aule giudiziarie è offerta del decreto di reclutamento per 16.826 addetti all’ufficio del processo con una prima tranche di 8.171 posti già assegnati: e quasi la totalità sono stati appannaggio di chi aveva una laurea in legge in tasca.
«Ci sono circa 100mila legali che hanno un reddito inferiore ai 20mila euro – spiega il neo presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati, Francesco Paolo Perchinunno – naturalmente sono soprattutto giovani, e naturalmente soprattutto donne e del Sud. La fuga dagli albi – solo a Roma nei primi mesi del 2021 hanno lasciato in 600 – si spiega con l’importantissimo numero di concorsi pubblici messi in atto dallo Stato, al quale hanno partecipato, con successo, migliaia di colleghi».

Come arginare l’esodo

Dal vertice degli under 40 un suggerimento per arginare l’esodo verso il posto fisso: uscire dalla difesa giudiziale per entrare nel mercato extragiudiziale. Soprattutto nelle materie “emergenti” in quelle aree su cui si scommette con il Recovery plan: dalla transizione ecologica al digitale.

Ma a lasciare non sono solo i giovani. «L’inversione di rotta sul lavoro a 30 anni si può considerare quasi fisiologica – sottolinea il presidente dell’Unione camere civili Antonio de Notaristefani – ma dopo i 45 è quasi sempre una scelta drammatica. Sono molti i colleghi non giovanissimi che sono entrati in cancelleria. Per me è la sconfitta di una generazione. Tra le ragioni c’è il costo della giustizia. Per questo cala il contenzioso: non è la pace sociale, sono le spese di accesso al giudice troppo elevate».
E i numeri di chi rinuncia alle arringhe per lo stipendio fisso, sembrano destinati a salire.
«I dati del 2021 sono ancora parziali – dice il presidente di Cassa forense Valter Militi – perché le richiesta di cancellazione ci devono essere comunicate dagli Ordini. Ci aspettiamo però che l’effetto concorsi porti via dall’Albo entro il 2022 verosimilmente circa 15mila avvocati».
La Cassa mette in campo misure di sostegno alla professione:  dagli incentivi per le sinergie ai rimborsi spese del 50% per la formazione specialistica. Diversi i bandi per gli investimenti: dagli strumenti informatici al prestito fino a 15mila euro per l’apertura di uno studio destinato agli under 35.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/la-grande-fuga-avvocati-perche-giovani-lasciano-professione-AEgdGor

giovedì 11 marzo 2021

I vaccini ai politici-avvocati mentre gli anziani aspettano. - Giacomo Salvini

 

In Toscana molti over 80 non sanno ancora quando potranno vaccinarsi – a ieri la prima dose di Pfizer è stata somministrata solo a 43.000 anziani su un totale di 324.000 (poco più del 13%) –, ma per una settimana gli avvocati hanno potuto ricevere la prima dose di Astrazeneca e tra questi ci sono anche diversi esponenti politici di tutti i partiti – da Italia Viva al Pd passando per la Lega e Fratelli d’Italia – che sono al contempo iscritti all’albo dell’Ordine degli Avvocati anche se, in alcuni casi, non esercitano la professione da anni. La Toscana, interpretando una circolare del ministero della Salute, dal 19 febbraio scorso, su richiesta dell’Ordine forense, ha dato infatti la possibilità a tutto il personale giudiziario di registrarsi e ricevere la prima dose di AstraZeneca, inserendo avvocati e personale del- l’amministrazione della giustizia, cancellieri compresi, tra le categorie che, al pari degli insegnanti, forniscono un servizio essenziale. Così gli avvocati – non solo in Toscana, a dir la verità, ma in tutta Italia – hanno chiesto di essere inseriti per “difendere” dal virus le aule dei Tribunali. E, alla fine, molti amministratori ed esponenti politici che sono iscritti all’albo degli Avvocati ne hanno “approfittato”: tutto legittimo, è nelle regole, ma la questione ha scatenato una bagarre in un momento in cui la campagna vaccinale procede a rilento per alcune categorie.

Il caso che ha destato più clamore è stato quello dell’ex assessore alla Salute renziana Stefania Saccardi, oggi vicepresidente della giunta regionale, che in un post su Facebook ha ammesso di aver ricevuto la prima dose in quanto iscritta “all’albo dal 1989” ma senza specificare da quanto non eserciti più la professione. E giù sulla sua bacheca una marea di commenti indignati: “Ho 60 anni, sono paziente oncologica e cardiopatica e ancora non sono stata chiamata per il vaccino” scriveCheti. E ancora: “Ma non si vergogna un po’, non ha rispetto delle persone che non sanno dove sbattere la testa per vaccinarsi? Difendete i vostri privilegi, è una vergogna”, si sfoga Paolo.

Anche tre assessori-avvocati della giunta di Dario Nardella a Firenze hanno fatto il vaccino: Cecilia Del ReFederico Gianassi Benedetta Albanese, tutti del Pd. Quando è emerso il caso e le opposizioni – Lega e Fratelli d’Italia in particolare – hanno annunciato interrogazioni sul tema, Palazzo Vecchio ha diramato una nota per difendere i propri assessori e parlando di “rischio di deriva populista” che può portare a “pericolose campagne no vax per chi esercita funzioni pubbliche”. Ma le polemiche sui politici toscani vaccinati riguardano anche la Lega e FdI con il sindaco di Massa del Carroccio Francesco Persiani che ha ricevuto la prima dose ma anche gli assessori meloniani a Siena e Pistoia, Francesco Michelotti e Margherita Semplici. Anche il senatore fiorentino molto vicino a Matteo Renzi, Francesco Bonifazi, si è vaccinato nei giorni scorsi in quanto avvocato. A fine ottobre aveva contratto il Covid.

Dopo le polemiche la Regione Toscana ha deciso di fare marcia indietro: da lunedì è stato abbandonato il criterio delle categorie, dando la precedenza alle fasce di età e alla patologia. In una settimana però negli uffici giudiziari toscani sono stati vaccinate 8.100 persone. Ma la Toscana non è l’unica regione dove gli avvocati hanno potuto ricevere la prima dose.

Anche in Sicilia si è iniziato due giorni fa a somministrare AstraZeneca agli avvocati, mentre in Campania la vaccinazione partirà nei prossimi giorni. Potenzialmente, la platea relativa alle tre regioni interessata è di circa 50.000 avvocati. In Campania la giunta De Luca ha inviato una lettera agli ordini forensi regionali per avvertirli, mentre in Sicilia siamo già a un migliaio di somministrazioni. Chissà se l’assessore alla sanità siciliana, Ruggero Razza, avvocato anche lui, sarà tra i “fortunati” iscritti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/11/i-vaccini-ai-politici-avvocati-mentre-gli-anziani-aspettano/6129466/

martedì 11 febbraio 2020

Malafede e Bonafede. - Tommaso Merlo



In Italia le leggi le hanno sempre scritte i delinquenti. 
O direttamente entrando in Parlamento oppure attraverso qualche burattino politico. 
Decenni di porcherie dietro le quinte, decenni di manine e leggine ad hoc. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’Italia è il paese più corrotto d’occidente eppure in galera i ricchi e potenti non ci finiscono mai. Una assurdità e il frutto di un disegno ben preciso che ha sempre accomunato le caste di ogni olezzo ideologico. Nonostante tempi e meccanismi da terzo mondo, l’Italia non è mai riuscita a riformare la Giustizia se non in peggio. Se non nella direzione di garantire maggiore impunità a Lorsignori e soldi ai verminai parassitari che gravitano attorno ai tribunali. Un disegno. Non un caso. La prescrizione non è altro che una delle tante diavolerie che le caste criminogene si sono inventate per tirare in lungo i processi ed impedire ai giudici di fare il loro lavoro. Berlusconi ne è stato il paladino. Trasformando il parlamento nel suo studio legale privato, piazzando i suoi avvocati nei punti chiave delle istituzioni. Davvero impressionante. Berlusconi ha umiliato l’Italia come nessuno, l’ha piegata brutalmente alle sue meschine esigenze processuali. In assoluto la pagina più vomitevole della Repubblica. Ma che la Giustizia italiana rimanesse a livelli da terzo mondo è sempre stato nell’interesse di tutte le caste, di tutti coloro che possono permettersi di pagare parcelle da capogiro e pool di avvocati capaci d’annacquare i processi fino a farli scadere come mozzarelle. A scapito dei poveri cristi, a scapito della pulizia. E oltre al danno, la beffa. Per decenni la prescrizione è stata spacciata come sinonimo di “assoluzione” dalla propaganda politica e questo grazie alla stampa serva delle stesse caste criminogene. Non un caso ma un disegno ben architettato affinchè quei fessi dei cittadini continuassero ad abboccare agli spot elettorali e tifare strenuamente per Lorsignori. Lobby, politica, stampa. Un vero e proprio regime che ha potuto delinquere indisturbato, arricchirsi a dismisura, farla franca ed oggi che qualcuno osa mettere mano alla Giustizia nell’interesse dei cittadini, reagisce scompostamente. La Spazzacorrotti è passata per miracolo, grazie all’illusoria luna di miele gialloverde. Ma la cagnara sulla prescrizione di questi giorni conferma come in Italia le leggi le abbiano sempre scritte i delinquenti. O direttamente entrando in Parlamento oppure attraverso qualche burattino politico. La cagnara sulla prescrizione dimostra la malafede della vecchia politica, dimostra la sensatezza del terremoto degli ultimi anni e di come la strada per il cambiamento sia ancora lunga e tortuosa.

https://infosannio.wordpress.com/2020/02/11/malafede-e-bonafede/?fbclid=IwAR0z5L7JUzALl0J8uVKJN5Icbp8Z4hJXAMfuv5iblgILeJUMz5WHS8yf8fo

lunedì 3 febbraio 2020

Le Camere penose. - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano



Se non fossero indecenti e vagamente sediziose, le gazzarre inscenate dalle Camere penali in varie inaugurazioni dell’anno giudiziario sarebbero irresistibilmente comiche. A Milano gli avvocati escono dall’aula, dove peraltro le Camere penose sono solo ospiti, per protestare contro Piercamillo Davigo perché non la pensa come loro; per contestare quello che non ha ancora detto e poi quello che sta dicendo citando il presidente Mattarella; e per deplorare che il Csm, dovendo inviare alla cerimonia un membro del Csm, abbia inviato alla cerimonia un membro del Csm, per giunta ex pm ed ex giudice a Milano. E sventolano articoli della Costituzione scelti a casaccio, visto che difendono la prescrizione come fosse un diritto costituzionale e non una vergogna incostituzionale. Completa il quadretto il Pg Roberto Alfonso, che evoca la presunta incostituzionalità della blocca-prescrizione facendo rimpiangere Borrelli e tutti gli altri predecessori e dimenticando che il suo sindacato, l’Associazione nazionale magistrati, il blocco della prescrizione l’ha chiesto per vent’anni, almeno finché non l’ha ottenuto. E nessun Alfonso ha mai accusato l’Anm di volere leggi incostituzionali.
Ma eccoci a Napoli, la città record in Europa per numero di reati, processi lunghi e prescritti. Per onorare la memoria di Pulcinella e di Totò, gli avvocati hanno sfilato in manette. Ma non – come qualcuno potrebbe sospettare – per un eccesso di identificazione con i loro clienti, bensì per protestare contro la blocca- prescrizione (che ovviamente con gli arresti non c’entra una mazza) e l’“abuso delle intercettazioni”. Cioè contro due tipici attrezzi del mestiere del magistrato, pagato dallo Stato proprio per scoprire i delinquenti e possibilmente acchiapparli e metterli in condizione di non nuocere per un po’. Una scena spassosissima, che fa ben sperare per il futuro: prossimamente, orde di avvocati irromperanno nelle carceri per deplorare l’uso delle sbarre, nei pronto soccorso agitando stetoscopi contro l’abuso delle visite, nelle sale operatorie sventolando bisturi per protesta contro gli interventi chirurgici, nelle questure forando le gomme alle volanti contro le retate facili, nelle caserme agitando fucili contro le forze armate inspiegabilmente armate, nelle cucine contro le pentole, nei boschi contro le seghe dei taglialegna, nei mari contro le reti da pesca, negli stadi contro i palloni da calcio e le bandierine dei guardalinee. Domanda: cosa induce le Camere penali a coprire di ridicolo un’intera categoria di 180 mila e rotti professionisti (molti dei quali serissimi)?
Non si accorgono di confermare così tutti i più vieti luoghi comuni e le caricature sull’avvocatura, dal manzoniano Azzeccagarbugli in giù? La risposta è presto detta. Quella forense è da sempre la lobby più potente in Parlamento e al governo, abituata a farsi le leggi e i codici a uso e consumo proprio e della clientela più danarosa. Solo agli albori della Repubblica finivano in Parlamento gli avvocati migliori, da Calamandrei a Leone. Poi arrivarono i peggiori, perlopiù difensori di politici indagati e imputati di centrodestra e di centrosinistra. Quelli che, in palese e sfrontato conflitto d’interessi, con la mano sinistra continuavano a esercitare la professione nelle aule di giustizia, mentre con la destra legiferavano nelle aule parlamentari, sfornando leggi incostituzionali per depenalizzare o far prescrivere i reati dei clienti (soprattutto uno). Il tutto nel silenzio complice del cosiddetto Ordine forense che avrebbe dovuto sanzionare quegli abomini. Ora, da un paio d’anni, la nota lobby ha perso il monopolio delle leggi sulla giustizia e – paradosso dei paradossi – proprio con un premier e un Guardasigilli avvocati (Conte e Bonafede): a riprova del fatto che esistono avvocati dediti non all’interesse della bottega, ma a quello collettività, vittime e cittadini onesti in primis. Infatti, dopo centinaia di norme che allungavano i processi, accorciavano la prescrizione, svuotavano le carceri, depenalizzavano i reati dei colletti bianchi e seminavano impunità a piene mani, la tendenza si è invertita (come ha notato il Pg di Palermo Roberto Scarpinato, a pag. 4). Perciò gli avvocati e i relativi clienti che campavano sui processi eterni, a botte di leggi ad categoriam e manovre dilatorie, oggi si trovano spiazzati e strillano come vergini violate. Senz’accorgersi che i loro alti lai contro i tempi della giustizia fanno sorridere chiunque abbia assistito a un processo eccellente, in tribunale o a Un giorno in pretura. Come se Rocco Siffredi e Max Felicitas deplorassero ogni giorno la piaga dilagante della pornografia. Noi naturalmente conosciamo avvocati che mai si sognerebbero di chiedere bavagli illiberali e punizioni esemplari contro Davigo, né amano vincere i processi depenalizzando i reati o mandandoli in prescrizione, né si presterebbero a sceneggiate come quelle di ieri. E continuiamo a sperare che, in una categoria di 180mila e più persone, esista una minoranza silenziosa che non vuol essere confusa con la maggioranza sediziosa: il Fatto è a loro disposizione, se vogliono dire qualcosa a tutela del proprio buon nome e della loro nobile missione.
Ps. Siccome non c’è limite al peggio e i politici non sono mai secondi a nessuno, a Catanzaro ha chiesto di parlare all’inaugurazione dell’anno giudiziario la deputata Pd Enza Bruno Bossio, celebre perché ha più processi e indagini a carico che capelli in testa (senza contare quelli del marito Nicola Adamo) e per gli attacchi al procuratore Nicola Gratteri. Ma è stata respinta con perdite. Peccato, l’idea non era male: dal 2021 l’anno giudiziario potrebbero inaugurarlo direttamente gli imputati.

martedì 6 febbraio 2018

Arresti a Roma, corruzione e sentenze «comprate»: in manette avvocati e imprenditori. - Fiorenza Sarzanini e Clarida Salvatori



Tra gli indagati anche Enzo Bigotti, già indagato nell’inchiesta sulla Consip, e Riccardo Virgili, giudice del Consiglio di Stato ora in pensione. Spiata l’indagine delle tangenti Eni.

Avvocati e imprenditori arrestati per frode fiscale, bancarotta e corruzione in atti giudiziari. Accusati di aver «aggiustato» sentenze del consiglio di Stato. L’operazione della Guardia di Finanza coordinata dalle procure di Roma e Messina è scattata all’alba e ha fatto finire in carcere l’avvocato Pietro Amara, oltre a numerosi imprenditori e al sostituto procuratore di Siracusa, già trasferito in un’altra sede, Giancarlo Longo.

Anche un imprenditore coinvolto nell’inchiesta Consip.
Tra gli arrestati ci sono gli imprenditori Enzo Bigotti, già indagato nell’inchiesta sulla Consip, e Fabrizio Centofanti. I componenti dell’associazione per delinquere sono accusati di aver messo in piedi un meccanismo che consentiva loro di orientare l’affidamento di alcune gare grazie alle decisioni compiacenti in materia amministrativa. Tra gli indagati anche Riccardo Virgili, giudice del Consiglio di Stato ora in pensione.

I falsi dossier.
L’associazione è accusata anche di aver costruito falsi dossier per spiare le inchieste tra cui quella aperta dalla procura di Milano sulle tangenti Eni. In una nota congiunta le due Procure hanno scritto che le «indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, consentendo la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni».

Il «metodo Longo».
I magistrati che ne hanno chiesto l’arresto parlano di «mercificazione della funzione giudiziaria». E aggiungono: «Longo usava le prerogative a lui attribuite dall’ordinamento per curare interessi particolaristici e personali di terzi soggetti dietro remunerazione. Tali condotte vengono riscontrate a partire dal 2013 e perdurano sino ai primi mesi del 2017». I metodi usati da Longo erano tre: 
creazione di fascicoli «specchio», che il magistrato «si auto-assegnava - spiegano ancora i pm che hanno condotto l’inchiesta - al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), 
legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli «minaccia», in cui «finivano per essere iscritti - con chiara finalità concussiva - soggetti “ostili” agli interessi di alcuni clienti di Calafiore e fascicoli «sponda», che venivano tenuti in vita «al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara».

Tutti gli arrestati.
Quindici gli arrestati: oltre a Riccardo Virgilio (oggi in pensione), Pietro Amara e Fabrizio Centofanti e Ezio Bigotti, anche Luciano Caruso e Giuseppe Calafiore (attualmente all’estero), l’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo e Alessandro Ferrari, Giuseppe Guastella, Davide Venezia, Mauro Verace, Salvatore Maria Pace, Vincenzo Naso e Sebastiano Miano. Indagati anche Gianluca De Micheli e Francesco Perricone.

martedì 9 maggio 2017

Consip, inchiesta sulle consulenze. Tra i legali che hanno avuto incarichi il presidente della cassaforte di Renzi.

Consip, inchiesta sulle consulenze. Tra i legali che hanno avuto incarichi il presidente della cassaforte di Renzi

La magistratura contabile ha messo nel mirino i contratti con professionisti esterni, ritenuti eccessivi sia per quanto riguarda il numero degli incarichi sia per il valore degli importi pagati. Soprattutto perché la centrale acquisti della pubblica amministrazione ha una direzione 'Legale e Societario' con 49 persone in organico. Alberto Bianchi dal 2012 ha incassato da Consip 290mila euro.

Nuova inchiesta su Consip. Stavolta a muoversi è stata la Corte dei Conti, che ha messo nel mirino le consulenze affidate dalla centrale acquisti della pubblica amministrazione a professionisti esterni. I militari del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza hanno eseguito un decreto di esibizione e sequestro di documenti nella sede della società in house del Tesoro. L’inchiesta, non collegata con quella che ha portato in carcere l’imprenditore Alfredo Romeo (accusato di aver pagato tangenti al responsabile dell’ufficio acquisti di Consip Marco Gasparri per avere informazioni sulle gare), punta a verificare la regolarità di diversi incarichi. Consulenze eccessive, secondo gli investigatori, sia per il numero sia per il valore degli importi pagati, considerato che Consip può contare su una una direzione ‘Legale e Societario’ con 49 persone in organico.
Nei mesi scorsi era emerso che tra gli avvocati che lavoravano per Consip c’era anche Alberto Bianchi, presidente della Fondazione Open, la cassaforte di Matteo RenziBianchi a partire dal 2012 ha incassato dalla società pubblica compensi per un totale di 290mila euro. L’ad di Consip Luigi Marroni ha affidato tra l’altro a Bianchi – che a marzo ha ottenuto dal ministero dell’Economia la riconferma come consigliere di amministrazione dell’Enel – la difesa dell’azienda nel contenzioso con Consorzio nazionale servizi (Cns) e Manutencoop facility management (Mfm) per le “scuole belle” di Renzi: le due coop, che avevano vinto otto lotti su 13 dell’appalto da 1,6 miliardi del 2012, erano poi state multate dall’Antitrust per condotta anticoncorrenziale e Consip voleva escluderle dalle gare. Peraltro nella manovrina recentemente varata dal governo Gentiloni quell’affidamento viene prorogato per la quarta volta, nonostante la sanzione e la censura dell’Anac.
Ma Bianchi, oltre a lavorare per Consip, ha difeso in numerosi contenziosi anche Siram, azienda società specializzata in servizi energetici e facility management che si è aggiudicata in via provvisoria uno dei lotti della gara Fm4 al centro dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Romeo. Interpellato dal Fatto, ha spiegato che si trattava “non di conflitto“, ma di “convergenza, perché “non difendo mai né Siram né altri quando c’è conflitto con Consip, e non assumo mai incarichi per società che hanno a che fare con Consip senza esplicita autorizzazione di Consip”. E ancora: “Nessuno finora mi ha saputo dire dove e quando in concreto mi sono trovato in conflitto di interessi. Come se quando difendo Consip in contenziosi nati da concorrenti di Siram contro aggiudicazioni di Consip lo faccia con l’occhio strabico di chi tutela gli interessi di Siram anche quando tutela Consip. Solo pensarlo è offensivo”.