giovedì 22 ottobre 2020

No al nuovo San Siro: lo chiede l’antimafia. - Nando dalla Chiesa

 

Che Paese schizofrenico è questo. La scorsa settimana a Vienna la delegazione italiana all’Assemblea delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale ha presentato la “Risoluzione Falcone” per fare recepire in quel consesso i principi di lotta alla criminalità organizzata propugnati dal grande giudice palermitano. Approvazione all’unanimità e gioia, giustificata, del ministro Bonafede. Italia faro della lotta alla mafia. Poi guardi bene e vedi invece che troppe cose, in Italia, vanno in “direzione ostinata e contraria”.

Rappresentanti delle istituzioni impegnati 24 ore su 24 ad abbattere abusivamente il 41-bis. Procure passate per la cura Palamara trasformate in dormitori. E fantasmi di grandi affari che dovrebbero far schizzare le antenne al cielo. Tra i quali ce n’è uno che mi inquieta, quello del nuovo stadio di San Siro a Milano. Un affare che assomiglia al sarchiapone. Per dire, come nella gag di Walter Chiari, che mi appare un terribile animale al solo sentirlo evocare, pur senza averlo mai visto.

Amo San Siro, ho portato stranieri a visitarlo, senza partite in corso. Perché in mezzo secolo di calcio (e che mezzo secolo!) si è guadagnato l’appellativo di “Scala del calcio”. E dubito molto che se si facesse un referendum tra i milanesi i sì al sarchiapone supererebbero il 20 per cento. Certo ci sono interessi enormi che spingono in questa sciagurata direzione. E sappiamo anche bene che le economie arretrate stravedono per il cemento. Campano di quello. Fu così nella Milano che vedeva disfarsi velocemente la sua industria e chiuder bottega le grandi dinastie d’impresa. La moda e il design salvarono il côté urbano, per fortuna. Ma non fu poi casuale se proprio in quel passaggio esplose Tangentopoli.

Oggi però Milano è cambiata. Anche se il Covid incombe, è in salute e ha risorse formidabili nella progettazione, nella comunicazione, nelle scienze mediche, nel turismo, nell’intermediazione di mille cose, nelle università. Ha anche una preziosa risorsa immateriale, sviluppatasi nell’ultimo decennio: il suo spirito pubblico. Senza il quale nulla vale, e con il quale tutto vale di più. Ha preso forma nelle sindacature Pisapia e Sala. Città aperta, solidale, civile, che nella vicenda nazionale ha saputo alla fine da che parte stare. Anche sulla legalità, che è il versante più problematico per il paese (quello di Falcone…). Senza voler fare torto ai due sindaci, anzi dando loro un grande riconoscimento, direi che, al di là di cose non condivisibili, sia stato questo il più grande dono che hanno fatto a Milano. Dono che sarebbe criminoso buttare alle ortiche, basta un attimo. Perciò è fondamentale che nella vicenda San Siro, prima di discutere del sarchiapone, si sappia chi lo tiene al guinzaglio. Sapere cioè chi sono i veri proprietari di Milan e Inter. Cosa che pare difficilissima. Mentre sarebbe per certo la linea Maginot di Falcone, principio assoluto e insuperabile di uno Stato serio: le risorse pubbliche (territorio, spazi, architetture, paesaggio, clima umano) non si possono dare agli sconosciuti, esattamente come i bambini non devono prenderne caramelle. Punto e a capo.

I poteri pubblici non possono trattare con degli enigmi. Il presidente della commissione antimafia comunale, David Gentili, sta cercando da mesi di dare l’allarme. Il sindaco Sala è però incalzato da quei poteri visibili dietro i quali sta il potere invisibile con i suoi capitali. E la mia sensazione personale è che non tutti i suoi assessori lo appoggino e lo sorreggano come sarebbe doveroso in questo tornante infido. Per fortuna, seguendo l’esempio di Pisapia, il sindaco si è dotato della consulenza di un comitato antimafia formato da esperti non lottizzati. I quali, richiesti di un parere, gliel’hanno scritto. Nitido, colto, garbato e perentorio come consentono dottrina e buon senso: non si può.

Si attenga a quel parere. Non passi ora la palla all’Anac, come sento dire che voglia fare. No, sindaco, quel comitato che è un suo fiore all’occhiello vale più dell’Anac di oggi, anche se lavora senza prendere un euro mentre l’altro è pagato profumatamente dagli italiani. Quest’Anac sarà la tomba di tutte le authorities, lo ricordi, mentre il suo comitato è credibile: non ha carneadi politicizzati. L’ha costituito lei, lo ascolti in nome della città e del suo spirito pubblico.

L’economia si riprenderà per altre vie: con il green, che lei stesso caldeggia, con gli investimenti nella sanità, con la cultura cosmopolita, con il commercio multiforme, con le professioni e le università. E poi con il suo capitale civico, stroncando ogni abuso amministrativo, per dare finalmente aria ai giovani talenti della città e a quelli pronti a venire da fuori, nella fioritura di vitalità che esploderà dopo questo Covid maledetto. Così scommettono i primi della classe.

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